Decrescita e violenza domestica

Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per questo motivo ho sentito il bisogno di parlare di violenza domestica qui ed ora. Perché parlarne sul sito del Movimento per la Decrescita Felice? Ebbene, … Continue reading

Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per questo motivo ho sentito il bisogno di parlare di violenza domestica qui ed ora.

Perché parlarne sul sito del Movimento per la Decrescita Felice?

Ebbene, sono convinta che la violenza sia principalmente una questione di desiderio di possesso da un lato, e di bisogno di colmare dei vuoti dall’altro. Anche il consumismo ha queste dinamiche, si percepiscono delle mancanze e si cerca di riempirle acquistando a più non posso. Allo stesso modo l’uomo che perpetra violenza ama avere il controllo della vittima, poterla “usare” a proprio piacimento, come se fosse un oggetto.

Eppure le relazioni non si possono possedere, né tantomeno le persone.

Dall’ultimo rapporto ISTAT risulta che circa il 31,5% delle donne di età compresa tra i 16 ed i 70 anni ha subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Inoltre, il 13,6% delle donne ha subìto violenze fisiche o sessuali proprio da un partner o un ex partner. Questi sono numeri enormi. Chissà quante di queste donne stanno subendo queste angherie oggi e non sanno come liberarsene, spesso nella speranza che i loro compagni possano cambiare.

I rapporti violenti hanno tutti come base il tentativo di un partner di controllarne l’altro. Parlo genericamente di partner perché ci sono casi in cui avviene il contrario ed anche casi in cui entrambi i partner sono dello stesso sesso. Qui, per comodità di linguaggio e vista la data, mi concentrerò sul caso in cui sia il partner maschile ad agire violenza su quello femminile.

La violenza ha mille volti. Si parla più facilmente di quella fisica perché lascia segni più evidenti, talvolta così pesanti da causare la morte della compagna. Meno riconosciuta e più sottovalutata è quella psicologica, che generalmente accompagna anche la prima. L’uomo la perpetra svalutando in continuazione la compagna, denigrandola, seguendone gli spostamenti, isolandola con la scusa della gelosia, minacciandola, cercando di toglierle ogni barlume di autostima ed autonomia. In questo modo pensa di legarla a sé, di poterla controllare in tutte le sue azioni. La donna diventa non più una compagna, ma un oggetto da possedere, dominare e manipolare.

Questa bramosia di possesso è figlia di una società in cui i valori relazionali come la cooperazione, la parità, l’empatia sembrano perdere sempre più il loro significato. Io non valgo per la persona che sono, ma per ciò che sono riuscito a guadagnare, a conquistare e non posso permettermi di perderne il controllo. Non posso permettermi di sentirmi inferiore, spodestato. Per questo la persona che mi sta accanto deve sentirsi un gradino sotto di me, deve dipendere da me: devo annientarne la volontà, con le botte o con le mie azioni.

Il vuoto che viene fatto attorno alla donna la renderà ancora più vulnerabile e bisognosa dell’approvazione del partner. Spesso lei si sente in colpa, magari per averlo provocato o forse semplicemente perché si è convinta di non valere abbastanza da poter meritare un amore incondizionato e genuino.

Così nasce la violenza e così continuerà a tramandarsi.

Per combattere una (in)cultura che rinnega l’importanza di ogni singola persona, il valore autentico delle relazioni, l’uguaglianza e l’empatia è necessario ristabilire le nostre priorità. Ma è prima di tutto importante sapere amare se stessi, saper gestire la propria rabbia e non sentire il bisogno di sminuire chi ci sta accanto per poterci sentire migliori. “Gran parte dell’infelicità, e dei disturbi di personalità, si possono ricondurre ad un investimento affettivo su qualcosa che ci è stato tolto o non si può avere, sull’impiego di strategie sbagliate per ottenerlo, o sulla scelta sbagliata di un oggetto di desiderio, che non è in grado di offrire le gratificazioni che ce ne aspettiamo.”[i]

Esistono centri di accoglienza e sostegno per le vittime di violenza[ii], ma ne esistono anche di ascolto e supporto per gli autori di violenza. Le vittime sono tante e molte non si rendono conto di esserlo. Quello che noi tutti possiamo fare, per combattere la violenza, è saper ascoltare chi ci sta vicino, cogliere i suoi disagi e saperle/gli stare accanto, esserle/gli di sostegno, aiutarla/lo a recuperare la propria autostima. La violenza si può affrontare, non senza fatica, certo, ma esistono tanti enti e tante persone che si prendono cura di chi la subisce. Informiamoci su quali sono i centri antiviolenza vicini a noi, nei casi gravi sappiamo che possiamo appoggiarci anche alle forze dell’ordine. Ma sappiamo anche che basta una chiamata per chiedere aiuto, grazie al numero gratuito nazionale 1522[iii].

Non esitiamo a chiedere aiuto, per noi stessi o per i nostri cari.

Abbiamo davvero bisogno di decolonizzare l’immaginario dalla società maschilista in cui viviamo e di ricominciare a vivere le relazioni in maniera autentica e paritaria.

Impegniamoci in ogni modo a promuovere una cultura della nonviolenza.

 

 Selene Bianco

 


[i]           R. Fesce “I sistemi gratificazionali e la motivazione del comportamento”

            http://www.neuroworld.it/neuroni%26psiche/RF_gratimoti.pdf

[ii]             http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/numeri-di-pubblica-utilita-sezione/2557-numero-verde-1522-antiviolenza-donna

[iii]          http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/numeri-di-pubblica-utilita-sezione/117-numero-verde-1522-antiviolenza-donna