In un recentissimo articolo apparso sul NEJM ci si chiede come mai l’insulina, scoperta quasi un secolo fa e il cui brevetto fu ceduto nel 1923 al prezzo simbolico di un dollaro (e con la raccomandazione che non si facesse mai profitto di una farmaco salvavita) non sia ancora disponibile come prodotto generico.(1) Una volta ricevuto il brevetto l’Università di Toronto si rese subito conto che non sarebbe mai riuscita a produrre insulina per il fabbisogno del Nord America, così lo cedette alla Eli Lilly per gli Stati Uniti, lo tenne per sé invece per il resto dei mercati, vendendolo poi ad altre industrie farmaceutiche come la Nordisk danese (oggi Novo Nordisk). Già negli anni ’30 Hagedorn, che lavorava per la Nordisk, aggiunse della protamina all’insulina, prolungandone l’azione, ma anche il brevetto. Successivamente, con aggiunta di zinco, si riuscì a produrre un’insulina/protamina miscibile all’insulina regolare, lanciando sul mercato l’insulina NPH (neutral protamine Hagedorn), un altro brevetto, datato 1946. Negli anni ’50 si introdusse l’insulina cosiddetta ‘lenta’ arrivando ad estendere i brevetti sino agli anni ’70. Estrarre insulina dal pancreas di bovini e suini comportava la presenza di impurità con conseguenti reazioni immunologhe, così Novo Nordisk introdusse l’insulina monocomponente, altamente purificata, arrivando con il brevetto fino agli anni ’80.
Con l’arrivo delle biotecnologie, Genentech produce la prima insulina ricombinante da E. Coli nel 1978. Nel medesimo tempo Novo Nordisk brevettava il metodo per convertire l’insulina bovina in umana e più tardi iniziava a produrre insulina ricombinante umana. Siamo nel 1988, un altro brevetto. Una nuova serie di brevetti permette a Lilly, Novo Nordisk e Genentech di arrivare alle soglie del 21° secolo. Sempre con la biotecnologia fu quindi possibile sostituire singoli aminoacidi per ottenere insuline con proprietà farmacodinamiche differenti, come ad esempio la Glargine, che ha visto il suo brevetto scadere nel 2014. L’EMA ha potuto allora approvare la prima glargine/biosimilare, ma con un vantaggio economico modesto. ‘Copiare’ molecole enormi e complesse con un processo di registrazione molto più difficoltoso comporta un abbattimento dei prezzi di non più del 20-40%, ben inferiore all’80% che si ottiene in genere con gli equivalenti dei farmaci tradizionali.
É accaduto per l’insulina lo stesso processo di evergreening che abbiamo visto per molti altri farmaci, un esempio fra tutti il Neurontin Pfizer che diventa Lyrica nel 2004, non chiaramente più efficace, ma sicuramente più costoso. Il Neurontin però rimaneva comunque in vendita e a prezzo molto più basso. Invece, mano a mano che entravano in commercio le insuline modificate, i prodotti tradizionali estratti dal pancreas animale uscivano dal commercio, e successivamente divenivano irreperibili anche le insuline NPH ed R, dopo l’ingresso delle insuline biotecnologiche. Certo, se abbiamo di fronte un’insulina ‘migliore’, è giusto usare quest’ultima e offrire al produttore un compenso corrispondente all’innovazione, ma purtroppo non sembra sia così. Nel suo recente libro di denuncia Deadly Medicines and Organised Crime, Peter Gøtzsche scrive che per l’ingresso nel mercato delle insuline biotecnologiche, Novo Nordisk aveva lanciato nel 2006 una campagna aggressiva nei confronti dei medici con la promessa di campioni gratuiti, pranzi pagati e partecipazione a congressi, incrementando le vendite del 364% (la concorrente Eli Lilly vide le vendite aumentare solo del 13%).(2) In poco tempo i pazienti si videro sostituire la ‘vecchia’ insulina (poi sparita dal commercio) con un prodotto dall’azione più rapida e perciò potenzialmente pericoloso e letale, se non accompagnato da informazioni dettagliate.
Un’altra campagna altrettanto efficace venne messa in opera con le insuline ‘modificate’ per mezzo di biotecnologie, così la sola Glargine produsse un incremento di vendite pari a 5.1 miliardi di $ per la Sanofi-Aventis, e gli altri analoghi dell’insulina 4.7 miliardi di $ per la Novo Nordisk e 3.1 miliardi di $ per Eli Lilly. Questo indipendentemente da reali vantaggi per la maggior parte dei diabetici tipo 2, se si eccettuano i soggetti più propensi ad importanti episodi di ipoglicemia.(2)
Nel 2012 sono apparsi alcuni articoli sul BMJ dove già dal titolo si ipotizza un fenomeno commerciale più che un reale progresso: sales or science?(3,4) Alcune evidenze scientifiche a supporto delle nuove insuline presentano importanti falle metodologiche. In uno studio manca il braccio di controllo, in altri i risultati favorevoli vengono dimostrati solo in sottogruppi ad hoc e con il contributo di autori che erano dipendenti dall’azienda produttrice.
Morale: non si trovano più in commercio le ‘vecchie’ insuline, senza che le nuove abbiano ancora dimostrato chiaramente di essere migliori delle sorelle più povere. Così non è potuto avvenire ciò che tradizionalmente si osserva nel mercato dei farmaci: quello uscito di brevetto può essere prodotto anche da altre aziende a prezzi inferiori. A quasi un secolo dalla sua scoperta l’insulina è ancora un farmaco branded dai costi molto elevati.
Traduzione e adattamento di Giovanni Peronato
1. Greene JA et al. Why Is There No Generic Insulin? Historical Origins of a Modern Problem. N Engl J Med 2015;372:1171-2
2. Gøtzsche P. Deadly Medicines and Organised Crime. Radcliffe Publishing. London 2013
3. Gale EAM. Post-marketing studies of new insulins: sales or science? BMJ 2012;344:e3974
4. Yudkin JS. Post-marketing observational trials and catastrophic health expenditure. BMJ 2012;344:e3987