SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.244 DEL 18/02/16
INDICE
- Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights! – n.9
- I dirigenti devono garantire la sicurezza anche se non hanno un’investitura formale
- Depenalizzazione: i chiarimenti del ministero del lavoro
– Fibre artificiali vetrose: le linee guida e effetti sulla salute
– Rischio esplosione: normativa ATEX e sistemi di protezione
- Rischio rumore: come valutare l’esposizione dei lavoratori
- Infortunio per comportamento abnorme e mancata formazione: le responsabilità
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.
L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica
https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156
http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.9
Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
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Ciao Marco,
ho un dubbio.
Io sono preposto in un appalto (impresa di pulizie).
Lavoriamo di sera fino alle 22. Se sono presente aspetto l’uscita di tutti gli addetti prima di andarmene cosi da avere la certezza che tutti stiano bene, ma quando non ci sono io questa mansione dovrebbe essere svolta dal preposto di fatto che si rifiuta e alle 21.55 sono già tutti nei pressi della timbratrice, lasciando indietro i lavoratori più lenti.
Se dovesse accadere qualcosa duranti la mia assenza posso essere considerato responsabile?
Ciao,
presumo da quanto scrivi che tu sia stato nominato preposto in maniera formale.
Tu operi correttamente aspettando l’uscita di tutti i lavoratori e da questo punto di vista non hai nessuna responsabilità.
Il problema si pone quando tu non ci sei ed è presente quello che tu definisci un “preposto di fatto”, quindi persona con responsabilità (anche se non formale, appunto di fatto) nei confronti degli altri lavoratori che non si attiene a quanto tu fai.
Il problema è che tu, in quanto preposto, sei a conoscenza di una situazione di potenziale pericolo per i lavoratori, non per causa tua, ma per causa sia dell’altro “preposto di fatto”, sia della mancanza di una procedura aziendale formale che imponga a te e, in tua assenza, all’altro preposto di fatto di aspettare l’uscita di tutti i lavoratori.
Tieni conto che l’articolo 19, comma 1, lettera f) del D.Lgs.81/08 (Testo Unico per la sicurezza) impone come obbligo a carico del preposto quello di:
“segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”.
Pertanto, tu, essendo venuto a conoscenza di una situazione di pericolo (il fatto che alcuni lavoratori rimangano da soli), hai l’obbligo di segnalarlo (possibilmente in maniera formale) al tuo dirigente o datore di lavoro, specificando che, mentre tu aspetti tutti i lavoratori, il tuo collega non lo fa e chiedendo di formalizzare una procedura o un ordine di servizio che imponga anche al tuo collega di aspettare tutti i lavoratori.
In questo modo ti sollevi completamente da qualunque responsabilità. Se l’azienda non definisce la procedura e/o non vigila sull’operato del tuo collega in tua assenza, non è certo colpa tua.
Ma la segnalazione del pericolo è comunque cosa da fare.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
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Buongiorno Marco,
vorrei porti un quesito, riguardante la sicurezza a scuola.
Sono una maestra statale di Sanremo. L’insegnante fiduciaria del plesso in cui lavoro oggi mi ha consegnato un modulo da compilare, e restituire al dirigente dell’istituto scolastico, in cui io dovrei dichiarare che dal giorno X ho portato nella mia sede di servizio uno strumento di personale proprietà (a copertura di carenza strumentale dell’istituzione) con descrizione dello stesso (ad esempio computer, iPad, ecc.).
Nonostante io sia stata, in passato, anche RLS, non riesco a capire in base a quale normativa io dovrei dichiarare quali strumenti di mia proprietà uso a scuola.
Se puoi, per favore, fammi sapere se sono tenuta o meno a compilare il modulo.
Ti ringrazio sin d’ora.
Ciao,
innanzitutto trovo aberrante che la scuola pubblica chieda ai professori di portare propria strumentazione “a copertura di carenza strumentale dell’istituzione”.
D’altro canto se agli alunni si chiede di portate la carta igienica, non ci si può aspettare altro.
Da un punto di vista della sicurezza sul lavoro, non ci sono particolari responsabilità, in quanto strumenti come computer, tablet, ecc. sono marcati CE e quindi sicuri.
Credo che il modulo che ti vogliono fare firmare sia una forma di garanzia nei tuoi confronti in caso di furto, rottura o altro. Pertanto oltre al tipo di strumentazione segna anche il modello e numero di matricola
Tieni conto però che prestando una tua attrezzatura alla scuola, rientri comunque nell’ambito di applicazione del D.Lgs.81/08.
Infatti l’articolo 72 comma 1 di tale Decreto impone come obblighi a carico dei noleggiatori e dei concedenti in uso il seguente:
“Chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all’articolo 70, comma 1, deve attestare, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V”.
Nel tuo caso tu concedi in uso, a titolo gratuito, la tua attrezzatura alla scuola e quindi ricadi, almeno teoricamente, nell’ambito di applicazione di tale articolo.
Ripeto però che non ci sono particolari problemi, in quanto se si tratta di attrezzature elettroniche (computer, tablet, ecc.) queste sono sicuramente marcate CE e quindi certificate secondo le applicabili Direttive Europee di Prodotto (Direttiva Bassa Tensione e Direttiva Compatibilità Elettromagnetica). Quindi esse non rientrano tra le attrezzature costruite “al di fuori della disciplina di cui all’articolo 70, comma 1” e tu non devi fare proprio niente.
Ti consiglio comunque, onde evitare possibili problemi, di aggiungere la frase:
“Il sottoscritto manleva ogni responsabilità derivante da un uso non conforme alle istruzioni del fabbricante dell’attrezzatura portata all’interno della scuola”, tanto per garantirti da eventuali usi non conformi (ad esempio smontaggio della parte elettrica) dell’attrezzatura.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
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Ciao Spezia,
sono RSU di Cobas del privato.
Ti invio questa richiesta.
In un magazzino logistica abbiamo indetto elezioni per il RLS e per sfortuna ha vinto una candidata UIL, la quale non è mai in azienda e ci risulta in malattia o permesso (non sappiamo). Ma comunque è assente dal magazzino da febbraio 2015.
Cosa possiamo fare?
Il secondo eletto era Cobas.
Possiamo chiedere all’azienda di sollevare dall’incarico il RLS, mettere al suo posto il secondo eletto o indire nuove elezioni.
Ti ringrazio per la risposta.
Ciao,
ho analizzato i CCNL relativi al settore logistica privata, ma nessuno di essi esamina il caso che tu segnali, né da indicazioni su come sfiduciare o chiedere le dimissioni di un RLS che non svolga in maniera corretta il proprio ruolo.
Tieni conto che anche il D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza) attribuisce al RLS dei diritti, ma nessun dovere o obbligo legislativo.
Dei CCNL esaminati l’unico che affronta l’aspetto dei RLS è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di Logistica, Trasporto merci e Spedizione del 29 gennaio 2005, che all’articolo 43 “Rappresentante per la sicurezza (RLS), specifica quanto segue:
“1) La figura del RLS è disciplinata dall’articolo 18 del D.Lgs.626/94 [attualmente articolo 47 del D.Lgs.81/08], in base al quale detta figura è eletta o designata in tutte le aziende o unità produttive, nonché dall’Accordo interconfederale del 24/07/96.
2) Nelle aziende o unità produttive fino a 15 dipendenti il RLS è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Ai sensi del citato articolo 18, del D.Lgs.626/94, nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il RLS può altresì essere individuato per più aziende nell’ambito territoriale; la disciplina del Rappresentante territoriale per la sicurezza e le relative modalità di nomina saranno stabilite in sede di contrattazione integrativa territoriale anche nell’ambito degli Osservatori regionali.
3) Nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti i RLS si individuano tra i componenti della RSU. La procedura di elezione è quella applicata per le elezioni della RSU. Nei casi in cui la RSU non sia stata ancora costituita (e fino a tale evento) e nell’unità produttiva operino le RSA, i RLS sono eletti dai lavoratori al loro interno.
4) I RLS restano in carica 3 anni”.
Il citato Accordo Interconfederale del 24 Luglio 1996 Tra Confetra e CGIL, CISL e UIL sulla Sicurezza sul Lavoro si limita a specificare le modalità di elezione o designazione del RLS.
Nelle aziende o unità produttive fino a quindici dipendenti le modalità sono le seguenti.
“L’elezione si svolge a suffragio universale diretto e a scrutinio segreto, anche per candidature concorrenti. Risulterà eletto il lavoratore che ha ottenuto il maggior numero di voti espressi.
Prima dell’elezione, i lavoratori nominano tra di loro il segretario del seggio elettorale, il quale, a seguito dello spoglio delle schede, provvede a redigere il verbale dell’elezione. Il verbale è comunicato senza ritardo al datore di lavoro.
Hanno diritto al voto tutti i lavoratori iscritti a libro matricola e possono essere eletti tutti i lavoratori non in prova con contratto a tempo indeterminato che prestano la propria attività nell’unità produttiva.
La durata dell’incarico è di 3 anni”.
Nelle aziende o unità produttive con più di quindici dipendenti le modalità sono le seguenti.
“All’atto della costituzione della RSU il candidato a rappresentante per la sicurezza viene indicato specificatamente tra i candidati proposti per l’elezione della RSU.
La procedura di elezione è quella applicata per le elezioni delle RSU.
Nei casi in cui sia già costituita la RSU ovvero siano ancora operanti le rappresentanze sindacali aziendali, per la designazione del rappresentante per la sicurezza si applica la procedura che segue.
Entro novanta giorni dalla data del presente accordo i RLS sono designati dai componenti della RSU al loro interno.
Tale designazione verrà ratificata in occasione della prima assemblea dei lavoratori.
Nei casi in cui la RSU non sia stata ancora costituita (e fino a tale evento) e nella unità produttiva operino le RSA delle organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie, i RLS sono eletti dai lavoratori al loro interno secondo le procedure sopra richiamate per le unità produttive con numero di dipendenti inferiore a 16, su iniziativa delle organizzazioni sindacali.
In assenza di rappresentanze sindacali in azienda, i RLS sono eletti dai lavoratori dell’azienda al loro interno secondo le procedure sopra richiamate per il caso delle unità produttive con numero di dipendenti inferiori a 16, su iniziativa delle Organizzazioni Sindacali.
Il verbale contenente i nominativi dei RLS deve essere comunicato alla direzione aziendale, che a sua volta ne dà comunicazione, per il tramite dell’associazione territoriale di appartenenza, all’organismo paritetico territoriale che terrà il relativo elenco.
I rappresentanti per la sicurezza restano in carica 3 anni”.
Nel vostro caso pertanto non avete molti spazi di manovra.
Una prima cosa che ti consiglio di fare è verificare che l’elezione o designazione della RLS della UIL sia stata fatta secondo quanto stabilito dall’Accordo di cui sopra, richiamato a sua volta dal vostro CCNL.
Se ciò non è stato fatto potete contestare le modalità di elezione o designazione e richiedere che essa sia ripetuta e svolta secondo l’Accordo.
Se invece le elezioni si sono svolte secondo le modalità previste, non vi resta che convincere la RLS a dimettersi (magari coinvolgendo la UIL locale), giustificando la richiesta con l’oggettiva difficoltà o impossibilità per la RLS di svolgere il proprio ruolo e poi richiedere di indire una nuova elezione o designazione.
Se la RLS non si vuole dimettere, non vi resta che aspettare la scadenza del mandato triennale (secondo CCNL e Accordo).
Rimane un’ulteriore possibilità che però non è avvallata da sostegno legislativo, né contrattuale che è quella di richiedere l’intervento del RLS Territoriale (possibilmente della UIL) a cui fare presente che, tenendo conto che la RLS aziendale non è in grado di svolgere il suo ruolo, è necessario che esso venga svolta appunto dal RLS Territoriale.
Nulla potete invece nei confronti dell’azienda, in quanto essa non ha alcun poter in merito alla elezione del RLS e allo svolgimento dei sui compiti, ma ha solo l’obbligo di permettergli l’esercizio delle sue attribuzioni. Se il RLS non esercita tali attribuzioni, l’azienda non è tenuta a farglielo fare.
A disposizione per eventuali chiarimenti.
Marco
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Buongiorno Marco,
chi ti scrive è un RLS di una grossa cooperativa di lavoratori che si occupa di logistica, movimentazione merci, ricevimento e spedizioni merci.
Da qualche mese nel nostro magazzino è stato introdotto il “voice picking”, cioè la preparazione degli ordini su bancale tramite sistemi di riconoscimento vocale, introdotto dal datore di lavoro per velocizzare i processi aziendali, in sintesi per aumentare la produttività.
Il principio di base del sistema è quello di sostituire al video di un terminale i comandi vocali trasmessi nella cuffia, e, al lettore di barcode, o alla tastiera, la voce dell’operatore raccolta dal microfono. I sistemi per il riconoscimento vocale identificano come dati le parole pronunciate dai lavoratori e forniscono come risposta le istruzioni e le conferme via audio.
Questa tecnologia, a mio modesto avviso, comporta comunque dei rischi, legati all’inquinamento elettromagnetico: 8 ore al giorno con la cuffia e il dispositivo sempre acceso.
In rete internet non ho rintracciato riscontri su possibili rischi alla salute dei lavoratori che utilizzano questa nuova tecnologia. Se tu fossi a conoscenza di problematiche relative a questo tema, te ne sarei molto grato.
Ti ringrazio anticipatamente.
Ciao,
personalmente non ho esperienze dirette sul sistema di “voice picking”, né ho trovato documentazione sul rischio da campi elettromagnetici (CEM) relativo a tale tecnologia.
Per mia esperienza personale, relativa a CEM di sistemi di trasmissione dati wireless, ti posso però dire che, stando almeno ai limiti definiti dal D.Lgs.81/08 (Decreto), non sussistono particolari rischi.
In particolare ho eseguito misurazioni dirette di intensità di CEM ad alta frequenza sui seguenti apparati, simili come frequenze di emissione e potenza al sistema “voice picking”:
- reti wireless aziendali;
- sistemi di trasmissione dati da monitor su gru portuali;
- sistemi di trasmissione dati da monitor su carrelli elevatori.
In tutti tali casi i valori misurati per il campo elettromagnetico “E” risulta di pochi V/m (minori di 5) a fronte del limite più cautelativo (in funzione della frequenza) definito dalla parte B dell’Allegato XXXVI del Decreto, che è di 61 V/m tra i 10 e i 400 MHz.
Gli apparati misurati, anche se non a diretto contatto con la testa dell’operatore, risultavano in molti casi (carrelli e gru) molto vicini (meno di 200 mm) dalla testa.
Ritengo quindi che anche per i sistemi di “voice picking” i valori di “E” di cui sopra non debbano essere superati.
Ti ricordo comunque che è obbligo specifico del datore di lavoro della tua azienda aggiornare il Documento di Valutazione del Rischio (DVR) a seguito dell’introduzione del sistema di “voice picking” (articolo 29, comma 3 del Decreto), in quanto trattasi “di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori”.
La valutazione del rischio da CEM è disciplinata dal Titolo VIII Capo IV del Decreto, che all’articolo 209, comma 1, specifica che il datore di lavoro, nell’ambito del DVR di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 “valuta e, quando necessario, misura o calcola i livelli dei campi elettromagnetici ai quali sono esposti i lavoratori”.
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NOTA
Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:
ASL = Azienda Sanitaria Locale
CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto
RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08 o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
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I DIRIGENTI DEVONO GARANTIRE LA SICUREZZA ANCHE SE NON HANNO UN’INVESTITURA FORMALE
Da Il Sole 24 Ore
22 gennaio 2016
Giovanni Negri
Sono rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto Nazionale (tre ragazzini morti e due feriti) il 6 aprile 2009, mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l’inagibilità della scuola la cui instabilità era nota.
Almeno quella notte, avrebbero potuto organizzare l’evacuazione degli studenti.
Per queste ragioni la Corte di Cassazione con Sentenza del 21/01/16, ha confermato le condanne per omicidio colposo e lesioni per l’ex Rettore del Convitto e per l’allora dirigente provinciale responsabile dell’edilizia scolastica.
“La situazione di allarme sismico era talmente conclamata che il sindaco di L’Aquila aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico” – ricorda la sentenza – “Se fosse stata fatta la valutazione di pericolosità, non sarebbe mancata una analoga ordinanza di inagibilità che avrebbe salvato gli allievi del convitto”.
La Corte di Cassazione, poi, sul piano più squisitamente giuridico, interviene a favore di una concezione sostanziale della posizione di garanzia. In questo senso è maestra la Sentenza delle Sezioni Unite Penali del 24 aprile 2014 sulla vicenda Thyssen-Krupp per la quale la posizione di garanzia può essere prodotta non solo da un’investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante.
Di particolare importanza è allora concentrare l’attenzione sulla concreta organizzazione della gestione del rischio: milita in questo senso, osserva la Corte, l’articolo 299 del Testo unico sulla sicurezza del lavoro.
Del resto, avverte la Sentenza, bisogna fare riferimento “a una visione eclettica della fondazione del ruolo di garanzia che ha in parte superato la storica concezione formale. Si è sviluppata una elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell’imputazione per omissione, connessa all’esigenza di natura solidaristica di tutela di beni giuridici attraverso l’individuazione di un soggetto gravato dal ruolo di garante della loro protezione”.
Si tratta di un’impostazione che, agli occhi dei giudici della Cassazione, presenta una pluralità di vantaggi. Innanzitutto, nella prospettiva dell’ordinamento penale, seleziona in senso restrittivo il dovere di agire nell’ambito di una sterminata lista di obblighi presenti nell’ordinamento.
In questo modo possono anche essere fronteggiate situazioni nelle quali, anche se esiste un vizio della fonte contrattuale dell’obbligo, c’è stata l’assunzione effettiva di un ruolo di garante, la cosiddetta, precisa la Corte, presa in carico del bene protetto. Come pure possono essere affrontate situazioni analoghe a quelle previste dalla fonte legale dell’obbligazione, come nel caso della consolidata convivenza in un rapporto familiare o istituzionale.
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DEPENALIZZAZIONE: I CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO
Da Studio Cataldi
14 febbraio 2016
di Valeria Zeppilli
DEPENALIZZAZIONE: I CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO
LE INDICAZIONI CONTENUTE NELLA CIRCOLARE MINISTERIALE 6/15 IN RELAZIONE AI REATI COINVOLTI DALLA RIFORMA
Anche il Ministero del Lavoro, con la circolare numero 6 del 5 febbraio 2016 ha detto la sua in materia di depenalizzazione, fornendo chiarimenti operativi a tutto il personale ispettivo, per permettere un’applicazione corretta delle nuove previsioni, in particolare quelle riguardanti la materia del lavoro e della legislazione sociale.
Il Ministero ha innanzitutto ricordato che la depenalizzazione è esclusa per i reati di cui al Testo Unico in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, che, quindi, conservano la loro natura penale anche nel caso in cui siano puniti con la sola pena pecuniaria.
Per gli illeciti coinvolti nella depenalizzazione, invece, il Ministero chiarisce che due sono i regimi sanzionatori oggi previsti: quello applicabile agli illeciti commessi prima del 6 febbraio (cosiddetto “regime intertemporale”) e quello applicabile agli illeciti commessi dopo (cosiddetto “regime ordinario”). Chiarendo, quindi, come devono comportarsi gli organi ispettivi nell’uno e nell’altro caso.
La Circolare ricorda, poi, che a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 8/16 il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all’articolo 2, comma 1-bis, del Decreto Legge numero 463 del 1983 è oggi “scomposto” in due diverse fattispecie di illecito: una di natura penale e l’altra di natura amministrativa.
In particolare, è penale il caso in cui l’omissione ecceda i dieci mila euro annui: la sanzione, in tal caso, continua infatti ad essere quella della reclusione fino a tre anni e della multa fino a 1.032 euro.
E’ invece ora soggetta alla sola sanzione amministrativa compresa tra 10.000 euro e 50.000 euro l’omissione che non eccede i 10.000 euro annui.
Il tutto con la precisazione generale che il datore di lavoro che provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione non è penalmente punibile né amministrativamente sanzionabile.
Il Ministero chiarisce poi che per individuare l’Autorità Competente a contestare la relativa sanzione occorre far riferimento al criterio di cui all’articolo 35, comma 2, della Legge 689/81, in base alla quale l’ordinanza-ingiunzione per le violazioni consistenti nell’omissione totale o parziale del versamento di contributi e premi è emessa dagli enti e istituti gestori delle forme di previdenza e assistenza obbligatori. Ovverosia, dalla sede provinciale INPS territorialmente competente.
la Circolare numero 6 del 5 febbraio 2016 del Ministero del Lavoro è scaricabile all’indirizzo:
http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Documents/2016/Circolare%20n%206%20del%202016.pdf
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FIBRE ARTIFICIALI VETROSE: LE LINEE GUIDA E EFFETTI SULLA SALUTE
Da: PuntoSicuro
28 gennaio 2016
di Tiziano Menduto
Le nuove linee guida inerenti i rischi di esposizioni alle fibre artificiali vetrose e i potenziali effetti sulla salute.
Gli effetti infiammatori sulle strutture polmonari, gli effetti irritativi, il rischio cancerogeno e gli obiettivi delle linee guida.
Le fibre artificiali vetrose, chiamate anche con l’acronimo FAV, sono materiali che appartengono ad un’ampia famiglia di fibre artificiali inorganiche, con caratteristiche che differiscono non solo in funzione dell’utilizzo finale ma anche delle modalità di produzione. In relazione al processo produttivo possiamo ad esempio distinguere:
- fibre a filamento continuo: prodotte per fusione in filiere e successiva trazione (il diverso tenore di silice ne condiziona le differenti proprietà tecniche e i relativi utilizzi in campo tessile, per usi elettrici, per rinforzo per plastica e cemento);
- lane(di vetro, lana di scoria e lana di roccia): prodotte dopo fusione delle materie prime, principalmente per fibraggio in centrifuga o centrifugazione/soffiatura (buona resistenza alla trazione e bassa resistenza all’impatto e all’abrasione, alto isolamento termico-acustico);
- fibre ceramiche: prodotte con soffiatura/filatura, attraverso processi chimici a temperature più elevate (hanno un’estrema resistenza alle alte temperature, bassa conducibilità termica,elettrica ed acustica, risultano inattaccabili dagli acidi);
- fibre speciali(microfibre di vetro).
E proprio in relazione alla grande diffusione di queste fibre per le particolari proprietà delle FAV il Ministero della Salute è intervenuto prima con la Circolare n. 23 del 25 novembre 1991 e successivamente ha istituito un gruppo di lavoro che è arrivato alla definizione delle linee guida “Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV): Linee guida per l’applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute”, approvate dalla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 25 marzo 2015.
A presentare e raccontare in questo modo le linee guida approvate è un intervento di Giancarlo Marano (Ministero della Salute) che si è tenuto al recente convegno organizzato da Assoprev e dal titolo “FAV – Le fibre artificiali vetrose. Linee Guida della Conferenza Stato Regioni sui rischi e le misure di prevenzione per la tutela della salute” (Milano, 3 Dicembre 2015).
Nell’intervento “FAV: obiettivi delle linee guida e percorso di elaborazione”, a cura di Giancarlo Marano, si indicano brevemente le motivazioni che hanno portato alla stesura delle linee guida:
- necessità di differenziazione dei rischi in relazione alle diverse caratteristiche delle FAV;
- assenza di stime del numero degli esposti per ragioni professionali;
- assenza di valori limite o di riferimento per le FAV riguardanti la qualità dell’aria in ambienti di lavoro;
- necessità di sistematizzare le informazioni sulla tossicità delle FAV in relazione alla classificazione in ambito REACH e CLP.
Motivazioni che comprendevano anche la necessità di rispondere alle sollecitazioni pervenute dalle ASL in relazione a diverse problematiche per gli Operatori della Prevenzione nell’intervenire e verificare la conformità in tutte le fasi di utilizzo delle FAV, dalla commercializzazione, all’uso e controllo dei materiali fibrosi sintetici da rimuovere.
Era poi necessario fornire informazioni aggiornate e corrette alla popolazione sui possibili effetti sulla salute che possono derivare da un’esposizione a FAV e sul prevedibile impatto sulla salute e sull’ambiente in occasione di demolizioni con possibile liberazione di fibre nell’aria circostante.
L’intervento si sofferma ampiamente anche su alcune considerazioni generali relative agli effetti sulla salute della FAV.
Ad esempio si indica che:
- la forma, le dimensioni e il rapporto dimensionale lunghezza/diametro (L/D), sono parametri importanti per la tossicità di una qualsiasi fibra in quanto ne determinano le proprietà aerodinamiche, che condizionano sostanzialmente le caratteristiche di inalabilità, deposito e biopersistenza;
- gli effetti sulla salute che possono derivare da un’esposizione a FAV risultano sostanzialmente condizionati dall’interazione tra le caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche presentate dalle diverse fibre, rispetto alle capacità difensive dell’organismo esposto; capacità che possono variare in relazione a fattori di rischio voluttuari (fumo di sigaretta) e per fattori di rischi individuali in grado di incidere negativamente sui meccanismi difensivi che assicurano la rimozione, l’allontanamento e l’espulsione o la dissoluzione delle particelle o fibre depositate, in rapporto al livello, durata e modalità di esposizione.
E riguardo ai potenziali effetti infiammatori sulle strutture polmonari si indica che:
- come conseguenza del loro depositarsi in un qualunque tratto delle vie respiratorie, le FAV in rapporto alle caratteristiche di biopersistenza possedute, sono in grado di attivare processi infiammatori, con presenza di cellule infiammatorie negli spazi alveolari, interstiziali peribronchiali e perivasali;
- per le fibre ad elevata biopersistenza, attraverso l’attivazione di fibroblasti e la deposizione di matrice connettivale possono innescarsi anche alterazioni anatomopatologiche del parenchima polmonare.
In particolare gli effetti irritativi delle FAV con diametro maggiore di 4μm su cute e mucose sono oramai accertati (NIOSH, 2006). Gli effetti irritativi comunque osservati sarebbero da ascrivere ad azione di tipo meccanico (sfregamento) e non alla composizione chimica. Non sono invece risolutive, per l’esiguità degli studi disponibili, le osservazioni relative a patologie cutanee allergiche attribuite ad additivi utilizzati per la lavorazione delle FAV.
Veniamo al rischio cancerogeno.
Riguardo alla cancerogenicità le diverse caratteristiche fisiche e chimiche delle FAV non permettono un’individuazione generalizzata degli eventuali meccanismi di cancerogenesi potenzialmente correlabili all’esposizione, anche in relazione alle potenzialità cancerogene mostrate da alcune FAV (fibre ceramiche), che ne ha determinato la classificazione come cancerogene, il meccanismo dell’azione tossica non risulta ancora del tutto chiarito. In analogia a quanto rilevato nei confronti dell’asbesto, anche in questo caso si potrebbe assumere che il coinvolgimento di queste fibre artificiali nella produzione di radicali liberi di ossigeno possa rappresentare uno degli elementi più importanti nel dare il via al processo di oncogenesi, innescando un danno al genoma cellulare, quale conseguenza dello stress ossidativo, con conseguente mutazione ed eventuale trasformazione in cellule neoplastiche.
Si ricorda che nella monografia IARC del 2002 si è concluso per una inadeguata evidenza di cancerogenicità delle lane minerali nell’uomo con riclassificazione nel gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno per l’uomo). Tale osservazione è ripresa nella attuale classificazione europea che prevede per le lane minerali (numero di indice: 650-016-00-2) la categoria 2 per la cancerogenesi.
In ogni caso l’attribuzione della classificazione “cancerogeno” è strettamente collegata al diametro medio geometrico della fibra e alla presenza degli ossidi alcalini e alcalino terrosi.
E con riferimento alle indicazioni e alle note relative alla classificazione di pericolo (vedi ad esempio il regolamento CLP), le fibre a filamento continuo con diametro medio geometrico pesato sulla lunghezza > 6μm, caratterizzate dalla proprietà di mantenere costante il diametro in caso di frammentazione sono esentate dalla classificazione come cancerogene poiché soddisfano i requisiti della nota R.
Dunque le linee guida, hanno voluto assicurare una corretta valutazione e consapevolezza dei rischi da parte di tutti i soggetti interessati, compresi gli utilizzatori finali, sia negli ambienti di lavoro che di vita e favorire sul piano della tutela della salute (superando anche aspetti tecnici cruciali, quali la metodologia analitica di riferimento da utilizzare per la determinazione della corretta classificazione delle diverse FAV oggi presenti sul mercato) l’adozione di misure di prevenzione adeguate, in linea con la vigente normativa, avendo come destinatari particolari, ma non esclusivi, sia i datori di lavoro che gli organi di vigilanza, che hanno la responsabilità di garantire il pieno rispetto della normativa.
E, conclude il relatore, l’obiettivo perseguito è stato quello non solo di fornire un valido contributo per poter assumere decisioni utili a tutelare il bene comune anche in termini di tutela dell’ambiente e del lavoro, ma anche di orientare positivamente il nostro modo di comportarci senza enfatizzazione o sottovalutazione del livello di rischio, riconducibile alla diversa composizione delle fibre artificiali vetrose, che ne determina anche i potenziali effetti biologici sostanzialmente diversi.
Il documento “FAV: obiettivi delle linee guida e percorso di elaborazione”, a cura di Giancarlo Marano (Ministero della Salute) è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/151214_FAV_linee_guida.pdf
Il documento “Conferenza Stato-Regioni del 25/03/15: Intesa sulle Linee guida per l’applicazione della normativa inerente i rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute alle fibre artificiali vetrose (FAV)” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.statoregioni.it/Documenti/DOC_046926_59%20CSR%20PUNTO%2012%20ODG.pdf
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RISCHIO ESPLOSIONE: NORMATIVA ATEX E SISTEMI DI PROTEZIONE
Da: PuntoSicuro
8 febbraio 2016
Una tesi di laurea affronta il tema delle atmosfere potenzialmente esplosive e della normativa ATEX correlata.
Focus sulla nuova direttiva ATEX 2014/34/UE e sui sistemi di protezione dalle esplosioni.
Le tesi di laurea universitarie sono a volte un luogo di riflessione sulle strategie di prevenzione e quasi sempre una buona sintesi, con un linguaggio comprensibile, delle problematiche inerenti la sicurezza e i fattori di rischio.
E’ questo il caso di una tesi di laurea che ha affrontato il tema del rischio esplosione e la normativa ATEX correlata, con riferimento anche alla Direttiva 2014/34/UE che andrà ad abrogare la Direttiva 94/9/CE con effetto decorrente dal 20 aprile 2016.
Stiamo parlando della tesi di laurea di Paolo Federle, dal titolo “Macchine e apparecchiature in ambienti ATEX”, elaborata per il corso di laurea in ingegneria meccatronica, dipartimento di tecnica e gestione dei sistemi industriali dell’ Università degli Studi di Padova.
La tesi ricorda che un’atmosfera esplosiva è definita come una miscela:
- di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri;
- con aria;
- in determinate condizioni atmosferiche;
- in cui, dopo l’innesco, la combustione si propaga all’insieme della miscela non bruciata.
E si indica che un’atmosfera suscettibile di trasformarsi in atmosfera esplosiva a causa delle condizioni locali e operative viene definita atmosfera potenzialmente esplosiva. Ed è solo a questo tipo di atmosfera potenzialmente esplosiva che sono destinati i prodotti oggetto delle Direttive ATEX.
Nel documento viene presentata la normativa ATEX, con particolare riferimento alla nuova Direttiva 2014/34/UE.
Infatti il 29 marzo 2014 è stata pubblicata la nuova Direttiva 2014/34/UE sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, una direttiva che andrà ad abrogare la vecchia 94/9/CE e che riguarda “l’armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle apparecchiature e ai sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera esplosiva”.
L’obiettivo della Direttiva 2014/34/EU è quello di garantire la libera circolazione dei prodotti ai quali si applica nel territorio dell’UE. Pertanto, la Direttiva, basata sull’articolo 95 del trattato CE, prevede i requisiti e le procedure per stabilire le conformità armonizzate.
Vediamo brevemente cosa cambia con la nuova Direttiva.
Si indica che le principali modifiche apportate riguardano la posizione giuridica degli operatori economici, come il legale rappresentante, distributore, importatore e produttore, mentre nulla di sostanziale è stato cambiato per quanto riguarda gli aspetti tecnici. La nuova Direttiva infatti presenta lo stesso campo di applicazione della precedente 94/9/CE e continua ad offrire due metodi per effettuare la valutazione della conformità dei prodotti:
- controllo della produzione interna o marcatura autocertificazione CE: il costruttore esegue la valutazione di conformità e documenta la valutazione in proprio;
- coinvolgimento di un Organismo Notificato.
In ogni caso per un confronto tra “vecchia” e “nuova” Direttiva ATEX, viene segnalato l’Allegato XII della 2014/34/UE che contiene una tavola di concordanza in cui è possibile verificare la corrispondenza dei vari articoli.
Dopo questo breve viaggio intorno alla normativa in materia ATEX, spostiamo la nostra attenzione sul contenuto del capitolo dedicato ai sistemi di protezione dalle esplosioni, sistemi che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva ATEX e si riferiscono a quei dispositivi la cui funzione è bloccare sul nascere le esplosioni e/o circoscrivere la zona da esse colpita.
In particolare i sistemi di protezione dalle esplosioni possono essere così suddivisi:
- sistemi di scarico dell’esplosione;
- sistemi di soppressione dell’esplosione;
- sistemi di isolamento dell’esplosione;
- equipaggiamenti resistenti all’esplosione.
Ed è evidente che la scelta e l’impiego di uno o più sistemi di protezione sono strettamente connessi al processo di analisi e valutazione del rischio di esplosione. Inoltre la riduzione degli effetti di una esplosione e la conseguente scelta dei dispositivi di protezione è legata a molteplici fattori, tra cui il tipo di processo produttivo, la logistica dell’impianto in cui potrebbe formarsi l’atmosfera esplosiva e fattori di tipo ambientale. Senza dimenticare che un aspetto rilevante per la protezione dalle esplosioni è l’aspetto progettuale, inteso come il complesso di scelte tecniche e dimensionali che consentono di ridurre gli effetti di una esplosione sin dalla fase di progetto.
La tesi si sofferma su alcuni dispositivi, ad esempio sui soppressori.
Si indica che i sistemi di protezione a soppressione si caratterizzano per il fatto che vengono impiegati per il rilevamento di una possibile esplosione e l’immediata soppressione nei suoi primi istanti, limitando fortemente l’incidenza di eventuali danni. A seguito del rilevamento delle prime fasi dell’esplosione, una sostanza soppressore dell’esplosione viene immediatamente scaricata all’interno del volume interessato dall’esplosione. In generale tale sostanza è contenuta all’interno di HRD (High Rate Discharge), cioè dispositivi a rilascio rapido.
Veniamo invece allo scarico di una esplosione (venting), una misura finalizzata a ridurne gli effetti: i sistemi di venting consentono infatti lo sfogo dell’esplosione attraverso sezioni ben definite riducendo la pressione di esplosione.
La tesi ricorda che in relazione al tipo di sostanza che ha generato l’esplosione, gas o polvere, i sistemi di venting possono differire in modo sostanziale per tipologia costruttiva, dimensioni e posizione in funzione dell’involucro da proteggere. Uno degli aspetti di fondamentale importanza che influenzano l’efficienza dei dispositivi di scarico è il corretto dimensionamento e posizionamento.
Dopo aver riportato altri dettagli sullo scarico dell’esplosione, la tesi si sofferma sui sistemi di isolamento dell’esplosione.
Si possono avere:
- sistemi attivi di isolamento che si basano sulla rilevazione preventiva dell’esplosione mediante sensori ed unità di controllo;
- sistemi passivi di isolamento che sono costituiti da dispositivi installati lungo le condotte di propagazione dell’esplosione e non richiedono sensori o sistemi di controllo.
Inoltre in relazione alle specifiche esigenze e alla tipologia di impianto, si possono trovare i seguenti dispositivi per la realizzazione di un sistema di isolamento:
- valvole di protezione, che possono essere sia attive che passive: quelle attive vengono controllate da sensori e, tramite il sistema di controllo, ne viene attivata la chiusura al momento dell’esplosione, per evitare che la stessa raggiunga le zone protette; mentre quelle passive, per esempio quelle di non ritorno (“flap valve”) impediscono la propagazione dell’esplosione e del suo fronte di fiamma;
- valvole rotative, impiegate in lavorazioni che prevedono la formazione di polveri a rischio di esplosione, consentono di poter arrestare il fronte di fiamma e di abbassare la pressione di esplosione, attraverso il blocco del rotore;
- deviatori, permettono la deviazione della propagazione del fronte di esplosione consentendo di ridurne gli effetti.
Infine la tesi si sofferma sugli equipaggiamenti resistenti all’esplosione.
Infatti un altro sistema di protezione contro le esplosioni consiste nel prevedere opportune caratteristiche di resistenza meccanica degli apparecchi, che potrebbero essere soggetti a una esplosione. E in particolare la norma EN 14460 stabilisce i requisiti costruttivi che gli apparecchi devono possedere per resistere alle pressioni di esplosione e a shock dovuti a esplosioni. E definisce i limiti di pressione e temperatura di esercizio dell’apparecchiatura potenzialmente soggetta ad esplosione. Senza dimenticare l’importanza della norma EN 13445 che definisce, ad esempio, le grandezze di pressione da assumere come specifiche di progetto.
Il documento “Macchine e apparecchiature in ambienti ATEX”, tesi di laurea di Paolo Federle è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/160125_atex_macchine_apparecchiature.pdf
Il Documento “Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione europea – Direttiva 2014/34/UE del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva” è scaricabile all’indirizzo:
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0034&from=IT
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RISCHIO RUMORE: COME VALUTARE L’ESPOSIZIONE DEI LAVORATORI
Da: PuntoSicuro
12 febbraio 2016
Un documento dell’INAIL affronta il rischio rumore e gli aspetti relativi alla sua valutazione. Focus sull’ipotesi di valutazione senza misurazioni o con misurazioni, sui parametri di esposizione e sulle strategie di misura.
Il D.Lgs. 81/08 all’articolo 181 indica che il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.
In particolare la valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici è programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi è aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. E in particolare l’articolo 190 riporta varie indicazioni per il datore di lavoro relative alla valutazione dell’esposizione dei lavoratori al rumore.
Per dare qualche indicazione sulla valutazione dell’esposizione al rumore, torniamo a parlare oggi della pubblicazione del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici (DIT) dell’INAIL dal titolo “La valutazione del rischio rumore”; un documento curato da Raffaele Sabatino (DIT), con la collaborazione di Michele Del Gaudio (INAIL Unità Operativa Territoriale di Avellino) e la revisione scientifica di Pietro Nataletti (INAIL Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale).
Il documento INAIL ribadisce dunque che l’articolo 190 del D.Lgs. 81/08 impone al datore di lavoro di effettuare una valutazione del rumore, all’interno della propria azienda e indipendentemente dal settore produttivo, nella quale siano presenti lavoratori subordinati, o equiparati a essi, al fine di individuare i lavoratori esposti al rischio e attuare i necessari idonei interventi di prevenzione e protezione della salute.
E laddove non si possa fondatamente escludere che siano superati i valori inferiori di azione (LEX,8h > 80dB(A) o Lpicco > 135dB(C)) la valutazione deve prevedere anche misurazioni.
Ricordiamo, a questo proposito, che l’articolo 188 del D.Lgs. 81/08 definisce i seguenti parametri:
- pressione acustica di picco (ppeak): valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata in frequenza “C”;
- livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8h): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa nominale di otto ore: esso si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo;
- livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,w): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate lavorative di otto ore.
Per le situazioni nelle quali è evidente che l’ esposizione al rumore risulti trascurabile, il documento ricorda che si può ricorrere alla cosiddetta “giustificazione” e, in tal caso, non sarà necessario approfondire oltre la valutazione del rischio oppure, nei casi dubbi, ci si potrà limitare ad alcune misurazioni, in maniera da poter escludere il superamento dei valori inferiori d’azione anche per i lavoratori più a rischio.
E dunque nell’ipotesi di una valutazione senza misurazioni la relazione tecnica dovrà indicare:
- il layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori esposti, ecc.);
- l’individuazione di eventuali fattori potenzianti il rischio (ad esempio sostanze ototossiche, vibrazioni, rumori impulsivi, ecc.), come identificati dall’articolo 190, comma 1;
- l’indicazione delle motivazioni che escludono il superamento dei valori di azione inferiori nella giornata/settimana/settimana ricorrente a massimo rischio;
- le conclusioni con le eventuali indicazioni specifiche per la riduzione del rischio.
Mentre, una valutazione con misurazioni dovrà, invece, contemplare:
- il layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori esposti, ecc.);
- la descrizione del ciclo lavorativo (almeno di quelle fasi, in relazione alle quali, non è possibile ritenere la presenza di un rischio trascurabile);
- l’individuazione di eventuali fattori potenzianti il rischio (ad esempio sostanze ototossiche, vibrazioni, rumori impulsivi, ecc.), come identificati dall’articolo 190, comma 1;
- i risultati delle misurazioni di rumore (LAeq, Lpicco e LCeq);
- l’individuazione delle aree e delle macchine a forte rischio (LAeq > 85 dB(A) e Lpicco > 137 dB(C));
- la valutazione del rispetto dei valori limite di esposizione (LEx > 87 dB(A) e Lpicco > 140 dB(C));
- il calcolo dei LEx e dei Lpicco degli esposti oltre gli 80 dB(A) e i 135 dB(C);
- la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei Dispositivi di Protezione Individuale uditivi (DPIu), se e in quanto forniti ai lavoratori;
- la definizione delle misure tecniche e organizzative di contenimento del rischio (il “Programma Aziendale di Riduzione dell’Esposizione”, di cui alla norma UNI 11347:2015);
- le conclusioni (quadro d’insieme del rischio).
Riepilogando e computando nei livelli di esposizione anche il contributo delle incertezze (l’incertezza è quel parametro associato al risultato di una misurazione, o di una stima, di una grandezza che ne caratterizza la dispersione dei valori ad essa attribuiti con ragionevole probabilità):
- ai fini della individuazione degli obblighi che ricadono sui diversi soggetti interessati (Datore di lavoro, lavoratore, Medico Competente), si fa riferimento ai livelli di esposizione calcolati in assenza di DPIu (LEx,8h);
- il superamento dei livelli di esposizione giornaliera di un lavoratore al rumore (LEx,8h) di 80, 85 e 87 dB(A) comporta il diritto/dovere per i vari soggetti (Datore di lavoro, lavoratori, Medico Competente, costruttore) di adempiere a diverse prescrizioni fissate a tutela della salute;
- ai fini della verifica del rispetto del limite di esposizione (LEx,8h = 87 dB(A)) si fa riferimento al livello di esposizione stimato con idonei DPIu indossati (L’Ex,8h con DPIu).
E il percorso per la redazione della relazione tecnica, allegata al DVR, prevede una serie di step che il personale qualificato incaricato dovrà seguire, in base al criterio logico da applicare al caso di specie. In generale il processo di valutazione del rischio rumore, che deve essere effettuato adattandolo alle situazioni reali e avendo come obiettivo la protezione dei lavoratori, parte dall’identificazione dei pericoli, passando per la relativa valutazione, fino a giungere alla pianificazione degli interventi tecnici e organizzativi di riduzione del rischio. Nel documento INAIL è riportato uno schema con le principali tappe dell’iter.
Un paragrafo è dedicato poi alle strategie di misura.
Infatti una corretta valutazione del rischio viene eseguita in conformità alle indicazioni della norma UNI EN ISO 9612:2011 che propone un metodo tecnico progettuale per la misurazione dell’esposizione al rumore dei lavoratori nell’ambiente di lavoro e il calcolo del livello di esposizione sonora. E occorre tener conto anche della norma UNI 9432:2011 da considerarsi complementare alla norma UNI EN ISO 9612:2011.
Nel documento sono presentate nel dettaglio le tre possibili strategie di misura per la valutazione del rischio:
- misurazioni basate su attività (compiti): il lavoro svolto durante la giornata è analizzato e suddiviso in un numero di compiti rappresentativi; per ogni determinato compito si eseguono separatamente le misure di livello di pressione sonora;
- misurazioni basate sulle mansioni: mediante campionatura casuale si ottengono delle misure di livello di pressione sonora durante l’esecuzione di determinate mansioni;
- misurazioni a giornata intera: il livello di pressione sonora è misurato continuativamente sull’arco completo di una o più giornate lavorative.
Concludiamo ricordando che con il recente D.Lgs. 151/15 è stato riscritto il comma 5-bis dell’articolo 190 del D.Lgs. 81/08 andando a ufficializzare e permettere l’utilizzo delle banche dati sul rumore. Utilizzo che può avvenire se queste banche dati sono state approvate dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Il documento dell’ INAIL – Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici “La valutazione del rischio rumore”, edizione 2015 è scaricabile all’indirizzo: http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_199620.pdf
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INFORTUNIO PER COMPORTAMENTO ABNORME E MANCATA FORMAZIONE: LE RESPONSABILITA’
Da: PuntoSicuro
15 febbraio 2016
di Gerardo Porreca
La responsabilità dell’infortunio occorso al lavoratore a causa di condotta negligente e imprudente: se lo stesso non è stato formato sui rischi specifici, l’infortunio può essere considerato conseguenza diretta della mancata formazione.
Un insegnamento quello che discende da questa sentenza della Corte di Cassazione che mette in chiara evidenza l’importanza della formazione in materia di salute e di sicurezza sul lavoro da impartire ai lavoratori dipendenti ed a quelli ad essi equiparati.
Il datore di lavoro che non ha adempiuto agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde a titolo di colpa specifica, ha infatti precisato la suprema Corte, dell’infortunio occorso a un lavoratore anche se questi, nell’espletamento delle proprie mansioni, ha posto in essere condotte negligenti e imprudenti, trattandosi di una conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi.
Nel caso sottoposto in questa circostanza all’esame della Corte di Cassazione il lavoratore era rimasto mortalmente infortunato in quanto schiacciato fra la motrice e il rimorchio di un mezzo di trasporto mentre stava procedendo a un incauto riaggancio delle due parti del veicolo non rispettando così quelle misure di sicurezza che una specifica formazione gli avrebbe sicuramente fatto conoscere.
La Corte di Appello ha assolto con formula piena l’Amministratore Delegato di una società mentre ha confermata la condanna inflitta dal Tribunale al Responsabile del deposito dello stabilimento gestito dalla società stessa per il delitto di omicidio colposo in danno di un lavoratore dipendente.
Ai due imputati era stato addebitato di avere cagionata la morte del lavoratore per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare gli imputati erano stati accusati di non avere valutato, tra gli altri, il rischio cui è stato esposto il lavoratore il quale, addetto a mansioni di autotrasportatore, provvedeva al periodico prelievo di rottami in vetro presso lo stabilimento.
Il lavoratore nel giorno dell’infortunio si era venuto a trovare nella necessità di sganciare l’autocarro dal rimorchio per l’impossibilità di accedere al punto di prelievo con l’intero veicolo, data la ridotta dimensione del tratto di strada antistante. Nel documento di valutazione rischi elaborato dall’azienda mancava ogni riferimento a tale specifico rischio, con conseguente omessa individuazione delle misure preordinate a fronteggiarlo quale la individuazione di una zona che consentisse di operare in sicurezza e mancava altresì l’indicazione delle modalità operative da adottare. Il lavoratore inoltre non era stato adeguatamente informato sui rischi specifici a cui era esposto in relazione all’attività svolta, con particolare riferimento al rischio presente durante le operazioni di sganciamento e successivo riaggancio tra autotreno e rimorchio e, dunque, sulle misure di sicurezza del caso e non gli era stata assicurata, altresì, una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza, avuto riguardo alle proprie mansioni, con particolare riferimento allo operazioni in svolgimento.
Con tali condotte omissive gli imputati non avevano impedito il decesso del lavoratore, il quale era rimasto schiacciato tra la motrice e il rimorchio all’atto di riagganciarli. In particolare il lavoratore aveva effettuata detta operazione senza che fossero state individuate e successivamente impartite al medesimo, mediante idonea informazione sul rischio e formazione lavorativa, le misure di sicurezza da seguire, che avrebbero imposto l’esecuzione dell’operazione a rimorchio fermo, previo allineamento del timone alla campana della motrice (anche avvalendosi di attrezzi occasionali) e avvicinando l’autocarro al rimorchio mediante manovra di retromarcia. In assenza delle dovute prescrizioni, invece, il lavoratore aveva eseguito l’operazione posizionandosi tra i due mezzi e sfrenando il rimorchio, che si trovava in pendenza, in modo da farlo avvicinare all’autocarro, mentre con le mani allineava il timone del rimorchio alla campana dell’autocarro, per farli incastrare. Non essendo però riuscito nell’intento, rimaneva schiacciato dal rimorchio, riversatosi sulla motrice per effetto del mancato incastro del timone (infilatosi viceversa sotto la campana dell’autocarro), con conseguente immediato decesso.
La Corte di merito ha osservato che nessuna responsabilità poteva gravare sull’Amministratore Delegato il quale aveva conferito al Responsabilità del deposito una delega antinfortunistica scritta e firmata dalle parti, esaustiva e con attribuzione di pieni poteri di programmazione, organizzazione e gestione. Con riferimento invece all’altro imputato la Corte territoriale ha ritenuto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la condotta della vittima non era stato un fatto imprevedibile e abnorme, in quanto aveva svolto un’attività che rientrava nelle sue mansioni, da solo, senza ausilio di altro collega e senza che gli fosse stata data alcuna formazione e informazione sui rischi specifici e sulla corretta manovra da svolgere. La violazione delle norme di prevenzione, che aveva determinato il concretizzarsi dell’evento, ha fatto notare la Corte di Appello, era stata determinata dalle omissioni dell’imputato che, in ragione della delega ricevuta, era il primo garante della sicurezza dei lavoratori in azienda per cui, sulla base di tali considerazioni, la sentenza di condanna di primo grado è stata confermata, sebbene con una pena ridotta a sei mesi di reclusione.
Avverso la Sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando l’erronea applicazione della legge e il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Invero, secondo il ricorrente, l’evento verificatosi era del tutto imprevedibile, in quanto inaspettato era che il lavoratore disattivasse l’impianto frenate del rimorchio, onde consentire per gravità, il suo avvicinamento alla motrice. Inoltre in relazione alle operazioni di sganciamento e riaggancio, le norme ISPESL prendevano in considerazione il rischio di schiacciamento degli arti, ma non consideravano assolutamente la possibilità di un incidente mortale per cui se tale rischio non era prevedibile per gli Enti deputati alla sicurezza sul lavoro certamente non potevano esserlo per l’imputato.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha rigettato. La stessa ha sostenuto in premessa che “in tema di infortuni sul lavoro, l’articolo 2087 del Codice Civile ha carattere generale e sussidiario, di integrazione della specifica normativa antinfortunistica, con riferimento all’interesse primario della garanzia della sicurezza del lavoro. Pertanto, il dovere di sicurezza si realizza o attraverso l’attuazione di misure specifiche imposte tassativamente dalla legge oppure con l’adozione dei mezzi idonei a prevenire ed evitare i sinistri, assunti con i sussidi dei dati di comune esperienza, prudenza, diligenza, prevedibilità, in relazione all’attività svolta.
Ne consegue che, per configurare la responsabilità del datore di lavoro o dei suoi delegati, non è necessario che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni, essendo sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa dell’omessa adozione di quelle misure e accorgimenti imposti all’imprenditore dall’ articolo 2087 del Codice Civile ai fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore”.
La circostanza inoltre che le norme ISPELS non prendessero in considerazione il rischio morte non è stato ritenuto rilevante da parte della Sezione IV, considerato peraltro che in ogni caso era stata presa in considerazione la possibilità dello schiacciamento.
All’imputato, ha precisato inoltre la suprema Corte, è stato mosso anche un addebito di colpa generica. Tenuto conto, infatti, che la manovra di sgancio e aggancio del rimorchio era di routine, correttamente il giudice di merito ha ritenuto che il relativo rischio di infortunio fosse prevedibile ed evitabile con l’adozione di adeguate disposizioni di sicurezza. Pertanto, considerato che tale rischio non era stato preso in considerazione adeguatamente nel relativo documento di valutazione, tale omissione ha determinato il concretizzarsi dell’evento che le cautele dovute miravano ad evitare.
La responsabilità dell’imputato, secondo la Sezione IV, era a lui anche da attribuire per la violazione di specifiche norme di sicurezza e, quindi, a titolo di colpa specifica. Infatti al lavoratore, come esposto in sentenza, non è stata fornita una adeguata formazione ed informazione. In tali casi, ha così concluso la suprema Corte, “la negligenza del lavoratore, che nell’espletamento delle sue mansioni ponga in essere condotte imprudenti, non costituisce un fatto imprevedibile, in quanto è il frutto proprio della mancanza dell’adempimento dell’obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro ed sui suoi delegati”.
La Sentenza n. 39765 del 2 ottobre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:
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