SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.237 DEL 22/12/15
INDICE
- I pareri della Commissione degli Interpelli – n.4
- Registro nazionale dei mesoteliomi: V Rapporto
- RLS nelle aziende con più strutture operative
- Sorveglianza sanitaria e idoneità alla mansione
- Sulla figura del datore di lavoro “formale” e di fatto
- Ambienti confinati: ruoli e responsabilità
- L’obbligo del fermo assoluto nella manutenzione delle macchine
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.
L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica
https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156
http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI – N.4
L’articolo 12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici, Organizzazioni sindacali dei datori di Lavoro e dei lavoratori, Consigli nazionali degli ordini.
La Commissione degli Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.
Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 [quelli posti alla Commissione] costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Riporto pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.
Marco Spezia
SERVIZI IGIENICO ASSISTENZIALI
Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio 2013
RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
QUESITO
L’interpello è relativo alla richiesta di conoscere il parere della Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 63, comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni e, in particolare, dei punti 1.13.1.1 e 1.13.3.1 dell’Allegato IV.
Il punto 1.13.1.1 dell’Allegato IV prevede che “nei luoghi di Lavoro o nelle loro immediate vicinanze deve essere messa a disposizione dei lavoratori acqua in quantità sufficiente, tanto per uso potabile quanto per lavarsi”; mentre il punto 1.13.3.1 dell’Allegato IV recita “i lavoratori devono disporre, in prossimità dei loro posti di Lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce, di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi”.
CHIARIMENTO
Nei casi in cui un luogo di Lavoro è posto all’interno di un ambiente ben definito e circoscritto, considerando che la norma impone al Datore di Lavoro di mettere a disposizione del lavoratore i servizi igienico-assistenziali nel luogo di Lavoro o nelle sue immediate vicinanze, si ritiene che il Datore di Lavoro assolva al suo obbligo purché questi servizi, anche se non in uso esclusivo, siano fruibili dai lavoratori liberamente, facilmente e senza aggravio di costo per loro e nel rispetto delle norme igieniche.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:
http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.04.pdf
VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO
Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio 2013
RICHIEDENTE
FIM CISL – Federazione Italiana Metalmeccanici
QUESITO
La FIM ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione se anche nel caso della valutazione del rischio stress lavoro-correlato, il Datore di Lavoro non possa delegare quest’attività a terzi, cosi come previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.
CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che l’articolo 28, comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni, prevede che la valutazione dei rischi debba riguardare tutti i rischi da lavoro, “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato”.
Il successivo comma 1-bis dell’articolo in commento dispone, di seguito, che la relativa valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni fornite dalla Commissione Consultiva di cui all’articolo 6 del D.Lgs.81/08, approvate da tale organismo in data 17 novembre 2010.
II legislatore ha poi fissato il principio di generale di delegabilità con l’articolo 16, comma 1 del D.Lgs.81/08, il quale può incontrare eccezioni solo nei casi in cui la delega sia “espressamente esclusa”. Le deroghe tassativamente previste segnano, pertanto, i limiti giuridici di trasferibilità delle funzioni in materia prevenzionistica, e cosi, individuano gli obblighi del Datore di Lavoro aventi natura strettamente personale.
La valutazione dello stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione del rischio e, pertanto, a essa si applica integralmente la pertinente disciplina (articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/08). In particolare, l’articolo 17 del D.Lgs.81/08 individua la valutazione dei rischi tra gli adempimenti non delegabili da parte del Datore di Lavoro, anche qualora il Datore di Lavoro decida di avvalersi di soggetti in possesso di specifiche competenze in materia.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:
http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.05.pdf
APPLICAZIONE DEL D.LGS. 81/2008 A “STUNTMEN” E “ADDETTO AGLI EFFETTI SPECIALI”
Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio 2013
RICHIEDENTE
APT – Associazione Produttori Televisivi
QUESITO
La APT ha chiesto alla Commissione di pronunciarsi sulla normativa di salute e sicurezza applicabile alle attività degli stuntmen (intendendosi per stuntman un “acrobata particolarmente esperto nel fingere cadute, tuffi, salti e scene pericolose”) e degli addetti agli effetti speciali (intendendosi per addetto agli effetti speciali “un esperto di particolari tecniche di lavorazione net settore cinematografico, impegnato in attività specifiche come l’uso di macchine e degli artifizi per la produzione di effetti speciali, l’uso di materiali e sostanze per la realizzazione degli effetti speciali, la realizzazione di scene simulanti crolli o rotture, l’impiego di sostanze infiammabili o esplosive, l’utilizzo di armi da fuoco e da taglio, la produzione di fiamme libere”).
Tali attività, sempre secondo la richiedente, si concretizzano in scene pericolose, realizzate secondo esigenze di scena da una troupe (come tale intendendosi l’insieme delle persone impiegate dalla società di produzione per lo svolgimento delle relative attività), a sua volta divisa in diversi reparti operativi, composti da gruppi di persone con compiti specifici (macchinisti, elettricisti, attrezzisti, produzione, ecc.), ciascuno con un proprio capo reparto.
In relazione alle attività appena descritte, la APT distingue due diverse modalità di organizzazione del lavoro, la prima in cui l’attività sia realizzata da personale della società di produzione e la seconda in cui l’attività sia affidata in appalto dalla società di produzione a terzi.
In relazione alla prima ipotesi (attività svolte da personale della società di produzione), la richiedente chiede quanto segue.
- In ragione della particolarità delle attività di riferimento, il Datore di Lavoro della società di produzione possa “legittimamente richiedere la collaborazione dei responsabili dei suddetti reparti nella valutazione dei rischi della scena pericolosa”?
- Il capo reparto, nel caso di cui al punto 1, deve possedere una particolare formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro?
- In assenza di specifica formazione dei responsabili degli stuntman e/o degli effetti speciali, può il RSPP collaborare con il Datore di Lavoro e i suddetti responsabili dei reparti esclusivamente nella formalizzazione della relazione fornendo semplicemente le procedure corrette per effettuare una adeguata individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione e protezione?
- Qualora alla scena pericolosa partecipino esclusivamente addetti al reparto stuntmen e/o del reparto effetti speciali è possibile utilizzare la relazione da loro redatta quale valutazione esclusiva e specifica dell’attività svolta da questi lavoratori da inserire nel DVR della società di produzione?
In ordine all’affidamento delle attività in parola da parte della società di produzione a società specializzate, la APT chiede, invece, quanto segue.
- I rischi generati dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali devono essere considerati “rischi specifici propri dell’attività”, ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.Lgs.81/08, senza necessità di redazione del DUVRI?
- Al fine della valutazione dell’idoneità tecnico professionale delle imprese specializzate è sufficiente che il Datore di Lavoro della società di produzione chieda i curricula con dettaglio delle esperienze specifiche nel campo del personale impegnato nell’attività appaltata?
- Nel caso in cui una società committente affidi in appalto un’attività che comporta solo rischi specifici propri per la sua realizzazione, in cosa consiste l’attività di coordinamento che il Datore di Lavoro della committente deve realizzare?
- Nel caso in cui una società committente affidi in appalto due o più servizi a società o lavoratori autonomi che prevedano solo rischi specifici propri per le rispettive attività, e che nessuna di queste preveda il coinvolgimento del personale della società committente, come deve gestire il coordinamento il Datore di Lavoro della società committente? Gli eventuali rischi interferenziali presenti esclusivamente tra i fornitori, devono essere trattati in qualche modo dal Datore di Lavoro committente?
CHIARIMENTO
In merito alla prima ipotesi prospettata, va evidenziato come l’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08 imponga al Datore di Lavoro l’obbligo (indelegabile) di valutare “tutti i rischi” sul lavoro, “con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28”. Il contenuto della valutazione dei rischi viene, quindi, puntualmente individuato dall’articolo 28, nella sua interezza, e le modalità della valutazione dei rischi sono descritte (si pensi, ad esempio, alla necessità di rielaborare la valutazione dei rischi “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza sul lavoro”, di cui al comma 3 dell’articolo 29 del D.Lgs.81/08) al successivo articolo 29.
Rispetto invece alla seconda ipotesi, va evidenziato che le disposizioni di specifico riferimento sono quelle di cui all’articolo 26 del D.Lgs.81/08. Tale articolo individua precisi obblighi in capo al Datore di Lavoro committente nell’eventualità che questi decida di affidare lavori nell’ambito del proprio ciclo produttivo a imprese appaltatrici o lavoratori autonomi. Le norme di riferimento sono dirette a tutelare da un lato i lavoratori autonomi o quelli dell’appaltatore che vengano a operare in ambienti per loro e per lo stesso Datore di Lavoro sconosciuti e, dall’altro, i lavoratori dei committenti che si trovino davanti a inusuali situazioni di rischio determinate dall’appalto o dalla prestazione d’opera.
In via di sintesi, ai sensi dell’articolo 26, commi 1 e 2 del D.Lgs.81/08, in capo al Datore di Lavoro committente gravano al momento i seguenti obblighi:
- verificare, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera;
- fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
- promuovere, in particolare:
- la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
- il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
Il comma 3 della norma in esame impone, quindi, al Datore di Lavoro, l’obbligo di promuovere la cooperazione e il coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi (di seguito, DUVRI), il quale va allegato al contralto d’appalto o d’opera, che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.
Tale documento, per espressa previsione legislativa, non trova applicazione con riferimento ai “rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”; ciò in quanto evidentemente il Legislatore, in relazione a tali rischi, da considerare “tipici” della attività dell’impresa o dei lavoratori autonomi, non ne ritiene (ferma restando l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo in commento) necessaria la puntuale identificazione in un documento.
Al riguardo (si veda anche la Determinazione n.3 del 5 marzo 2008 dell’Autorità per la vigilanza sui contralti pubblici, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo 2008) va evidenziato che è possibile parlare d’interferenza ove si verifica un “contatto rischioso” tra il personale del Datore di Lavoro committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. In linea di principio, in altre parole, occorre mettere in relazione i rischi presenti nei luoghi in cui verrà espletato il lavoro, servizio o fornitura con i rischi derivanti dall’esecuzione del contratto, con la conseguenza che il DUVRI dovrà essere redatto solo nei casi in cui esistano interferenze.
Inoltre, resta inteso che nel documento in parola non devono essere riportati i rischi propri dell’attività delle singole imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di rischi per i quali resta immutato l’obbligo dell’appaltatore di redigere un apposito documento di valutazione del rischio e di provvedere all’attuazione delle misure necessarie per ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In via preliminare, la Commissione ritiene opportuno ricordare come la stessa sia tenuta unicamente a rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro” (in questo, inequivoco, senso, l’articolo 12 del D.Lgs.81/08) non potendo pronunciarsi “in astratto” sulla correttezza delle modalità in base alle quali le aziende attuino le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, oggetto, casomai, di specifico accertamento in sede ispettiva. Per tale ragione, non si ritiene possibile esprimere l’indirizzo della Commissione rispetto a una serie di richieste di APT dirette a ottenere indicazioni sulla coerenza di determinate soluzioni organizzative alle norme di legge, impossibili da fornire senza una verifica in concreto di quanto descritto. La Commissione ritiene, invece, di pronunciarsi come segue in ordine alla interpretazione delle norme di legge applicabili nei casi descritti dalla richiedente.
In ordine allo svolgimento di attività da parte di qualunque soggetto che si possa definire come “lavoratore” (nel senso individuato dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) dell’azienda di produzione cineaudiovisiva trovano integrale applicazione le disposizioni in materia di valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/08, le quali attribuiscono al Datore di Lavoro la titolarità giuridica (con la conseguente responsabilità) delle relative funzioni.
Sara quindi il Datore di Lavoro dell’azienda di produzione a dovere individuare le modalità migliori di adempimento degli obblighi in questione, avuto riguardo alle modalità di svolgimento delle attività di riferimento. Ove tali attività comprendano una serie di azioni di contenuto particolare, quali quelle richieste agli stuntmen o agli addetti agli effetti speciali, è opinione della Commissione che il coinvolgimento dei capi reparto (ove, come appare probabile, essi svolgano in concreto le funzioni di preposto) nella valutazione dei rischi sia opportuna. Quanto alla formazione del personale coinvolto nelle relative attività, essa dovrà essere coerente con il vigente quadro normativo (si fa riferimento, in particolare, agli accordi in Conferenza Stato-Regioni relativi alla formazione di lavoratori, dirigenti e preposti del 21 dicembre 2011 e del 25 luglio 2012), avuto riguardo alle funzioni svolte nell’ambito dell’organizzazione aziendale, anche in applicazione del principio di cui all’articolo 299 del D.Lgs.81/08 (rubricato “Esercizio di fatto di poteri direttivi”). Ne deriva, ad esempio, che se (come pare plausibile e, anzi, probabile) il capo reparto, nelle attività qui in questione, svolga in concreto le funzioni di preposto, egli dovrà essere formato come tale.
Infine, in relazione alle richieste avanzate ai punti 3 e 4 (relativamente alle attività in house delle aziende di produzione cineaudiovisiva) si rimarca come il DVR sia documento che deve avere le caratteristiche di cui agli articoli 28 e 29 e come l’unico soggetto responsabile di tale coerenza sia il Datore di Lavoro, il quale è libero di operare le proprie scelte secondo le peculiarità della propria azienda e, correlativamente, risponde della coerenza di esse alla legge.
Venendo, quindi, a trattare delle questioni sollevate (punti da 1 a 4) in riferimento all’ipotesi in cui la società cineaudiovisiva di produzione decida di affidare a terzi le attività tipiche degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali, si evidenzia innanzitutto come, tenendo conto delle particolari modalità (quali descritte nell’interpello al quale si fornisce riscontro) dello svolgimento delle attività degli stuntmen e/o degli addetti agli effetti speciali e ferma restando ogni riserva in ordine alla verifica delle concrete modalità con le quali vengono rese le prestazioni in oggetto, si ritiene che i rischi delle attività svolte in autonomia nei cicli produttivi delle società di produzione dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali possano essere considerati come rischi specifici della attività delle appaltatrici o dei lavoratori autonomi, purché non vi siano interferenze con strutture o processi del committente o di altre imprese.
Resta inteso che sarà cura del Datore di Lavoro committente far si che gli obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 26 del D.Lgs.81/08, sopra richiamati, vengano correttamente e completamente ottemperati, in particolare mediante il rigoroso accertamento della idoneità tecnico-professionale degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali allo svolgimento della attività commissionate e una efficace attività di scambio di informazioni, di cooperazione e coordinamento, la cui concreta realizzazione a soggetta al controllo del competente organo di vigilanza, tra Datore di Lavoro committente e appaltatrice (o lavoratori autonomi).
Di conseguenza, quanto al quesito di cui al punto 3 dell’interpello, si ritiene di sottolineare che, in coerenza con quanto appena esposto e con quanto argomentato dalla giurisprudenza assolutamente maggioritaria (si veda, per tutte, la Sentenza n. 28197 del 9 luglio 2009 della Cassazione Penale Sezione IV), il Datore di Lavoro committente non possa intervenire in supplenza dell’appaltatore o dei lavoratori autonomi rispetto alle attività che sono proprie (con relativa assunzione di rischio) dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi in quanto ciò si risolverebbe in una inammissibile ingerenza nell’attività affidata a terzi (incompatibile, in particolare, con la figura dell’appalto, regolata dall’articolo 1655 del Codice Civile). L’obbligo di cooperazione è, quindi, da intendersi come riferibile all’attuazione delle misure di prevenzione dirette a eliminare (o ridurre al minimo, se l’eliminazione e impossibile) i pericoli che, per effetto dell’esecuzione delle opere appaltate, vanno a incidere sia sui dipendenti dell’appaltante sia su quelli dell’appaltatore in ordine alle attività tipiche dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, salvo che tali attività non vengano svolte con modalità di aperta pericolosità, tali da mettere in evidente pericolo tutti coloro che si trovano nei luoghi di lavoro.
In relazione al quesito di cui al punto 2 dell’interpello (ferma restando la necessità che il Datore di Lavoro committente acquisisca l’iscrizione alla Camera di Commercio, industria e artigianato e I’autocertificazione di cui all’articolo 26, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) si richiama la necessità che la verifica in parola (la quale potrà essere riferita, in assenza di altri parametri, ai curricula, cosi come alle altre certificazioni, quali, ad esempio, quelle relative alla attività di formazione svolta, rilevanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro) venga effettuata con particolare rigore, in modo da permettere al Datore di Lavoro committente di valutare la capacità tecnico-professionale del personale di riferimento della appaltatrice o dei lavoratori autonomi.
Non si ritiene, infine, per le ragioni sopra indicate, di rispondere al quesito, sempre relativo alle attività affidate dalle società di produzione a terzi, di cui al punto 4.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:
http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.06.pdf
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REGISTRO NAZIONALE DEI MESOTELIOMI: V RAPPORTO
Da Portale Consulenti
http://www.portaleconsulenti.it
9 dicembre 2015
Le misure epidemiologiche di incidenza, latenza, età media alla diagnosi, sopravvivenza per oltre 21.000 casi.
La sorveglianza epidemiologica degli effetti sulla salute dell’esposizione a fibre aerodisperse di amianto è un tema di grande rilevanza per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Malgrado infatti il bando del 1992, che ha determinato la cessazione di ogni attività di estrazione, lavorazione, utilizzo e commercio di amianto, la lunga latenza delle malattie amianto correlate, la storia industriale del nostro Paese e le caratteristiche eziologiche delle patologie coinvolte, rendono necessarie ancora oggi in Italia le attività di monitoraggio dei rischi e degli effetti.
Il Registro Nazionale dei Mesoteliomi in questo quadro rappresenta un modello di interazione costruttiva e feconda fra INAIL e Regioni e si caratterizza, oggi come nel passato, per la solidità dei risultati scientifici e di ricerca al servizio della sanità pubblica e di tutti gli operatori del settore.
Le conoscenze rese disponibili dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi, in ordine alle caratteristiche epidemiologiche della malattia e ai settori di attività economica coinvolti nell’esposizione, sono preziose per i compiti istituzionali che l’Istituto è chiamato a svolgere nel quadro del sistema di tutele del nostro Paese.
In particolare su questo tema infatti la sinergia fra le acquisizioni della ricerca scientifica e le attività di riconoscimento ai fini assicurativi è essenziale e strategica per l’efficienza del sistema sanitario e della prevenzione dei rischi nei luoghi di vita e di lavoro.
L’Italia è attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto correlate. Tale condizione è la conseguenza di utilizzi dell’amianto che sono quantificabili a partire dal dato di 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo prodotto nazionalmente nel periodo dal 1945 al 1992 e 1.900.885 tonnellate di amianto grezzo importato nella stessa finestra temporale.
La relazione di associazione causale estremamente significativa fra esposizione ad amianto e mesotelioma e la pressoché completa assenza di fattori confondenti e di altri agenti eziologici causali per la malattia, hanno consigliato e consentito lo sviluppo di un sistema di sorveglianza epidemiologica per i mesoteliomi basato sulla ricerca attiva dei casi e la ricostruzione anamnestica individuale tramite questionario delle circostanze di esposizione ad amianto (siano esse avvenute in ambito professionale come in ambito residenziale o familiare).
Il sistema di sorveglianza epidemiologica dei casi di mesotelioma è costituito dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) istituito presso l’INAIL, Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale (DiMEILA), i cui compiti e le cui modalità e procedure operative sono definite dal D.P.C.M. 308/02.
La pubblicazione realizzata da INAIL DiMEILA “Registro Nazionale dei Mesoteliomi: V Rapporto” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.data-storage.it/download/2015/ucm_207055.pdf
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RLS NELLE AZIENDE CON PIU’ STRUTTURE OPERATIVE
Da: PuntoSicuro
01 dicembre 2015
E’ opportuna la presenza di un RLS in ciascuna struttura operativa periferica di una grande azienda operante sul territorio nazionale?
Pubblichiamo un articolo tratto da “Articolo 19” n.04/2015, bollettino di informazione e comunicazione per la rete di RLS delle aziende della Provincia di Bologna realizzato dal SIRS (Servizio Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza) con la collaborazione di vari soggetti istituzionali provinciali (Provincia di Bologna, ASL, INAIL, DPL, organizzazioni sindacali, ecc.).
Sono stati recentemente posti al SIRS alcuni quesiti sul particolare problema della nomina dei RLS e delle loro relazioni con l’azienda in situazioni complesse, con diverse dislocazioni dei lavoratori dell’azienda.
Sostanzialmente le fattispecie sono tre:
- holding, comprendenti diverse aziende tra loro variamente articolate e interconnesse;
- aziende operanti sul territorio nazionale che hanno diverse articolazioni operative (filiali, succursali, reparti, settori, ecc.) in aree diverse, anche molto lontane tra loro e dalla casa madre;
- aziende che assumono lavori in appalto e inviano quindi il loro personale a operare in località lontane dalla “casa madre”, in cantieri di vario tipo, dall’edilizia alla manutenzione, dalla pulizia alla sanificazione, costituendo gruppi anche grossi di lavoratori che operano anche all’interno di aziende terze.
Il problema che si pone in questi casi è quello di stabilire se i RLS sono quelli della sede centrale della holding o dell’azienda, oppure se individuare in ogni realtà periferica uno o più RLS.
La normativa non ci aiuta a sciogliere il nodo, perché da un lato non affronta in nessun modo il problema, dall’altro rimanda (comma 5 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08) alla contrattazione collettiva: “Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.
Questo almeno fa chiarezza, a nostro avviso, su un elemento: non rientrano i casi in cui le strutture periferiche (chiamiamole così) abbiano dignità di unità produttive (per la cui definizione si veda l’articolo 2, comma 1, lettera t del D.Lgs.81/08 per cui unità produttiva è stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale).
L’altro riferimento normativo importante è il comma 1 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08, secondo cui “In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Quindi, acclarato che per le aziende e per le unità produttive il RLS deve essere eletto o designato (vedi comma 2 sopra citato), resta il problema dei casi in cui le articolazioni periferiche non sono né aziende né unità produttive. In questi casi è la contrattazione collettiva che stabilisce le modalità cui attenersi: ovviamente, se in sede di contrattazione non si raggiunge un accordo tra le parti, il problema resta irrisolto (ed ecco da dove nascono i quesiti che pervengono al SIRS: da casi di non accordo sulle modalità).
A nostro avviso, questo è un tipico problema da Interpello (vedasi indicazioni all’articolo 12 del D.Lgs.81/08), e quindi non possiamo permetterci di fornire una nostra interpretazione, che sarebbe del tutto soggettiva e individuale, e quindi non utilizzabile dai RLS.
L’unica cosa che possiamo fare è evidenziare gli elementi che a nostro avviso dovrebbero indurre a privilegiare la scelta di RLS presenti in tutte le articolazioni periferiche di un’azienda che abbiano almeno una certa consistenza numerica, organizzativa e di mandato:
- solo un RLS che conosca direttamente la realtà di una situazione lavorativa può portare contributi utili al miglioramento delle condizioni di rischio e al controllo di eventuali criticità, ovvero può essere un interlocutore valido ed affidabile per la dirigenza aziendale ed una reale risorsa per i suoi compagni di lavoro;
- al contrario, un RLS che si trovi nella sede centrale aziendale non può avere il polso concretamente delle situazioni periferiche (che possono anche essere diverse) e quindi, se volesse svolgere il suo ruolo con l’efficacia che la legge prevede dovrebbe, ad esempio, avere la possibilità di recarsi spesso o almeno al bisogno nelle realtà periferiche stesse, quanto meno in due momenti topici: per esprimere il suo parere sulla valutazione dei rischi (sentendo anche i suoi compagni di lavoro della struttura periferica) e in occasione della preparazione e svolgimento della riunione annuale di prevenzione;
- un RLS che si trovi solo nella sede centrale aziendale, per poter essere efficace, deve comunque disporre di una rete, anche se informale, di referenti nelle strutture periferiche, referenti che comunque non sono RLS e non hanno né gli strumenti né la formazione per poter fare le funzioni dell’RLS, e quindi questa situazione kafkiana potrebbe generare facilmente disservizi e conflitti;
- l’individuazione di RLS solo a livello della sede centrale aziendale porta di fatto o a uno svuotamento totale del ruolo dell’RLS stesso o, in alternativa, se invece tale ruolo si vuole conservare e promuovere, a una serie di problemi gestionali e organizzativi di non poco conto, ad esempio numerose trasferte, necessità di una rete di collegamenti in tempo reale, individuazione comunque di figure di riferimento di cui definire compiti, funzioni, agibilità, ecc.
L’elenco potrebbe continuare, ma questi ci sembrano i quattro punti più importanti utili a sostenere l’opportunità che il RLS sia presente in tutte le strutture operative periferiche di una grande azienda con strutture operative diverse sul territorio nazionale.
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SORVEGLIANZA SANITARIA E IDONEITA’ ALLA MANSIONE
Da: PuntoSicuro
09 dicembre 2015
L’attività di sorveglianza sanitaria svolta dal medico competente e l’espressione del giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Pubblichiamo un estratto del documento INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Medici competenti” che affronta lo svolgimento dell’attività di Medico competente e gli obblighi.
La Sorveglianza Sanitaria (articolo 41 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni) è definita (articolo 2) come l’insieme di atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Lo svolgimento della Sorveglianza Sanitaria da parte del Medico competente sui lavoratori esposti ai rischi occupazionali, consiste, pertanto, nell’esecuzione di visite mediche, accertamenti di laboratorio chimico-clinici, strumentali, tossicologici e visite specialistiche per l’esplorazione degli organi specificamente esposti a un determinato fattore di rischio. Questi accertamenti sanitari consentono al Medico competente di verificare lo stato di salute del lavoratore e conseguentemente gli permettono di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Nell’ambito della Sorveglianza Sanitaria vengono ricomprese differenti tipologie di visite mediche svolte dal Medico competente:
- visita medica preventiva, intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare l’idoneità alla mansione specifica;
- visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica (la periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno; tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal Medico competente in funzione della Valutazione dei Rischi. L’Organo di Vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della Sorveglianza Sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal Medico competente;
- visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal Medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
- visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
- visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
- visita medica preventiva in fase preassuntiva;
- visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.
Al termine delle visite mediche di Sorveglianza Sanitaria, sulla base delle risultanze degli accertamenti sanitari eseguiti e in considerazione dello stato di salute del lavoratore, il Medico competente esprime il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Tale giudizio può essere di:
- idoneità;
- idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
- inidoneità temporanea (vanno precisati i limiti temporali di validità);
- inidoneità permanente.
Il giudizio di idoneità deve essere espresso dal Medico competente per iscritto fornendo copia dello stesso al lavoratore ed al Datore di Lavoro.
Su tale giudizio, che deve contenere la firma del lavoratore per avvenuta consegna, deve essere specificata la mansione svolta dal lavoratore e i relativi fattori di rischio ai quali egli è esposto, deve essere specificata la data della successiva visita medica e deve essere riportata la data di emissione.
Avverso i giudizi del Medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’Organo di Vigilanza territorialmente competente, che dispone (dopo eventuali ulteriori accertamenti) la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
Il documento INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Medici competenti” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_205275.pdf
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SULLA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO “FORMALE” E DI FATTO
Da: PuntoSicuro
09 dicembre 2015
di Gerardo Porreca
Il datore di lavoro titolare degli obblighi prevenzionistici va individuato sia in colui che risulta esserlo secondo il contratto di lavoro, sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale.
Si esprime la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla figura del datore di lavoro di fatto e su quello che risulta essere tale formalmente dalla documentazione di contratto. La stessa nell’individuare la responsabilità per un infortunio occorso ad un lavoratore caduto da una scala durante lo svolgimento di alcuni lavori agricoli, ha infatti sostenuto che l’individuazione di un datore di lavoro “formale”, risultato tale dalla documentazione di contratto non si pone comunque in contrapposizione con la eventuale esistenza anche di un datore di lavoro di fatto sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di quanto emerge da documenti non può valere a escludere che tale ruolo fosse stato in concreto assunto anche da altri.
La Corte di Appello ha riformato la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale un datore di lavoro era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di un lavoratore e condannato alla pena ritenuta equa. Secondo il giudice di primo grado dalle dichiarazioni della persona offesa era emerso che l’infortunato era stato assunto “in nero” dall’imputato e avviato ai lavori di raccolta degli agrumi e che questi nello svolgimento di tali compiti è caduto da una scala riportando lesioni personali da ricondurre all’imputato quale datore di lavoro di fatto.
La Corte Territoriale, da parte sua, ha mandato assolto l’imputato sostenendo che l’accertamento processuale non aveva consentito di ritenere che l’imputato fosse stato datore di lavoro dell’infortunato e quindi titolare degli obblighi prevenzionistici la cui violazione aveva determinato l’infortunio allo stesso occorso. Tanto in ragione della ritenuta inattendibilità della dichiarazione dell’infortunato e della circostanza che la proprietaria del terreno ove si svolgeva la raccolta degli agrumi aveva effettuato una comunicazione di assunzione di quel lavoratore, anche se tardiva tanto da essere sanzionata dall’Ispettorato del lavoro, e che l’INAIL aveva riconosciuto che l’infortunio fosse occorso mentre svolgeva attività lavorativa alle dipendenze della proprietaria del terreno.
Avverso tale decisione ha ricorso per cassazione il lavoratore infortunato, costituitosi parte civile a mezzo del difensore di fiducia, sostenendo che la denuncia infortuni si riferisse ad altro lavoratore e non a lui, lamentandosi inoltre che la Corte di Appello non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni. L’imputato da parte sua, con propria memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso avanzato dall’infortunato non ritenendo sussistente i vizi motivazionali dallo stesso indicati nel suo ricorso e sostenendo che l’obbligo prevenzionistico la cui violazione ebbe a determinare l’infortunio era da attribuire alla proprietaria del terreno.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha perciò annullata la sentenza impugnata. Secondo la suprema Corte il giudice di primo grado aveva affermato che l’imputato era stato il datore di lavoro di fatto dell’infortunato a ciò pervenendo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che aveva riferito di essere stato ingaggiato telefonicamente dallo stesso e di aver ricevuto da questi il salario. A fronte di ciò la Corte di Appello ha valorizzato dati meramente formali, quali il fatto che la documentazione, tutta formata dopo l’incidente, era stata sottoscritta dalla proprietaria del terreno e indicava in essa la datrice di lavoro. La Corte di Appello, secondo la Sezione IV della Cassazione, ha quindi svolta una argomentazione manifestamente illogica, avendo contrapposto a un accertamento di una situazione di fatto un’analisi della situazione “apparente”.
“Orbene, è noto che in materia prevenzionistica”, ha così concluso la suprema Corte, “il datore di lavoro, titolare degli obblighi prevenzionistici, va individuato sia in colui che risulta parte in senso formale del contratto di lavoro, sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale” per cui “ne consegue che l’individuazione di un datore di lavoro formale non si pone in contrapposizione con l’eventualità dell’esistenza anche di un datore di lavoro di fatto; sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di quanto emerge da documenti non può valere ad escludere che tale ruolo fosse stato in concreto assunto anche dal datore di lavoro di fatto”.
Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata di proscioglimento dell’imputato con rinvio, ai sensi dell’articolo 622 del Codice di Procedura Penale, al giudice civile competente per valore in grado di appello.
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AMBIENTI CONFINATI: RUOLI E RESPONSABILITA’
Da: PuntoSicuro
14 dicembre 2015
Indicazioni su quali siano i ruoli e i compiti nei modelli nordamericani in relazione tutela della sicurezza nei lavori negli ambienti confinati. Focus su entrant, attendant, entry supervisor e rescue team member.
Esaminiamo il documento “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed igiene del lavoro per i lavori in ambienti confinati”, che raccoglie le indicazioni operative elaborate dal gruppo di lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal Comitato Regionale di Coordinamento ex articolo 7 del D.Lgs.81/08 della Regione Emilia Romagna, con la collaborazione, nella fase di seconda revisione, dell’ingegner Adriano Paolo Bacchetta.
Nell’allegato viene fornito uno stralcio del modello organizzativo e di responsabilità ripreso da modelli nordamericani, che chiaramente non fa riferimento ai vincoli e ai ruoli definiti della nostra normativa. Ruoli che sono stati più volte individuati nei nostri articoli sugli spazi confinati, ad esempio in relazione al referente del committente o all’attività di vigilanza del preposto o, comunque, all’attività del soggetto che, posto all’esterno del punto di accesso allo spazio confinato, vigila sull’operato di lavoratori all’interno.
Nel modello nordamericano, come presentato nella guida, i soggetti per cui devono essere definiti ruoli e responsabilità (oltre al Rappresentante del’azienda Committente), sono invece identificabili in funzione di quattro ruoli:
- Entrant (operatore che entra nello spazio confinato);
- Attendant (operatore che assiste dall’esterno l’operatore entrato);
- Entry supervisor (Responsabile);
- Rescue Team member (addetto al salvataggio).
A ognuno di questi soggetti sono affidati specifici compiti e responsabilità.
Vediamo nel dettaglio i compiti e responsabilità assegnati dal modello americano.
L’Entrant (il lavoratore che deve accedere allo spazio confinato):
- effettua le operazioni prefissate seguendo le procedure aziendali;
- si attiene alle istruzioni ricevute e non effettua manovre/operazioni che possano mettere in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
- verifica, prima di indossarli, lo stato di conservazione e l’efficienza dei previsti DPI e delle attrezzature di lavoro;
- segnala al Supervisor ogni anomalia o rottura o mancato funzionamento riscontrato nei DPI e nelle attrezzature di lavoro e, se del caso, chiede la loro sostituzione;
- si mantiene in comunicazione continua con l’Attendant;
- avvisa l’Attendant in caso di pericolo;
- abbandona lo spazio confinato quando si sente in pericolo o a seguito di un ordine ricevuto dall’Attendant; in caso di emergenza, si attiene alle disposizioni impartite dal responsabile del Rescue Team e si mette a sua disposizione per eventuali necessità.
L’Attendant (il preposto):
- verifica che solo i lavoratori autorizzati (Entrant) accedano allo spazio confinato;
- conoscendo i rischi associati con lo spazio confinato e le operazioni previste controlla che l’Entrant indossi i previsti DPI e che non effettui manovre/operazioni che possano mettere in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
- controlla costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio delle attività e impedisce l’accesso ai non autorizzati;
- non abbandona mai il suo posto e si mantiene in comunicazione continua con l’Entrant effettuando, se previsto, il continuo monitoraggio dell’atmosfera;
- se necessario, su propria iniziativa o a seguito della richiesta del Supervisor, ordina all’Entrant di abbandonare lo spazio confinato;
- se necessario, attua le manovre di Non Entry rescue e/o richiede tempestivamente l’intervento del Rescue Team.
Il Supervisor (il supervisore):
- conosce i rischi associati con le attività negli ambienti a sospetto inquinamento e confinato, le operazioni previste e i rischi specifici del luogo di lavoro;
- redige/prende visione del permesso di lavoro e, prima dell’ingresso, effettua i necessari test controllando personalmente che siano garantite le condizioni di sicurezza necessarie per l’avvio delle operazioni secondo quanto previsto;
- controlla la presenza ed efficienza delle attrezzature necessarie all’intervento;
- controlla la disponibilità/presenza del Rescue Team;
- conduce il Pre entry Briefing ed effettua i Test di Pre ingresso;
- controlla che gli Entrant indossino i previsti DPI e che la squadra operativa non effettui manovre/operazioni che possano risultare pericolose;
- controlla costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio delle attività e, se del caso, adotta provvedimenti di adeguamento;
- si mantiene costantemente disponibile e in comunicazione continua con l’Attendant;
- se necessario, ordina all’Attendant di disporre l’abbandono dello spazio confinato;
- se necessario, dispone in No Entry Rescue e/o richiede tempestivamente l’intervento del Rescue Team;
- se necessario, chiede l’intervento degli addetti del sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco;
- conduce il Post Entry Debriefing.
Il Rescue Team member (l’addetto al salvataggio):
- deve essere dichiarato in buona salute e idoneo al compito da parte del Medico Competente;
- dispone di adeguati DPI per l’intervento ed è correttamente addestrato al loro impiego in ogni situazione;
- può utilizzare in modo sicuro ed efficace le attrezzature di salvataggio che ha a disposizione, essendo stato adeguatamente formato e addestrato
- ha ben chiari i propri compiti, il ruolo che ricopre nel Team di soccorso e le procedure di soccorso specifiche per ogni spazio confinato in cui deve operare;
- conosce i rischi legati agli interventi di soccorso negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati e, nello specifico, quali sono le caratteristiche dell’ambiente nel quale è chiamato, volta per volta, a operare;
- è addestrato sulle tecniche di Basic Life Support (BLS), Basic Trauma Life Support (BTLS) e sulle manovre di assistenza rianimatoria cardiopolmonare (CRP) e Basic Life Support Defibrillation (BLSD);
- effettua esercitazioni pratiche sulle tecniche di salvataggio con l’utilizzo di manichini antropomorfi da ambienti che riproducono il più possibile le reali condizioni di intervento (dimensione passaggio, volume interno, ecc.).
Concludiamo ricordando, ancora una volta, che questi non sono i ruoli individuati dalla normativa nazionale, ma i ruoli e responsabilità individuate dai modelli organizzativi nordamericani con riferimento alle attività nei “Confined spaces”.
Il documento della Regione Emilia Romagna “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed igiene del lavoro per i lavori in ambienti confinati”, realizzato dal gruppo di lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal Comitato Regionale di Coordinamento della Regione Emilia Romagna è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_indicazioni_operative_spazi_confinati.pdf
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L’OBBLIGO DEL FERMO ASSOLUTO NELLA MANUTENZIONE DELLE MACCHINE
Da: PuntoSicuro
14 dicembre 2015
di Gerardo Porreca
E’ indispensabile, ai fini del rispetto della sicurezza sul lavoro, che su una macchina sia installato un dispositivo di fermo assoluto che impedisca che la stessa durante i lavori di manutenzione possa riavviarsi o essere riavviata
Chiamata ad esprimersi su di un infortunio occorso ad un lavoratore nei pressi di una macchina durante l’effettuazione di alcuni lavori di manutenzione la Corte di Cassazione in questa sentenza ha ribadita una disposizione di legge che è ritenuta indispensabile per garantire la sicurezza degli operatori impegnati in tali tipi di operazione, prevista del resto ormai da tempo dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
E’ assolutamente necessario, ha ricordato la suprema Corte, che ogni macchina sia dotata di un dispositivo di “fermo assoluto” al fine di impedire che durante i lavori di manutenzione la stessa possa riavviarsi o possa essere accidentalmente riavviata da altri lavoratori.
Nella circostanza è stato escluso altresì dalla suprema Corte che l’evento infortunistico fosse legato a un comportamento del lavoratore abnorme, esorbitante e comunque tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale occorsogli in quanto lo stesso stava svolgendo delle mansioni a lui assegnate dal datore di lavoro e non una operazione imprevedibile quale è quella di un intervento manutentivo.
Hanno ricorso in Cassazione i difensori di fiducia di un datore di lavoro avverso una sentenza emessa dalla Corte di appello che, in parziale riforma di quella del Tribunale, aveva ridotta la pena inflitta rideterminandola in 200,00 euro di multa e aveva revocata la sospensione condizionale della stessa.
L’imputato era stato ritenuto colpevole del delitto di cui agli articoli 40 e 590 commi 1, 2, e 3 del Codice Penale per avere, in qualità di legale rappresentante di una società e quindi di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e violazione di legge (in particolare degli articoli 70, comma 2, 71, comma 1, 87, comma 2 del D.Lgs 81/08 e 2087 del Codice Civile), cagionato a un operaio dipendente della società stessa, addetto alla manutenzione degli impianti, lesioni personali consistite in ferita lacera al secondo dito della mano sinistra con interessamento della lamina ungueale e frattura della falange, con prognosi complessiva di giorni 72.
In particolare è stato ritenuto colpevole per non avere adottato dispositivi, misure e cautele tali da assicurare in modo assoluto la posizione di fermo dell’attrezzatura di lavoro e dei suoi organi durante l’esecuzione di interventi manutentivi e tali da garantire il riavvio in condizioni di sicurezza e per non avere inoltre adeguato le pulsantiere delle rulliere motorizzate del macchinario alla normativa tecnica di riferimento. L’operaio, in particolare, durante l’intervento manutentivo volto alla regolazione del sistema della catena di trascinamento, era rimasto incastrato con la mano sinistra nel sistema catena pignone, con trascinamento prima del guanto di protezione e poi del secondo dito della mano sinistra, che veniva conseguentemente schiacciato, a causa di un riavvio intempestivo del macchinario.
Il ricorrente ha lamentata l’omessa applicazione e valutazione dell’articolo 70 del D.Lgs.81/08 nella parte in cui richiama le indicazioni dell’Allegato V dello stesso decreto e ha messa in evidenza la mancata definizione di “fermo assoluto” della macchina, l’assenza di una effettiva verifica circa la sua esistenza nel caso in esame e di una verifica della combinata presenza del “fermo assoluto” e del comportamento concreto del lavoratore nel governo del suddetto dispositivo.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione ed è stato pertanto rigettato. In buona sostanza, ha fatto osservare la suprema Corte, il ricorso, ribadendo censure già prospettate e disattese con congrue e corrette motivazioni in entrambi i giudizi di merito, ha ricondotto essenzialmente il verificarsi dell’infortunio al comportamento del lavoratore stesso, qualificato come abnorme, imprudente e anzi improntato a deliberata accettazione del rischio in violazione di una elementare regola di cautela e a una precisa istruzione operativa.
Al riguardo, ha ribadito la Sezione IV, correttamente e con adeguata motivazione è stato escluso un comportamento imprevedibile e abnorme del lavoratore e comunque idoneo da solo a cagionare l’evento e a elidere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale allo stesso occorso, comportamento che pur avventato, negligente, o disattento, era connesso all’attività lavorativa e da essa non esorbitante né eccentrico rispetto alle mansioni al medesimo specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo e pertanto non imprevedibile come era appunto l’intervento manutentivo che gli competeva.
La Corte territoriale, ha fatto altresì notare la Sezione IV, aveva, fra l’altro, richiamate e condivise le argomentazioni del giudice di prime grado laddove è stato esaustivamente rilevato che la mancanza di dispositivi atti ad assicurare in modo assoluto la posizione di fermo dell’attrezzatura e dei suoi organi che garantissero l’impossibilità dello stesso di riattivarsi o di essere volontariamente riattivato, durante l’intervento di manutenzione ed in particolare durante la scopertura della catena e del pignone mediante la rimozione del carter di protezione (accorgimento che avrebbe certamente scongiurato l’evento lesivo) era stata accertata dall’ASL nel suo atto di contestazione laddove era stata anche constatata la mancata previsione di misure adottabili di maggior cautela per il ripristino del moto della macchina e l’omessa consegna ai lavoratori di procedure scritte consequenziali.
Né alcuna rilevanza, ha così concluso la Corte di Cassazione, ha avuto il dedotto fraintendimento tra il lavoratore infortunato e il collega di lavoro addetto all’avviamento e all’arresto del macchinario, dal momento che il “fermo assoluto” dopo la rimozione del carter di protezione, misura di salvaguardia che incombeva sul datore di lavoro che omise di adottarla (con la conseguente integrazione della colpa per violazione di legge ex articolo 70 del D.Lgs.81/08 e 2087 del Codice Civile), avrebbe sicuramente evitato l’infortunio.
La Sentenza n.45051 del 11 novembre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:
L’articolo SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.237 DEL 22/12/15 sembra essere il primo su Medicina Democratica.