SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.238 DEL 29/12/15

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.238 DEL 29/12/15

 

INDICE

  • Lavoro notturno e gestione della salute e della sicurezza
  • Attenzione alle visite e ai giudizi del medico competente
  • L’amianto presente nell’80% delle ristrutturazioni e demolizioni
  • Il nuovo Codice prevenzione incendi: il sistema di esodo
  • Differenze di genere: rischi psicosociali, stress e suicidi
  • Ponteggi metallici: le norme ci sono, ma bisogna applicarle

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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LAVORO NOTTURNO E GESTIONE DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA

LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.70

 

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.

Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.

Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.

Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.

Marco Spezia

 

 

QUESITO

 

Buongiorno Marco,

la mia azienda intende introdurre in alcuni reparti il lavoro notturno (dalle 9 di sera alle 5 di mattina).

In realtà questo non sarebbe per tutto il periodo dell’anno, ma solo in presenza di picchi di richieste e quindi necessità di aumentare la produzione.

L’ufficio del personale e la produzione parlano di un periodo complessivo non superiore ai 30 giorni nell’arco dell’anno.

Ti volevo chiedere se abbiamo diritto a misure di sicurezza particolari visto che faremo questo lavoro notturno, quando in fabbrica mancheranno molti dei servizi che ci sono a giornata (responsabile sicurezza, addetti primo soccorso e antincendio).

Ti ringrazio.

 

 

RISPOSTA

 

Prima di addentrarmi sull’argomento che mi poni è bene verificare se nel vostro caso si possa parlare di lavoro notturno, come definito dalla normativa vigente.

A tale proposito ho riportato in fondo il Punto 18 della Circolare del Ministero del Welfare n.8 del 3 marzo 2005, che trovi integralmente ad esempio al link:

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Speciali/2006/documenti_lunedi/09gennaio2006/FERIE/CIR_3_3_2005_8.pdf?cmd%3Dart

Tale Circolare, interpretativa del Decreto Legislativo n.66 del 8 aprile 2003 e successive modifiche e integrazioni , che trovi ad esempio al link:

http://www.dplmodena.it/leggi/66-03_Collegato%20Lavoro.pdf

definisce in maniera molto chiara cosa deve intendersi per “lavoratore notturno”.

 

Secondo tali fonti normative, il caso da te citato, in cui il lavoratore esegue un turno di 8 ore di cui almeno 7 nel periodo notturno come sopra definito, ma per meno di 80 giorni all’anno non rientra nella definizione di “lavoratore notturno”.

In ogni caso, anche se i lavoratori coinvolti non possano essere identificati come “lavoratori notturni” secondo il D.Lgs.66/03, ciò nondimeno parte della attività della tua azienda avviene nel “periodo notturno” come definito dal medesimo Decreto.

 

Pertanto (ma questa è mia interpretazione) gli obblighi di cui all’articolo 14 del D.Lgs.66/03, si devono applicare alla tua azienda nel periodo di lavoro notturno, cioè dalle 24 alle 5, indipendentemente se i lavoratori possano essere classificati come “lavoratori notturni” secondo le definizioni e i chiarimenti di cui sopra.

 

In particolare devono essere adottati gli obblighi di cui all’articolo 14, comma 2:

Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui all’articolo 12 [rappresentanze sindacali in azienda], un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno”.

Quanto sopra deve essere garantito sia per l’aspetto routinario delle attività lavorative, sia, in particolare, per la gestione delle situazioni di emergenza che dovessero manifestarsi.

 

Comunque, al di là della mia interpretazione di quanto disposto dal D.Lgs.66/03, a seguito delle modifiche organizzative comportate dal passaggio a lavoro notturno, anche se parziale, il datore di lavoro della tua azienda ha l’obbligo di aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 del Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 (D.Lgs.81/08).

 

Infatti l’articolo 29, comma 3, del D.Lgs.81/08 impone (a seguito delle ultime modifiche operate dalla Legge 161 del 2014:

La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori […]. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali. Anche in caso di rielaborazione della valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’aggiornamento delle misure di prevenzione e immediata comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. A tale documentazione accede, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

 

Pertanto il datore di lavoro (e la responsabilità è esclusivamente sua, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) deve, prima dell’inizio dei lavori con orario notturno, definire formalmente misure di prevenzione e protezione specifiche conseguenti al mutato scenario di rischio e darne comunicazione al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).

 

Entro trenta giorni poi dall’inizio del lavoro notturno, il DVR deve essere rielaborato, comprendendo anche le misure di prevenzione e protezione sopra specificate.

Ovviamente il RLS deve essere consultato preventivamente in merito alla modifica del DVR e ha la facoltà di consultare il DVR stesso, ai sensi dell’articolo 50, comma 1 lettere b) ed e) del D.Lgs.81/08 rispettivamente.

 

La modifica del DVR (così come la sua redazione) deve essere eseguita dal datore di lavoro, con la collaborazione del medico competente e del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (articolo 29, comma 1 del D.Lgs.81/08).

 

In particolare il medico competente dovrà verificare se le mutate variazioni organizzative non richiedano una modifica al protocollo di sorveglianza sanitaria, di cui agli articoli 25, comma 1, lettera b) e 41 del D.Lgs.81/08.

Quindi (ma anche questa è una mia interpretazione), anche se, ai sensi del D.Lgs.66/03 non è obbligatoria la sorveglianza sanitaria specifica di verifica e di controllo della idoneità sanitaria alla mansione dei lavoratori notturni, il medico competente dovrà comunque esprimere un suo giudizio sulla idoneità sanitaria alla mansione dei lavoratori, a fronte del mutamento organizzativo.

E sempre seconde me, il medico competente dovrebbe esprimere in maniera formale la necessità o meno di variazione del protocollo di sorveglianza sanitaria.

 

In merito alle altre misure di prevenzione e protezione, il datore di lavoro deve verificare che il mutamento organizzativo non comporti un aumento o un’aggiunta di rischio e definire di conseguenza specifiche misure di prevenzione e protezione.

 

Per quanto riguarda l’aspetto routinario della attività lavorativa, il datore di lavoro dovrà valutare l’influenza dei seguenti aspetti sul profilo di rischio:

  • illuminazione artificiale dei luoghi di lavoro (punto 1.10 dell’allegato IV del D.Lgs.81/08);
  • parametri microclimatici (punto 1.9 dell’allegato IV del D.Lgs.81/08);
  • stress lavoro correlato (articolo 28, comma 1, del D.Lgs.81/08);
  • manutenzione e controllo delle attrezzature utilizzate (in assenza di una squadra di manutenzione) (articolo 71, comma 4 del D.Lgs.81/08).

 

Per quanto riguarda invece le situazioni di emergenza, il datore di lavoro dovrà valutare l’influenza dei seguenti aspetti sul profilo di rischio:

  • presenza degli addetti al designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza (articoli 18, comma 1, lettera b) e 43, comma 2 del D.Lgs.81/08);
  • possibilità di contattare i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza (articolo 43, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08);
  • possibilità che i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro (articolo 43, comma 1, lettera d) del D.Lgs.81/08);
  • possibilità per i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possano prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili (articolo 43, comma 1, lettera e) del D.Lgs.81/08).

 

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CIRCOLARE DEL MINISTERO DEL WELFARE N.8 DEL 3 MARZO 2005

 

18 “LAVORO NOTTURNO”

Gli articoli dall’11 al 15, in materia di lavoro notturno, riprendono in larga misura il contenuto del decreto legislativo n. 532 del 1999 con il quale era stata data attuazione alla delega conferita al Governo dall’art. 17, comma 2 della legge n. 25 del 1999, nonché alla direttiva 93/104.

La normativa di cui ai citati articoli non si allontana, sostanzialmente, da quella del 1999, ma viene riordinata e razionalizzata.

 

DEFINIZIONE DI LAVORO E DI LAVORATORE NOTTURNO

Il lavoro notturno è quello prestato in un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino.

Quindi il lavoro notturno è quello svolto tra le 24 e le 7, ovvero tra le 23 e le 6, ovvero tra le 22 e le 5, indipendentemente dalla eventuale maggiorazione retributiva prevista dalla contrattazione collettiva.

Il lavoratore notturno è il lavoratore che svolge, durante il periodo notturno, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale; è, inoltre, lavoratore notturno anche colui che svolge durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. Qualora la disciplina collettiva nulla stabilisca sul punto è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, durante il periodo notturno almeno una parte del suo tempo di lavoro giornaliero, per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno.

Quest’ultimo criterio di definizione del lavoratore notturno non va a sovrapporsi con il primo in quanto prende in considerazione lo svolgimento di una prestazione lavorativa in parte esercitata durante il periodo notturno, a prescindere che l’attività in oggetto rientri nell’orario normale di lavoro. Quindi, deve considerarsi lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale durante il periodo notturno ma che, nell’arco di un anno, svolga almeno 80 giorni di lavoro notturno. Ad esempio se al lavoratore è richiesto lo svolgimento, per esigenze contingenti, di prestazioni durante il periodo notturno, tale prestatore è considerato lavoratore notturno ai fini della disciplina in oggetto se detto periodo, anche frazionato, abbia durata di almeno 80 giorni lavorativi nell’arco temporale di un anno solare.

Ove il limite degli 80 giorni venga superato in ragione del sopravvenire di eventi eccezionali e straordinari (gravi incidenti agli impianti o nell’esercizio di particolari servizi, calamità naturali), non potrà configurarsi la fattispecie in esame.

Il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

Il lavoratore, per poter svolgere prestazioni di lavoro notturno, deve esserne ritenuto idoneo mediante accertamento ad opera delle strutture sanitarie pubbliche competenti o per il tramite del medico competente.

I lavoratori notturni, la cui idoneità sia già stata verificata ai sensi della legge previgente, non devono essere sottoposti ad un nuovo accertamento.

Oltre a questa iniziale valutazione che deve precedere l’esecuzione di prestazioni di lavoro notturno, lo stato di salute dei lavoratori notturni deve essere periodicamente verificato. La periodicità di tali controlli è individuata dal legislatore in almeno due anni. I controlli potranno essere più frequenti sia nel caso in cui il medico competente abbia prescritto una periodicità inferiore sia nel caso in cui siano mutati i rischi relativi alle lavorazioni cui il lavoratore è addetto.

Tali controlli devono essere effettuati dalle competenti strutture sanitarie pubbliche, o dal medico competente di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994. In ogni caso tali controlli devono avvenire a cura e spese del datore di lavoro.

 

LIMITAZIONI AL LAVORO NOTTURNO

L’esecuzione di prestazioni di lavoro notturno è obbligatoria per i lavoratori idonei fatto salvi i casi di divieto o di esclusione dall’obbligo di eseguire la prestazione.

È vietato adibire al lavoro dalle 24 alle 6 le donne in gestazione dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino o, comunque, dal momento in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza della fattispecie generatrice del divieto.

Alcuni lavoratori hanno facoltà di non prestare lavoro notturno dandone comunicazione, in forma scritta, al datore di lavoro entro 24 ore precedenti al previsto inizio della prestazione. Il datore ha facoltà di accettare la comunicazione del rifiuto avvenuta in un termine inferiore rispetto a quello previsto.

L’individuazione dei requisiti dei lavoratori che determinano l’insorgere della facoltà sono stabiliti dai contratti collettivi. Il decreto prevede, inoltre, che abbiano facoltà di rifiutarsi di prestare lavoro notturno:

  • la lavoratrice subordinata, madre di un figlio di età inferiore di tre anni o, qualora la stessa non abbia esercitato la facoltà di rifiutare l’esecuzione di prestazioni di lavoro notturno;
  • il lavoratore padre convivente che sia anch’esso lavoratore subordinato;
  • l’unico genitore affidatario e convivente di un minore di età inferiore a 12 anni;
  • coloro che abbiano a loro carico un soggetto disabile ai sensi della legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

 

OBBLIGHI DI COMUNICAZIONE

Il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare per iscritto, annualmente, l’esecuzione di lavoro notturno continuativo oppure compreso in turni periodici regolari.

La comunicazione deve essere effettuata ai servizi ispettivi della DPL competente e alle organizzazioni sindacali titolari del diritto ad essere consultate al fine dell’introduzione del lavoro notturno.

Se il contratto collettivo applicato in azienda disciplina in modo specifico l’esecuzione di lavoro notturno continuativo oppure compreso in turni periodici regolari, non sorge l’obbligo di comunicazione.

 

DURATA DELLA PRESTAZIONE

Ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 66/2003, per tutti i lavoratori notturni, l’orario non può superare le 8 ore, in media, nell’arco di 24 ore calcolate dal momento di inizio dell’esecuzione della prestazione lavorativa.

Tale limite costituisce, data la sua formulazione, un media fra ore lavorate e non lavorate pari ad 1/3 (8/24) che, in mancanza di una esplicita previsione normativa, può essere applicato su di un periodo di riferimento pari alla settimana lavorativa – salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo più ampio sul quale calcolare detto limite – considerato che il Legislatore ha in più occasioni adoperato l’arco settimanale quale parametro per la quantificazione della durata della prestazione (vedi ad esempio gli articoli 3 e 4 del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di orario normale di lavoro e orario medio).

Per il settore della panificazione industriale la media su cui calcolare il limite di durata della prestazione lavorativa è riferito, comunque, alla settimana lavorativa e, pertanto, la norma si configura quale limite alla contrattazione collettiva di estendere ulteriormente il periodo di riferimento sul quale calcolare l’orario di lavoro.

Inoltre, conformemente alla direttiva 93/104/CE, per alcune lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il limite orario è di otto ore nel corso di ogni periodo di 24 ore. In questo caso il limite è fisso e non va considerato come media.

L’individuazione di tali lavorazioni è rimessa ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali – di concerto col Ministro per la funzione pubblica per quanto riguarda, in modo non esclusivo, i pubblici dipendenti – previa consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Per le materie di esclusivo interesse dei pubblici dipendenti il decreto è adottato dal ministro della funzione pubblica di concerto col Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

La durata massima della settimana lavorativa non potrà, quindi, superare le 48 ore comprensive delle ore di straordinario, tenendo presente che queste ultime non potranno essere superiori, in assenza di determinazioni collettive, di 250 ore annue.

Nel computo della media su cui calcolare il limite delle 8 ore non si deve tener conto del periodo di riposo minimo settimanale quando questo ricade nel periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi.

 

TRASFERIMENTO AL LAVORO DIURNO

Qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno il lavoratore può essere trasferito al lavoro diurno.

La sopraggiunta inidoneità deve essere accertata dalle competenti strutture sanitarie pubbliche o dal medico competente.

Il decreto dispone che il trasferimento al lavoro notturno è subordinato alla esistenza e alla disponibilità di un posto di lavoro la cui esecuzione sia relativa a mansioni equivalenti a quelle svolte. In mancanza di tali condizioni il datore di lavoro ha facoltà di risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.

Alla contrattazione collettiva è attribuita la facoltà di definire le modalità di applicazione delle disposizioni illustrate in materia di trasferimento al lavoro diurno e di individuare le soluzioni per le ipotesi in cui manchino le condizioni per l’assegnazione al lavoro diurno del prestatore di lavoro notturno.

Quindi, mentre il decreto legislativo n. 532 del 1999 stabiliva che il trasferimento al lavoro diurno o ad altra mansione era automatico, con la nuova disciplina tale trasferimento è vincolato alla disponibilità in azienda, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva che potrà ricercare anche soluzioni alternative in caso di inesistenza di altro posto di lavoro disponibile.

 

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ATTENZIONE ALLE VISITE E AI GIUDIZI DEL MEDICO COMPETENTE

 

Da FILCAMS CGIL Lombardia

http://www.rlsfilcams-lombardia.org

 

Si rivolgono sempre più spesso a noi, lavoratori, che a seguito di visita dal Medico competente, ci segnalano di aver ricevuto dallo stesso l’invito a continuare la malattia in quanto a parere del Medico competente sono inidonei a riprendere la propria attiva lavorativa.

Questo avviene nella gran parte dei casi a voce e in altri per iscritto con diciture tutt’altro che inattaccabili. Spesso i lavoratori accettano quanto loro viene detto o scritto senza valutarne a pieno le conseguenze.

 

Per questo pensiamo utile ricordare a tutti quali le norme e la procedura da seguire:

  • il lavoratore non si può rifiutare di sostenere le visite mediche disposte dal Datore di Lavoro (articolo 20, comma 2, lettera i) del D.Lgs.81/08);
  • i costi sono a totale carico del datore di lavoro (articolo 15, comma 2 del Decreto).
  • le visite siano esse preventive all’applicazione, periodiche legate al programma di sorveglianza sanitaria, richieste dal lavoratore o conseguenti ad assenze superiori a 60 giorni non devono essere fatte quando il lavoratore è in malattia;
  • dopo la visita il Medico competente deve redigere il proprio giudizio che può essere d’idoneità, idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni e limitazioni, inidoneità temporanea, inidoneità permanente (articolo 41, comma 5 del Decreto).
  • in caso d’inidoneità temporanea vanno indicati i limiti temporali. (articolo 41, comma 7 del Decreto);
  • qualora il giudizio del Medico competente preveda un’inidoneità alla mansione specifica, il Datore di Lavoro deve adibire il lavoratore (se possibile) a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza (articolo 42 del Decreto).

 

Chiaro è che l’invito verbale a mettersi in malattia non rientra nelle norme citate.

Il Medico competente può ritenere che un dipendente sano (se è stato in malattia o in infortunio ed è stato giudicato idoneo a riprendere il lavoro dal medico di base) sia inidoneo a svolgere questa o quella mansione in funzione dei rischi a cui è sottoposto.

Ma nel caso il Medico competente giudichi un dipendente che svolge un’attività specifica questo non significa che sia inidoneo a svolgere tutte le mansioni.

 

Proprio perché il Medico Competente, ha partecipato alla valutazione del rischio e ha visitato gli ambienti di lavoro, potrebbe tranquillamente indicare eventuali mansioni cui il dipendente può essere adibito nell’ambito della propria azienda.

 

Un paio di esempi.

 

Un lavoratore della Grande Distribuzione Organizzata addetto al rifornimento, a causa di problemi ai piedi, non può per un certo periodo utilizzare le calzature antinfortunistiche previste per la propria mansione. Questo non significa automaticamente che non possa essere trovata una collocazione lavorativa all’interno dell’azienda ove le calzature antinfortunistiche non sono obbligatorie ove applicarlo, ad esempio alla cassa.

 

Una commessa della moda per problemi al rachide non può stare in piedi continuativamente per otto ore, non significa automaticamente che possa essere giudicata inidonea alla mansione. E’ possibile, infatti, definire pause di riposo o di altra attività non in posizione eretta.

 

Chi accetta supinamente indicazioni verbali a rimettersi in malattia, o un responso scritto d’inidoneità lavorativa di dubbia validità senza presentare ricorso avverso entro trenta giorni dal ricevimento all’ASL di competenza (articolo 41, comma 9 del Decreto) rischia nel peggiore dei casi di ritrovarsi (come già capitato) una lettera di licenziamento per superamento dei periodi di comporto.

 

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L’AMIANTO PRESENTE NELL’80% DELLE RISTRUTTURAZIONI E DEMOLIZIONI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

15 dicembre 2015

di Tiziano Menduto

L’Italia è un paese pieno di amianto, con bonifiche insufficienti e un’insufficiente attenzione e tutela della popolazione e dei lavoratori. Cosa si dovrebbe fare? Ne parliamo con Stefano Farina di AIFOS (Associazione Italiana Formatori e Operatori della Sicurezza) e Paolo Varesi della Commissione Consultiva.

 

Che la presenza nel nostro paese di fibre d’amianto e la necessità di idonee bonifiche siano ormai da considerare una emergenza nazionale, è emerso anche dalla recente “Assemblea Nazionale sull’Amianto” che si è tenuta il 30 novembre al Senato e che ha parlato anche concretamente della possibilità di un futuro Testo Unico. Un Testo Unico in grado di dare organicità alla materia, raccordando le oltre 400 norme regionali e nazionali sull’amianto, e offrire tutela e aiuto ai familiari delle vittime, come richiesto anche da Camilla Fabbri, presidente della Commissione di Inchiesta sugli infortuni sul lavoro del Senato.

 

E tutto questo in un paese, come il nostro, in cui l’amianto è stato massicciamente utilizzato. Un paese, come ha ricordato all’Assemblea il presidente dell’INPS Tito Boeri, in cui si procede troppo lentamente con le bonifiche. Infatti riguardo alla quantità di amianto, “sul territorio italiano sono ancora presenti 32 milioni di tonnellate. A questo ritmo di bonifica, occorrerebbero ancora 85 anni, un’infinità…”.

Del rinnovato impegno a liberare l’Italia dall’amianto e ad aumentare l’attenzione verso questo pericolosissimo materiale, vogliamo parlare anche noi di PuntoSicuro pubblicando una recente intervista sul tema amianto che abbiamo realizzato durante la manifestazione Ambiente Lavoro che si è tenuta a Bologna nel mese di ottobre.

Con i nostri microfoni abbiamo raccolto le esperienze e le indicazioni di Stefano Farina (coordinatore della sicurezza e responsabile del settore costruzioni di AIFOS) e Paolo Varesi (componente della Commissione Consultiva, ex articolo 6 del D.Lgs.81/08) a margine del convegno, organizzato dall’associazione ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro), dal titolo “Rischio amianto: il quadro informativo aggiornato e gli strumenti pratici per la migliore assistenza e tutela” (Bologna, 14 ottobre 2015). I due intervistati erano relatori del convegno sul tema specifico della “Valutazione della presenza di amianto nei cantieri di ristrutturazione e in agricoltura”.

A 23 anni dalla Legge n. 257 del 27 marzo 1992, contenente le “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, chiediamo innanzitutto ai due relatori quale sia la dimensione del problema amianto in edilizia e agricoltura. Accade spesso in questi comparti che ci si trovi ad avere a che fare con materiale in amianto?

Rimandando per le risposte alla trascrizione dell’intervista, che ci ricorda come nei cantieri di ristrutturazione o demolizione di edifici “circa nell’80% dei casi si riscontra la presenza di amianto” e dell’abitudine a utilizzare l’amianto nel mondo agricolo, nei palazzi pubblici e nelle tubazioni, chiediamo ai due relatori anche informazioni più dettagliate sulla tutela dei lavoratori.

In edilizia quando si progetta una ristrutturazione si pensa all’amianto?

E il manutentore cosa deve fare se si trova di fronte a materiali contenenti amianto?

Quali sono invece le procedure da seguire laddove si sa che è presente amianto?

Non possiamo poi non soffermarci a quanto fatto in questi anni dalla Commissione Consultiva e sulle necessità odierne a livello procedurale e normativo.

In Commissione Consultiva si sta lavorando per migliorare la prevenzione del fenomeno amianto?

In questi anni è cambiato qualcosa dal punto di vista normativo e procedurale riguardo alla sicurezza per esposti all’amianto?

Quali sono le problematiche che dovrebbe affrontare oggi il legislatore?

Chi sono i lavoratori più esposti al rischio amianto?

L’intervista si conclude elencando le iniziative più urgenti.

Ad esempio, ricorda Paolo Varesi, è necessario “instaurare anche un po’ di paura”. Stiamo parlando di una malattia, quella correlata alla presenza di amianto, “che ha una latenza lunghissima, addirittura di 30/40 anni, e che non lascia scampo. Si muore, non c’è speranza di vita. E questa malattia colpisce spesso persone che hanno avuto una attività professionale che le ha messe in contatto con l’amianto, ma anche persone che, nel 20% dei casi, non riescono a spiegare come sia avvenuto il contatto con la fibra…”.

Ci vorrebbe dunque “una giornata nazionale da dedicare al’amianto, un momento di riflessione collettiva che non coinvolga soltanto gli addetti ai lavori”. E, ricorda infine anche Stefano Farina, necessita anche una “diffusione capillare della formazione”.

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di ascoltare integralmente l’intervista, al link:

https://www.youtube.com/watch?v=Bp9SRWxO2JI

e/o di leggerne una parziale trascrizione.

ARTICOLO E INTERVISTA A CURA DI TIZIANO MENDUTO

Cominciamo a cercare di comprendere la dimensione del problema della presenza di amianto in edilizia e agricoltura. Accade spesso in questi comparti che ci si trovi ad avere a che fare con materiale in amianto?

Stefano Farina

Secondo quella che è la mia esperienza, nei cantieri di ristrutturazione o demolizione di edifici circa nell’80% dei casi abbiamo riscontrato la presenza di amianto. Una quantità molto elevata che non sempre è visibile. Tante volte ci si sofferma alle verifica delle coperture, mentre in realtà all’interno di strutture o finiture troviamo la presenza di queste fibre, chiamate anche “fibre killer”.

Anche in agricoltura specialmente in fase di smontaggio di capannoni o annessi agricoli si rileva la presenza di amianto. E molte volte questo amianto, soprattutto se in lastre, viene riutilizzato perché non c’è la conoscenza della sua pericolosità. La presenza di amianto si riscontra anche nel sottosuolo, in tubazioni di tipo irriguo o di acquedotti e fognature…

Nella Commissione Consultiva questa dimensione del problema è avvertita? Si sta lavorando per migliorare la prevenzione del fenomeno amianto?

Paolo Varesi

C’è una grande attenzione istituzionale. La Commissione già nel precedente mandato aveva istituito un apposito Comitato Tecnico che aveva approfondito vari aspetti in collaborazione con il Ministero della Salute e con l’INAIL. La nuova Commissione ha già previsto la permanenza di questo comitato.

Io integrerei quanto già detto da Farina, ricordando che il nostro paese è stato il più grande utilizzatore di fibra d’amianto. Ne sono presenti sul territorio milioni di tonnellate, in modo molto diffuso, perché l’utilizzo di questa fibra veniva raccomandata. Ci sono pubblicità in cui si raccomandava l’uso di questo materiale per le sue caratteristiche a livello industriale per l’isolamento termico.

Stefano Farina

E per la protezione dei lavoratori…

Paolo Varesi

Per cui non a caso in alcuni ambiti, come in agricoltura ed edilizia, oggi è difficile censire completamente la presenza di questo materiale.

La mia generazione è nata con l’Eternit che veniva utilizzato anche per realizzare la cuccia del cane. Veniva utilizzato con molta facilità, soprattutto in campagna. E viene ancora utilizzato. Ci sono regioni in cui l’Eternit è usato dalle famiglie per proteggere particolari formaggi che vengono realizzati in fossa, oppure per proteggere gli animali da cortile.

Questo è un tema che non può restare di interesse istituzionale o da addetti ai lavori ma deve permeare la popolazione attraverso tutti gli strumenti di comunicazione. Ad esempio attraverso le scuole che spesso vengono investite da questo problema e che spesso sono oggetto di attenzione perché moltissimi edifici pubblici, è stato ricordato anche recentemente dall’ex Ministro Balduzzi, sono caratterizzati dalla presenza di fibre d’amianto.

Proprio per la caratteristica del nostro paese e per l’uso che questo paese ha fatto dell’amianto noi abbiamo il problema di individuare bene tutti i siti, di fare una buona informazione, perché le persone si difendano, e soprattutto di instaurare anche un po’ di paura. E lo dico senza creare allarmismo. Il problema è che noi tema siamo abituati a vivere sulla cronaca, a prevenire l’infortunio, mentre qui stiamo parlando di una malattia che ha una latenza lunghissima, addirittura di 30/40 anni, e che non lascia scampo. Si muore, non c’è speranza di vita. E questa malattia colpisce spesso persone che hanno avuto una attività professionale che le ha messe in contatto con l’amianto, ma anche persone che, nel 20% dei casi, non riescono a spiegare come sia avvenuto il contatto con la fibra.

In edilizia quando, ad esempio, si pianifica, si progetta una ristrutturazione si pensa all’amianto?

Stefano Farina

Sicuramente si dovrebbe pensare all’amianto facendo campionamenti, sopralluoghi e vedendo, locale per locale, se c’è presenza di amianto.

Molte volte invece questo controllo viene fatto solo a livello visivo, per cui si guardano le superfici in cui è quasi assodato ci sia la presenza di amianto mentre non si vanno ad approfondire altri aspetti.

E sappiamo che l’amianto può trovarsi in realtà anche nelle contropareti, all’interno degli sfiati e anche dietro a stufe. C’erano infatti i cartonati di amianto che venivano utilizzati dietro stufe e termosifoni per isolare la parete.

Un altro problema è relativo alle caldaie. Sappiamo che molte guarnizioni e rivestimenti delle caldaie contengono amianto…

Per cui parliamo anche di rischi nelle manutenzioni…

Stefano Farina

Parliamo di manutenzioni e anche soprattutto di situazioni dove magari una caldaia è stata dismessa, ma è stata lasciata in ambiente e la fibra d’amianto rimane. E quando si fa la manutenzione successiva, il manutentore è esposto all’amianto.

Parliamo anche di rivestimenti di tubazioni (idriche, riscaldamento, ecc.). Anche in questo caso mi è capitato di vedere isolazioni completamente danneggiate, con perdita di fibra, anche in ambienti pubblici. E il manutentore è totalmente esposto e non sempre è a conoscenza di questi aspetti.

E’ cambiato qualcosa in questi anni dal punto di vista normativo e procedurale riguardo alla sicurezza per esposti all’amianto? Quali sono le problematiche che dovrebbe affrontare oggi il legislatore alla luce di quanto ci avete detto? Quali sono oggi i lavoratori più a rischio riguardo all’amianto?

Paolo Varesi

A volte ci dimentichiamo che i manutentori spesso sono lavoratori stranieri che arrivano da paesi in cui non c’è questa sensibilità, dove spesso non c’è neanche una normativa che tuteli i lavoratori dall’esposizione all’amianto, e che si trovano a fare lavori (cosiddetti in economia) con un datore di lavoro che chiede la risoluzione veloce del problema manutentivo.

Per questo io dico che si devono fare grandi campagne molto aggressive per sensibilizzare le persone e anche per sensibilizzare i datori di lavoro che spesso non sono grandi imprese, dove comunque il sistema tiene, ci sono RSPP qualificati, dove c’è un sistema di collaborazione che consente questa tipologia di interventi.

Noi dobbiamo parlare della quotidianità, dell’acquirente di un appartamento di un negozio, di un appartamento, di uno stabile da ristrutturare, che spesso si rivolge a lavoratori autonomi, a piccole ditte di cittadini stranieri che fanno un lavoro in economia. Stiamo parlando di un lavoro che si fa senza orario, velocemente, senza guardare la tutela dei lavoratori. Questi sono i futuri esposti all’amianto, non sono i lavoratori che hanno la fortuna di lavorare in una grande azienda o in un grande progetto.

Per concludere cosa servirebbe dunque oggi in Italia a livello normativo o a livello di campagne di prevenzione?

Paolo Varesi

Ci vorrebbe un’attenzione politica e mediatica innanzitutto. Ci vorrebbe una giornata nazionale da dedicare all’amianto, un momento di riflessione collettiva che non coinvolga soltanto gli addetti ai lavori, ma anche tutte le associazioni, le comunità, le parrocchie, tutti quegli strumenti che possono aiutare a fare decollare questa formazione culturale.

Stefano Farina

E’ anche necessario operare per una diffusione capillare della formazione. In questi anni tanta formazione è stata fatta, ma probabilmente a livello di amianto e di conoscenza della presenza di amianto non si è sviluppato, ad esempio in edilizia e agricoltura, un sistema di passaggio di informazioni. Molte volte capita di venire consultati da colleghi e imprese dopo che l’amianto è stato trovato all’interno di un edificio con perdita di fibre.

Dobbiamo far capire prima come comportarsi e non arrivare dopo, perché dopo è tardi.

 

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IL NUOVO CODICE PREVENZIONE INCENDI: IL SISTEMA DI ESODO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

15 dicembre 2015

 

Il nuovo codice di prevenzione incendi riporta precise indicazioni relative al sistema di esodo. Procedure ammesse, vie di esodo, luoghi sicuri, scale, illuminazione di sicurezza, segnaletica d’esodo ed orientamento.

 

Le finalità del sistema di esodo sono quelle di “assicurare che gli occupanti dell’attività possano raggiungere o permanere in un luogo sicuro, a prescindere dall’intervento dei Vigili del Fuoco”.

Inizia con queste parole il capitolo dedicato al “sistema d’esodo” e contenuto nel cosiddetto “Codice di prevenzione Incendi” relativo al Decreto del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2015 recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del Decreto Legislativo 8 marzo 2006, n. 139”, Codice di prevenzione che è entrato in vigore il 18 novembre 2015.

 

Riguardo a questo aspetto così importante per l’efficacia delle strategie di prevenzione antincendio nei luoghi di lavoro, ricordiamo innanzitutto che secondo il Codice le procedure ammesse per l’esodo sono tra le seguenti:

  • esodo simultaneo: modalità di esodo che prevede lo spostamento contemporaneo degli occupanti fino a luogo sicuro (l’attivazione della procedura di esodo segue immediatamente la rivelazione dell’incendio oppure è differita dopo verifica da parte degli occupanti dell’effettivo innesco dell’incendio);
  • esodo per fasi: modalità di esodo di una struttura organizzata con più compartimenti, in cui l’evacuazione degli occupanti fino a luogo sicuro avviene in successione dopo l’evacuazione del compartimento di primo innesco; si attua con l’ausilio di misure antincendio di protezione attiva, passiva e gestionali (ad esempio l’esodo per fasi si attua in edifici di grande altezza, ospedali, multisale, centri commerciali, grandi uffici, ecc.);
  • esodo orizzontale progressivo: modalità di esodo che prevede lo spostamento degli occupanti dal compartimento di primo innesco in un compartimento adiacente capace di contenerli e proteggerli fino a quando l’incendio non sia estinto o fino a che non si proceda a una successiva evacuazione verso luogo sicuro (l’esodo orizzontale progressivo si attua ad esempio nelle strutture ospedaliere);
  • protezione sul posto: modalità di esodo che prevede la protezione degli occupanti nel compartimento in cui si trovano.

Il documento “Norme tecniche di prevenzione incendi”, allegato al Decreto del 3 agosto 2015, riporta nel capitolo sull’esodo varie indicazioni relative ai livelli di prestazione, ai criteri di attribuzione dei livelli di prestazione e alle possibili soluzioni progettuali.

 

Noi ci soffermiamo invece su alcune delle caratteristiche generali del sistema d’esodo.

Ad esempio riguardo al “luogo sicuro” (luogo esterno alle costruzioni nel quale non esiste pericolo per gli occupanti che vi stazionano o vi transitano in caso di incendio) si indica che ogni luogo sicuro deve essere idoneo a contenere gli occupanti che lo impiegano durante l’esodo. La superficie lorda del luogo sicuro è calcolabile tenendo in considerazione le superfici minime per occupante riportate in una tabella contenuta nel codice.

Inoltre si considerano luogo sicuro per l’attività almeno le seguenti soluzioni:

  • la pubblica via,
  • ogni altro spazio scoperto esterno alla costruzione sicuramente collegato alla pubblica via in ogni condizione d’incendio, che non sia investito dai prodotti della combustione, in cui il massimo irraggiamento dovuto all’incendio sugli occupanti sia limitato a 2,5 kW/m2, in cui non vi sia pericolo di crolli (nel Codice è presente una metodologia per calcolare anche la distanza di separazione che limita l’irraggiamento sugli occupanti e a meno di valutazioni più approfondite da parte del progettista, la distanza minima per evitare il pericolo di crollo dell’opera da costruzione è pari alla sua massima altezza).

Infine il luogo sicuro deve essere contrassegnato con cartello UNI EN ISO 7010:2015 o equivalente.

Veniamo invece al “luogo sicuro temporaneo” (luogo interno o esterno alle costruzioni nel quale non esiste pericolo imminente per gli occupanti che vi stazionario o vi transitano in caso di incendio: da ogni luogo sicuro temporaneo gli occupanti devono poter raggiungere un luogo sicuro). In particolare si considera luogo sicuro temporaneo per un’attività almeno un compartimento adiacente a quelli da cui avviene l’esodo o uno spazio scoperto.

Veniamo alle vie d’esodo.

Riportiamo alcune indicazioni:

  • l’altezza minima delle vie di esodo è pari a 2 m; sono ammesse altezze inferiori per brevi tratti segnalati lungo le vie d’esodo da locali ove vi sia esclusiva presenza occasionale e di breve durata di personale addetto (ad esempio locali impianti);
  • non devono essere considerati ai fini del calcolo delle vie d’esodo i seguenti percorsi: scale portatili e alla marinara; ascensori; rampe con pendenza superiore all’8%; scale e marciapiedi mobili non progettati secondo le indicazioni presenti nel paragrafo 5.4.5.4 del Codice;
  • è ammesso l’uso di scale alla marinara a servizio di locali ove vi sia esclusiva presenza occasionale e di breve durata di personale addetto (ad esempio locali impianti);
  • per quanto possibile, il sistema d’esodo deve essere concepito tenendo conto che, in caso di emergenza, gli occupanti che non hanno familiarità con l’attività tendono solitamente a uscire percorrendo in senso inverso la via che hanno impiegato per entrare;
  • tutte le superfici di calpestio delle vie d’esodo devono essere non sdrucciolevoli;
  • il fumo ed il calore dell’incendio smaltiti o evacuati dall’attività non devono interferire con il sistema delle vie d’esodo.

Il Codice si sofferma poi su vari altri aspetti che riguardano il sistema d’esodo: via d’esodo protetta, via d’esodo a prova di fumo, via d’esodo esterna, via d’esodo aperta, rampe d’esodo, porte lungo le vie di esodo, uscite finali, posti a sedere fissi e mobili, affollamento, scale, segnaletica, illuminazione.

Ci soffermiamo sulle “scale d’esodo”:

  • nelle attività con massima quota dei piani superiore a 54 m almeno una scala d’esodo deve addurre anche al piano di copertura dell’edificio, qualora praticabile;
  • quando un pavimento inclinato immette in una scala d’esodo, la pendenza deve interrompersi almeno ad una distanza dalla scala pari alla larghezza della stessa;
  • le scale d’esodo devono essere dotate di corrimano laterale;
  • le scale d’esodo di larghezza maggiore di 2.400 mm dovrebbero essere dotate di corrimano centrale;
  • le scale d’esodo devono consentire l’esodo senza inciampo degli occupanti, a tal fine i gradini devono avere alzata e pedata costanti e le scale devono essere interrotte da pianerottoli di sosta;
  • dovrebbero essere evitate scale d’esodo composte da un solo gradino in quanto fonte d’inciampo; se il gradino singolo non è eliminabile, deve essere opportunamente segnalato.

Nel documento sono anche riportate le condizioni per considerare scale e marciapiedi mobili ai fini del calcolo delle vie di esodo.

Riportiamo inoltre alcune indicazioni generali relative alla segnaletica d’esodo ed orientamento.

Il sistema d’esodo (ad esempio le vie d’esodo, i luoghi sicuri, gli spazi calmi, ecc.) deve essere facilmente riconosciuto e impiegato dagli occupanti grazie ad apposita segnaletica di sicurezza. Ciò può essere conseguito anche con ulteriori indicatori ambientali quali: accesso visivo e tattile alle informazioni; grado di differenziazione architettonica; uso di segnaletica per la corretta identificazione direzionale, tipo UNI EN ISO 7010:2015 o equivalente; ordinata configurazione geometrica dell’edificio, anche in relazione ad allestimenti mobili o temporanei.

Inoltre la segnaletica d’esodo deve essere adeguata alla complessità dell’attività e consentire l’orientamento degli occupanti (wayfinding).

E a tal fine:

  • devono essere installate in ogni piano dell’attività apposite planimetrie semplificate, correttamente orientate, in cui sia indicata la posizione del lettore (ad esempio “Voi siete qui”) e il layout del sistema d’esodo (ad esempio vie d’esodo, spazi calmi, luoghi sicuri, ecc.); a tal proposito possono essere applicate le indicazioni contenute nella norma ISO 23601 “Safety identification – Escape and evacuation plan sign”;
  • possono essere applicate le indicazioni supplementari contenute nella norma ISO 16069 “Graphical symbols – Safety signs – Safety way guidance systems”.

E riguardo all’illuminazione di sicurezza deve essere installato un impianto di illuminazione di sicurezza lungo tutto il sistema delle vie d’esodo fino a luogo sicuro qualora l’illuminazione possa risultare anche occasionalmente insufficiente a garantire l’esodo degli occupanti.

Tale impianto deve assicurare un livello di illuminamento sufficiente a garantire l’esodo degli occupanti, conformemente alle indicazioni della norma UNI EN 1838:2013 o equivalente.

Il documento “Norme tecniche di prevenzione incendi”, allegato al Decreto del 3 agosto 2015, riporta infine anche precise indicazioni relative al calcolo delle vie d’esodo, alle misure antincendio minime per l’esodo e alla progettazione dell’esodo, anche con riferimento alla presenza di occupanti con disabilità.

Concludiamo questa breve presentazione del capitolo relativo all’Esodo (S.4), contenuto nel nuovo Codice di prevenzione Incendi, riportandone l’indice:

  • premessa;
  • livelli di prestazione;
  • criteri di attribuzione dei livelli di prestazione;
  • soluzioni progettuali;
  • caratteristiche generali del sistema d’esodo;
  • dati di ingresso per la progettazione del sistema d’esodo;
  • misure antincendio minime per l’esodo;
  • progettazione dell’esodo;
  • esodo in presenza di occupanti con disabilità;
  • misure antincendio aggiuntive;

Il Decreto del Ministero dell’Interno 3 agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del Decreto Legislativo 8 marzo 2006, n. 139” è consultabile all’indirizzo:

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/08/20/15A06189/sg

 

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DIFFERENZE DI GENERE: RISCHI PSICOSOCIALI, STRESS E SUICIDI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

21 dicembre 2015

di Tiziano Menduto

 

Informazioni sulle differenze di genere nel mondo del lavoro con particolare riferimento ai rischi psicosociali e allo stress lavoro correlato. I fattori di rischio, le mansioni femminili e le differenze sull’incidenza di suicidio tra donne e uomini.

 

Diversi articoli di PuntoSicuro in questi ultimi anni hanno sottolineato come le differenze di genere si associno spesso nel mondo del lavoro a una distribuzione diversa, per tipologia e incidenza, delle patologie di origine professionale.

E questa differente distribuzione è attribuibile sia ad una ineguale esposizione ai rischi per la salute che ad alcune specificità dei due sessi, ad esempio a peculiarità di tossico-cinetica e tossico-dinamica, differenti suscettibilità di organi bersaglio e specificità legate al sistema riproduttivo e ormonale che possono predisporre a effetti biologici diversi, anche a parità di esposizione.

 

Ad affermarlo è il documento INAIL “Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere. Rischi lavorativi. Un approccio multidisciplinare” che segue la pubblicazione di altri tre volumi INAIL sul tema delle differenze correlate all’appartenenza al genere maschile o femminile.

E se in passati articoli di presentazione del documento, PuntoSicuro ha evidenziato diverse differenze di genere correlate, ad esempio, ai rischi chimici e biologici e ai rischi ergonomici e organizzativi, si possono notare sensibili differenze anche riguardo ai rischi psicosociali?

Ricordiamo che i rischi psicosociali sono (come indica il documento INAIL e come da definizione di Cox e Griffiths del 1995, ripresa nel 2000 dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) “gli aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e i loro contesti ambientali e sociali che, potenzialmente, possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”. E in particolare “lo stress lavoro correlato è un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste in ambito lavorativo non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore” (NIOSH, 1999).

Per capire se ci siano specificità e differenze di genere riguardo ai rischi psicosociali, bisogna innanzitutto elencare i principali fattori di rischio in ambito lavorativo suddivisi per contenuto e contesto di lavoro, per i quali esiste un’ampia evidenza scientifica che rappresentino un potenziale di stress e di danno per la salute: l’elevato carico di lavoro, una scarsa autonomia, un basso supporto sociale da colleghi e superiori, instabilità e insicurezza del lavoro, alcune caratteristiche dell’orario di lavoro e una bassa remunerazione.

Se fino a oggi gli studi “non hanno evidenziato differenze tra uomini e donne nelle cause dello stress lavoro correlato” (Miller e altri, 2000), è importante sottolineare che molti di questi fattori di rischio indicati sono presenti nelle mansioni svolte generalmente da donne: mancanza di controllo sul proprio lavoro, posizione nella gerarchia organizzativa, gap salariale, compiti ripetitivi, instabilità e insicurezza sul lavoro, esigenze contrastanti tra lavoro e vita privata, discriminazione, molestie sessuali.

Ad esempio la difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare è “considerato un fattore in grado di aumentare nelle donne il rischio di disturbi psicologici da stress quali stanchezza cronica, nervosismo, ansia, disturbi della sfera sessuale e depressione” (Wedderburn, 2000).

Inoltre “i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità così come quelli derivanti da statistiche condotte in Italia, dimostrano come la depressione e i disturbi d’ansia siano più diffusi tra le donne rispetto agli uomini e che questa maggiore prevalenza femminile può essere dovuta a fattori ormonali (basti pensare alla depressioni post-partum), biologici e sociali, o potrebbe essere l’epifenomeno di una maggior propensione delle donne a richiedere un trattamento terapeutico” (Dell’Osso, 2012).

E all’inverso “il minor ricorso a trattamenti terapeutici, ovviato spesso da condotte di abuso di alcol e droghe, potrebbe portare alla sottostima di queste patologie nel sesso maschile” (Haslam, 2003).

E se le differenze di genere sono particolarmente evidenti con riferimento ai casi di segregazione occupazionale, cioè all’ineguale distribuzione per genere degli individui tra le diverse occupazioni, si evidenzia come in alcuni settori a elevata occupazione femminile (sanità e istruzione in primo luogo) si richiede alle lavoratrici di svolgere mansioni molto impegnative sia sul piano fisico, che su quello mentale, con un forte uso delle risorse relazionali ed emotive che possono comportare stati di stress e di stanchezza notevoli.

Senza dimenticare che, come ricordato a proposito dei rischi da fattori inerenti l’organizzazione di lavoro, in una lavoratrice un lavoro faticoso e stressante può alterare il ciclo mestruale provocando, amenorrea, dismenorrea, cicli anovulatori e riduzione della fertilità.

Inoltre secondo alcuni studi le donne “tendono a sviluppare 2-3 volte più degli uomini il disturbo post traumatico da stress dopo un trauma e ad avere sintomi più persistenti” (American Medical Association Councilon Scientific Affairs).

E sembra che il rischio di disturbi dell’ansia e dell’umore sia in genere associato per le donne a eventi stressanti della vita legati alla riproduzione, educazione e cura dei figli e alla gestione della famiglia, mentre per gli uomini tale rischio “viene a essere associato maggiormente a problematiche lavorative e finanziarie” (Afifi, 2007).

Concludiamo l’articolo proprio parlando delle reazioni alle problematiche economiche e alle differenze riscontrate sull’incidenza di suicidio tra donne e uomini.

Infatti si è riscontrato, in uno studio condotto alla fine degli anni ‘80, che l’incidenza di suicidio è “superiore nell’uomo rispetto alla donna con un rapporto 3,5:1 nella popolazione generale” (Conroy, 1989). Altri studi hanno evidenziato come tale divario aumenti notevolmente se si considerano solo i suicidi per i quali fosse possibile riconoscere una motivazione legata al mondo del lavoro.

Veniamo ad alcuni dati che riguardano l’Italia, come riportati nel documento dell’INAIL:

  • i suicidi di imprenditori e lavoratori, motivati da difficoltà economiche, sono saliti del 52% dai 123 del 2005 ai 187 del 2010 (dati ISTAT);
  • secondo i dati EURES nel corso del 2009 in Italia i suicidi commessi sono stati 2.986 (il 5,6% in più rispetto all’anno precedente), con incremento sia della componente femminile (643 casi, +1,6% rispetto al 2008) che, ancor più, della componente maschile (2.197 casi, + 5,6%);
  • i suicidi per ragioni economiche (per quanto sia possibile attribuire una motivazione univoca al gesto e al netto dei suicidi “non spiegati”) risultano essere stati 198 nel 2009 (+32% rispetto al 2008, +67,8% rispetto al 2007), rappresentando il 10,3% dei casi totali contro il 2,9% rilevato nel 2000, evidenziando così la forte influenza determinata dalla crisi economica che il Paese sta attraversando.

 

In ogni caso il suicidio per ragioni economiche sembra rappresentare nel nostro paese un fenomeno quasi esclusivamente maschile e si può ipotizzare, infine, che questo dipenda dal particolare contesto socio culturale del nostro paese: la centralità del lavoro e la responsabilità del mantenimento della famiglia sono, infatti, ancora oggi prerogativa e responsabilità prettamente maschili.

IL documento dell’INAIL “Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere. Rischi lavorativi. Un approccio multidisciplinare” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_107230.pdf

 

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PONTEGGI METALLICI: LE NORME CI SONO, MA BISOGNA APPLICARLE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

22 dicembre 2015

di Tiziano Menduto

 

Per evitare incidenti nei cantieri le norme relative ai ponteggi metallici fissi le l’abbiamo, ma bisogna applicarle. Ne parliamo con Michele Candreva del Ministero del Lavoro.

 

La cronaca di molti incidenti professionali che avvengono quotidianamente nei cantieri (ad esempio il caso del crollo di un’impalcatura con la morte di due operai che è avvenuta a fine ottobre a Piedimonte Matese, in provincia di Caserta) ci ricordano come sia importante la nostra opera di informazione sul tema delle cadute dall’alto in edilizia o, più semplicemente, della tenuta delle opere provvisionali.

 

Per affrontare il tema della sicurezza delle opere provvisionali, del rischio di caduta dall’alto, per cercare di capire perché sono ancora così tanti gli incidenti di lavoro gravi e mortali, abbiamo intervistato l’ingegner Michele Candreva della Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Lo abbiamo intervistato a margine della manifestazione Ambiente Lavoro, che si è tenuta a Bologna nel mese di ottobre, dove l’ingegner Candreva è intervenuto come relatore al convegno INAIL “I ponteggi metallici fissi: comportamento strutturale ed utilizzi specifici”.

E’ un’intervista diversa dalle altre interviste che realizziamo ai vari attori istituzionali della sicurezza. Il rappresentante del Ministero portava con sé una capiente e pesante borsa nella quale conservava alcuni importanti elementi dei ponteggi, quegli elementi che spesso sono alla radice di molti problemi delle opere provvisionali. E ha voluto mostrarceli, farli vedere alla nostra telecamera, parlarne praticamente per mostrare come a volte servano anche conoscenze pratiche per una reale prevenzione. Per dimostrare che “le norme in questo settore, le disposizioni giuridiche, ce l’abbiamo già”. E che “lo sforzo che dobbiamo fare è applicare quelle norme”.

Veniamo brevemente alle domande rivolte dal nostro giornale.

Non si può non partire da un breve excursus storico che è anche il tema della sua relazione.

Partendo dagli anni cinquanta cosa è cambiato a livello normativo, tecnico e legislativo, sul tema delle disposizioni legislative sulla fabbricazione, commercializzazione dei ponteggi metallici fissi e sulle norme per la prevenzione?

Passare poi nell’intervista dalle norme teoriche agli aspetti pratici e tecnici, è un attimo…

Lei dice che non mancano le norme per la prevenzione e che ci sono tuttavia alcuni aspetti pratici che, spiegati in concreto, potrebbero migliorare la prevenzione. Può fare qualche esempio?

In questa parte dell’intervista, che si sviluppa quasi come una breve sessione di addestramento, l’ingegner Candreva si sofferma in particolare su:

  • elementi contro lo sganciamento accidentale delle tavole metalliche;
  • spine a verme per tenere collegati il montante inferiore con il montante superiore;
  • pipette di un corrente o di un diagonale.

E viene più volte citato l’articolo 137 del D.Lgs.81/08 sulla manutenzione e revisione. Articolo in cui si indica che “il preposto, ad intervalli periodici o dopo violente perturbazioni atmosferiche o prolungata interruzione di lavoro deve assicurarsi della verticalità dei montanti, del giusto serraggio dei giunti, della efficienza degli ancoraggi e dei controventi, curando l’eventuale sostituzione o il rinforzo di elementi inefficienti”. E che i vari elementi metallici “devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con idonei sistemi di protezione”.

Le domande cercano poi di capire le cause e le eventuali “soluzioni” per migliorare la prevenzione.

Perché queste normative sono poco applicate? Mancanza di consapevolezza nelle aziende o nei lavoratori? Mancanza di formazione o addestramento?

A questo proposito l’ingegner Candreva ricorda quanto possa essere importante l’addestramento per “far capire agli operatori l’importanza del montaggio di quel determinato attrezzo, di quel determinato dispositivo di protezione, di quel determinato dispositivo di sicurezza”.

E infine cosa può fare il legislatore per aumentare la prevenzione?

Viene citata la Circolare del Ministero del lavoro 9 febbraio 1995 sull’utilizzo di elementi di impalcato metallico prefabbricato di tipo autorizzato in luogo di elementi di impalcato in legname. E la Circolare 27 agosto 2010, n. 29 in relazione all’impiego di ponteggi come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture.

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di ascoltare integralmente l’intervista al link:

https://www.youtube.com/watch?v=__sROjuY1GQ

e/o di leggerne una parziale trascrizione.

ARTICOLO E INTERVISTA A CURA DI TIZIANO MENDUTO

Partendo dagli anni cinquanta cosa è cambiato a livello normativo, tecnico e legislativo, sul tema delle disposizioni legislative sulla fabbricazione, commercializzazione dei ponteggi metallici fissi e sulle norme per la prevenzione?

Michele Candreva

Purtroppo gli infortuni degli ultimi sessanta anni, relativi alle cadute dall’alto e alle opere provvisionali e dei ponteggi, sono in buona sostanza sempre gli stessi.

A mio parere la norma c’è. Il legislatore italiano è intervenuto in questo settore già dal 1955/1956 con idee molto chiare. La differenza con i tempi odierni è che all’epoca era il legislatore ad avere già fatto la valutazione dei rischi e aver dato le indicazioni precise ed esatte di quello che si doveva fare. Ora grazie all’Europa (e l’Europa da questo punto ci ha dato tantissimo) a seguito dell’analisi, dello studio, della valutazione dei rischi, si esamina il problema e si arriva a definire quali sono le migliori misure preventive e protettive per il caso specifico.

Nel mio intervento ho detto che, a mio parere, le norme in questo settore, le disposizioni giuridiche, ce l’abbiamo già. Lo sforzo che dobbiamo fare è applicare quelle norme. Dopo di che ho dato anche altre informazioni. Ad esempio ho detto che le Direttive europee di prodotto sulle opere provvisionale non esistono. Inutile che diciamo che c’è quel prodotto marcato CE, perché non può essere marcato CE, perché non esiste una Direttiva di prodotto sull’argomento.

Viceversa il legislatore italiano ha seguito costantemente questi temi fino ai giorni nostri, l’ultima circolare sui dispositivi di ancoraggio è infatti la Circolare n. 3 del 13 febbraio 2015. E’ vero che non esiste una Direttiva di prodotto su questo argomento, ma esiste una Direttiva di uso che è la Direttiva 2001/45/CE del giugno del 2001. E poi esistono una serie di norme a livello europee pubblicate dal Comitato europeo di normazione. Ne esistono tantissime: sui ponteggi, sui trabattelli, sui pontelli, sulle reti di sicurezza, sui parapetti provvisori, ecc..

Di normativa ne abbiamo tantissima, dobbiamo soltanto applicare quelle norme. Per applicare quelle norme avremo necessità di fare, a mio avviso, più che della formazione, dell’addestramento. Bisogna far vedere quelle cose che sono di natura pratica agli operatori del settore e far capire per quale motivo è utile, opportuno, necessario, inserire un certo dispositivo o meno.

Lei dice che non mancano le norme per la prevenzione e che ci sono tuttavia alcuni aspetti pratici che, spiegati in concreto, potrebbero migliorare la prevenzione. Può fare qualche esempio?

Michele Candreva

All’operatore bisogna dire che nel momento in cui questi elementi contro lo sganciamento accidentali sono utilizzati, ci sono diversi benefici.

Montiamo il ponteggio, magari montiamo naturalmente anche l’impalcato sull’ultimo piano del ponteggio a quota quindici metri, venti metri, trenta metri (a seconda di come sia l’edificio). E magari lo montiamo in una zona molto ventosa. Voi capite bene che quando vediamo sul giornale che le tavole metalliche di un ponteggio sono stata sbilanciate a trenta, quaranta metri di distanza evidentemente questi elementi contro lo sganciamento accidentale della tavola metallica non erano stati montati. E nel momento in cui vengono effettuate le prove di controventatura in pianta sulle tavole metalliche che questi elementi contro lo sganciamento siano montati o meno incide almeno per il 30-40% sulla prova.

Mi viene poi in mente un articolo che è tra quelli più disattesi, l’articolo 137 del Testo Unico, quello sulla manutenzione.

Spesso e volentieri quando noi acquistiamo qualcosa, anche per casa nostra, non pensiamo alla manutenzione. Ma la manutenzione è molto importante. L’articolo dice che a intervalli periodici o dopo violente perturbazioni atmosferiche o prolungata interruzione di lavoro bisogna fare dei controlli periodici.

Ma questi controlli possono anche essere semplici. E, a mio modesto parere, si può andare a prendere l’allegato XIX del Testo Unico, fare la fotocopia, aggiungere due colonne alla fine con un si e un no, dare queste sette/otto pagine ad un responsabile del cantiere, a un preposto che, magari, ogni lunedì mattina vada a verificare il ponteggio.

Perché queste normative sono poco applicate? Mancanza di consapevolezza nelle aziende? Mancanza di formazione o addestramento?

Michele Candreva

L’impresa in realtà conosce abbastanza bene le problematiche e penso che cerchi di tenere le attrezzature in ordine. Molte volte è la fretta del cantiere che non consente di affrontare correttamente le problematiche.

Cosa si potrebbe fare? A mio avviso si dovrebbe operare il più possibile con l’addestramento: far capire agli operatori l’importanza del montaggio di quel determinato attrezzo, di quel determinato dispositivo di protezione, di quel determinato dispositivo di sicurezza. Quando si comprende che se, ad esempio non viene inserita la spina a verme o l’elemento contro lo sganciamento delle tavole metalliche viene a decurtarsi il coefficiente di sicurezza dell’intero ponteggio e ne va della sicurezza degli operatori, forse abbiamo più coscienza dei rischi.

 

 

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Dopo Vicoforte: riflessioni, spunti, proposte

Pubblichiamo la sintesi delle riflessioni e delle proposte emerse dall’incontro di Vicoforte dell’ottobre scorso.
L’incontro aveva come scopo quello di tentare una prima definizione degli obiettivi di una formazione slow in quattro ambiti che consideriamo fondamentali.
  • scienza, conoscenza e pratica : l’acquisizione e l’applicazione della conoscenza scientifica e nel contesto delle cure
  • medicina narrativa e humanities nella formazione dei professionisti della cura;
  • comunicazione e relazione nella pratica della cura: quali competenze sono necessarie, quali metodi formativi possono migliorarle
  • organizzazione slow :guida alla lettura ed alla trasformazione dei sistemi organizzati.
Queste prime riflessioni saranno presentate e discusse nel corso dell’incontro Il cammino delle chiocciole, che si svolgerà a Torino presso la sede dell’ordine dei Medici ( Corso Francia 8) il pomeriggio del 30 gennaio 2016, dopo la riunione dell’Assemblea dei Soci. Ci auguriamo che ne nascano nuove proposte e nuovi progetti con il coinvolgimento di tutti i soci. 
 
 

Linee guida emanate dalle società scientifiche

NoGrazie ha sottoscritto la lettera che Allineare Sanità e Salute ha inviato alla ministra Lorenzin e che riproduciamo qui sotto.

 

Gentile Ministra Lorenzin,

 

il testo sulla responsabilità professionale approvato dalla Commissione Affari Sociali presenta molti importanti aspetti positivi, da lei enumerati nell’intervista pubblicata su QS. Purtroppo, però, riteniamo contenga anche un errore molto grave per la sostenibilità del SSN: che le buone pratiche e linee guida (LG) cui i medici dovranno attenersi per limitare contenziosi siano emanate dalle Società Scientifiche (ancorché iscritte in apposito elenco istituito con suo decreto). Il vigente decreto Balduzzi parlava di linee guida/buone pratiche “accreditate dalla comunità scientifica”. La nuova formulazione può creare una situazione più inflattiva e insostenibile rispetto agli attuali 10 mld di €/anno sprecati in medicina difensiva, con decine di mld consumati in sovradiagnosi, sovratrattamenti e aumento di iatrogenesi. Infatti già oggi molte LG di Società Scientifiche sono condizionate (anche) da:

a) punti di vista parziali, non ricomposti in una visione multidisciplinare e sostenibile

b) umane logiche autoreferenziali

c) relazioni finanziarie con i produttori di tecnologie sanitarie.

Ciò aumenterebbe in modo esponenziale se molte Società scientifiche diventassero titolari per legge di stabilire ciò cui tutti i medici si devono attenere. Ma anche a prescindere da tali relazioni, gli interessi degli specialisti di una disciplina oggettivamente convergono (per come sono pagati e incentivati sul lavoro e in libera professione, per percorsi di carriera, potere, prestigio…) verso un’eccessiva enfasi sulle proprie prestazioni. Tale punto di vista potrebbe non essere di immediata condivisione. Per meglio illustrarlo, nel file allegato abbiamo inserito 10 esempi, relativi a un buon numero di Società Scientifiche, e saremmo lieti di confrontarci in merito con esperti di sua fiducia.

 

Proposta. La formulazione attuale del testo si potrebbe sostituire con “linee guida progressivamente elaborate da un Sistema Nazionale Linee Guida, coordinato da una pubblica istituzione”. Nei regolamenti attuativi si potranno poi aggiungere elementi qualificanti, come che:

  • tali LG hanno valore di orientamento culturale più che normativo (pur potendo costituire utili riferimenti in caso di contenzioso)
  • i gruppi di lavoro impegnati a formularle, coordinati da una pubblica istituzione, dovrebbero comprendere esponenti delle società scientifiche, degli ordini professionali, metodologi con esperienza di LG, esperti di valutazioni comparative di interventi sanitari, organizzazioni di pazienti, tutti tenuti a render pubbliche le proprie relazioni finanziarie, inclusi dirigenti di sanità pubblica in grado di entrar nel merito di valutazioni di efficacia e costo-efficacia, e responsabilità personale davanti al datore pubblico di lavoro di esplicitarne l’impatto previsto sui costi del SSN
  • le bozze redatte andranno aperte ai contributi/commenti pubblici prima di adozioni formali (sul modello adottato dal NICE del Regno Unito, dall’USPSTF degli USA, ecc.)

 

Potrà servire più tempo (intanto vige il riferimento alla “Comunità scientifica” della Legge Balduzzi), ma avere LG inflattive è peggio che non averle. Se sono LG veicoli di conflitti d’interesse con la salute e la sostenibilità del SSN, meglio prendersi il tempo necessario per costruire LG che presentino tutti i requisiti.

 

Gentile Ministra, certi delle sue migliori intenzioni, le chiediamo di ascoltarci:

fermi questa deriva finché siamo in tempo!

 

In attesa di un cortese riscontro, e pronti a incontrare lei o suoi fiduciari per eventualmente meglio argomentare quanto sopra, confidiamo che non affretti una scelta che può affossare il nostro SSN.

 

Per il Comitato scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute

  • Dott. Alberto Donzelli – Medico con quarantennale esperienza di dirigente di sanità pubblica e Direttore editoriale del Progetto nazionale Pillole di buona pratica clinica per medici e Pillole di educazione sanitaria per cittadini-assistiti
  • Dott. Alessandro Battaggia – MMG, Master universitario in Revisioni Sistematiche metanali-tiche della letteratura biomedica (Centro Cochrane Italiano e Università di Milano) e Corso di perfezionamento universitario in Statistica Medica applicata ai problemi clinici
  • Prof. Dott. Gianfranco Domenighetti, economista sanitario, già dirigente di sanità pubblica, Università della Svizzera Italiana
  • Dott. Giuseppe Fattori – Medico con esperienza nella gestione dei servizi sanitari e della promozione della salute. Coordinatore del Laboratorio FIASO “Comunicazione e Promozione della Salute”
  • Dott. Paolo Longoni – MMG e specialista in Medicina Interna, Consiglio Direttivo del Centro studi e Ricerche in Medicina Generale (CSeRMEG)
  • Dott. Luca Mascitelli – Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport, Ufficiale medico presso il Comando Brigata alpina “Julia” in Udine. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche sulle principali riviste internazionali di medicina e capitoli di libri
  • Dott. Giulio Mariani – Medico specialista in cardiologia e diabetologia/malattie del ricambio. Internista e Responsabile UO di diabetologia AO San Carlo. Presidente Onorario dell’Associazione Diabetici di Milano e Provincia dal 1990
  • Dott. Alessandro Nobili – Capo del Laboratorio di Valutazione della Qualità delle Cure e dei Servizi per l’Anziano. Responsabile del Servizio informazione sui farmaci nell’anziano
  • Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”
  • Dott. Gianfranco Porcile – già Primario oncologo Ospedale di Alba (Cuneo)
  • Coordinatore Gruppo Green Oncology di CIPOMO (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri)

 

Per il Centro Studi Co.S (Consorzio Sanità)

  • Dott. Alberto Aronica – MMG e specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio, Presidente del Centro Studi Co.S

 

Per CSeRMEG (Centro Studi e Ricerche per la Medicina Generale)

  • Dott. Vittorio Caimi – MMG e Presidente CSeRMEG.

Brevetti e costi esorbitanti di farmaci salvavita

L’importante relazione tra la l’esame dei brevetti effettuato dagli uffici nazionali preposti e il diritto dei cittadini ad accedere ai farmaci non sempre è stata ben compresa. Troppo spesso queste sono visti come funzioni o responsabilità dello Stato non collegate tra loro. E il motivo è chiaro: i requisiti di brevettabilità non sono definiti dagli uffici brevetti, ma spesso da giudici, tribunali, leggi o trattati. Questo succede quando la politica sui brevetti è messa in pratica in isolamento, piuttosto che guidata dalle politiche di sanità pubblica.

 

Dato l’impatto che i brevetti farmaceutici hanno sull’accesso ai farmaci, gli uffici brevetti dovrebbero continuare ad allineare il loro lavoro a sostegno delle politiche di salute nazionali, con la libertà consentita dall’accordo sugli aspetti commerciali della proprietà intellettuale (TRIPS) per definire i requisiti di brevettabilità. L’accordo TRIPS impone a tutti i paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) di integrare nella loro legislazione degli standard minimi universali per quasi tutti i diritti in questo campo: copyright, brevetti e marchi.

 

Un brevetto è un titolo rilasciato dalle autorità pubbliche che conferisce un monopolio temporaneo di sfruttamento di un’invenzione alla persona che lo detiene, fornisce una descrizione sufficientemente chiara e completa di esso, e sostiene questo monopolio. Come con qualsiasi monopolio, può portare a prezzi elevati che a sua volta possono limitare l’accesso al bene o servizio brevettato. Il problema è aggravato nel caso dei medicinali, quando i brevetti conferiscono un monopolio per un bene pubblico e per prodotti essenziali necessari a prevenire malattia o morte e a migliorare la salute.

 

In base all’accordo TRIPS, i requisiti di brevettabilità usati dagli uffici nazionali sulla proprietà intellettuale richiedono che un prodotto o un processo di fabbricazione soddisfi le condizioni necessarie a garantire la protezione dei brevetti, vale a dire: novità, attività inventiva e applicabilità industriale. Questi tre elementi, tuttavia, non sono definiti nel TRIPS e i paesi membri dell’OMC sono liberi di definire questi tre criteri in modo coerente con gli obiettivi di salute pubblica definiti da ciascun paese.

 

É opinione diffusa che i brevetti siano concessi per proteggere i nuovi farmaci e per premiare lo sforzo di innovazione. Tuttavia, il numero di brevetti rilasciati ogni anno per proteggere prodotti farmaceutici veramente nuovi è molto basso e in diminuzione. Inoltre, delle migliaia di brevetti che sono concessi per prodotti farmaceutici ogni anno, pochi sono per nuovi farmaci, per esempio nuove entità molecolari.

 

Tutto ciò ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e il Centro Internazionale per il Commercio e lo Sviluppo Sostenibile (ICTSD), a sviluppare, nel 2007, le linee guida per l’esame dei brevetti farmaceutici dal punto di vista della salute pubblica. Queste line guida intendono contribuire a migliorare la trasparenza e l’efficacia del sistema dei brevetti per i prodotti farmaceutici, in modo che i paesi possano prestare maggiore attenzione all’esame dei brevetti e alle procedure di concessione, al fine di evitare gli effetti negativi sull’accesso ai farmaci.

 

I principali problemi possono essere identificati nell’uso attuale del sistema dei brevetti per proteggere l’innovazione farmaceutica: riduzione dell’innovazione, prezzi elevati dei farmaci, mancanza di trasparenza nei costi di ricerca e sviluppo, e proliferazione di brevetti. Uno studio effettuato dalla rivista Prescrire ha analizzato i farmaci che sono stati introdotti nel mercato francese tra il 2006 e il 2011, arrivando alla conclusione che il numero di molecole che hanno prodotto significativi progressi terapeutici si è ridotto drasticamente: 22 nel 2006, 15, 10, 7 e 4 negli anni successivi fino al 2011, l’ anno in cui Prescrire ha dichiarato che solo un farmaco di rilevante interesse terapeutico era stato immesso nel mercato. Dato che la Francia è uno dei più grandi mercati farmaceutici al mondo, questa riduzione di innovazione è un buon indicatore della situazione globale.

 

Oncologi provenienti da quindici paesi hanno recentemente denunciato i prezzi eccessivi dei trattamenti contro il cancro, necessari per salvare la vita dei pazienti, e hanno chiesto di assegnare la prevalenza alle implicazioni morali; secondo loro, dei 12 trattamenti del cancro approvati nel 2012 dalla FDA statunitense, 11 costano più di 100.000 dollari per paziente per anno.

 

Dagli anni ’50, ci sono stati dei riferimenti ai costi di ricerca e sviluppo per i prodotti farmaceutici. Secondo alcune fonti, il costo medio di ricerca e sviluppo per un singolo nuovo prodotto farmaceutico è aumentato da 1 milione di dollari nel 1950 ai 2,5 miliardi di dollari attuali.

 

Durante l’estate del 2014, un certo numero di paesi europei, tra cui Francia e Spagna, ha trascorso mesi a negoziare con la ditta Gilead sul prezzo di un nuovo farmaco per l’epatite C, conosciuto come Solvaldi. Il prezzo fissato dalla Gilead era di 56.000 euro per paziente per un trattamento di dodici settimane, o 666 euro a compressa. Secondo il quotidiano Le Monde, il prezzo di ogni compressa era 280 volte più del costo di produzione. In Francia, si calcola che 250.000 pazienti debbano ricevere il farmaco, il cui costo rappresenterebbe il 7% del bilancio annuale per la salute.

 

L’applicazione dei requisiti di brevettabilità per i medicinali, data la loro dimensione di salute pubblica, deve essere considerata con ancor più attenzione che nel caso di merci normali o di lusso. Il primo e più importante passo è quello di usare la libertà consentita dall’accordo TRIPS per definire i requisiti di brevettabilità: novità, attività inventiva e applicabilità industriale, in modo da tenere in considerazione l’interesse pubblico nella diffusione della conoscenza.

 

Germán Velásquez, Special Adviser for Health and Development, South Centre, Geneva.

http://www.ipsnews.net/2015/11/opinion-the-grant-of-patents-and-the-exorbitant-cost-of-lifesaving-drugs/

(traduzione di Adriano Cattaneo)

Si può ridurre l’eccesso diagnostico e terapeutico?

“La minaccia che la medicina attuale rappresenta per la salute della gente è analoga alla minaccia rappresentata dal volume e dall’intensità del traffico per la mobilità, alla minaccia rappresentata dall’istruzione e dai media per l’apprendimento, e alla minaccia rappresentata dall’urbanizzazione per la capacità di fare le case.” Ivan Illich, Nemesi medica, 1976

 

L’eccesso diagnostico e terapeutico (EDT), con i suoi costi sanitari, economici e sociali, è una realtà talmente documentata in così tanti paesi che non c’è bisogno di sostenerne l’esistenza con riferimenti bibliografici. Le domande cui è difficile rispondere sono però ancora molte. Quella che dà il titolo a questa relazione è la più importante e ne comporta un’altra: le iniziative attualmente in corso per ridurre l’EDT sono efficaci? Che io sappia, non esiste ancora letteratura sull’argomento. Bisogna perciò ricorrere a domande indirette: quali sono i determinanti dell’EDT? Su quali tra questi determinanti agiscono le iniziative in corso? È plausibile che agendo su quei determinanti si ottenga una riduzione dell’EDT? Ovviamente non so rispondere a tutte queste domande. Vorrei però proporre un percorso logico che in questa relazione è solamente abbozzato, probabilmente con errori, imprecisioni e dimenticanze, nella speranza che altri trovino questo approccio interessante e ci lavorino sopra meglio di me.

 

Nell’abbozzare il mio approccio mi sono ispirato al classico diagramma di Dahlgren e Whitehead, pubblicato nel suo formato originale nel 1991 (Figura 1).(1) Ho pensato di mettere al centro l’EDT e di inserire negli strati esterni i suoi possibili determinanti, raggruppandoli a seconda della distanza dal centro. I determinanti più prossimali sono quelli che agiscono nelle strutture sanitarie; un po’ più lontano vi sono quelli che si trovano nella comunità, seguiti dai determinanti del sistema sanitario e, più distalmente, da quelli del sistema sociale, economico, politico e culturale (Figura 2).

 

Prima di illustrare il mio diagramma, è necessaria una premessa. Si tratta in tutta evidenza di un Sistema Adattativo Complesso (SAC).(2) I SAC sono caratterizzati dalla co-presenza di una miriade di attori che è molto difficile, se non impossibile, controllare; o, per lo meno, se ne possono controllare alcuni, ma non tutti. Questi attori hanno interazioni multiple, non facili da descrivere, meno ancora da gestire o influenzare. Qualsiasi intervento esterno, o cambiamento spontaneo interno al SAC, provoca reazioni non lineari e spesso imprevedibili; anche i tempi di reazione sono molto incerti. Gli interventi, poi, oltre alle conseguenze attese (ammesso che abbiano luogo), possono avere molte conseguenze non volute. In conclusione, non è facile in un SAC, che a sua volta può essere parte di altri SAC ancora più complessi, lavorare per prove di efficacia come si è soliti fare in medicina e, un po’ meno, in salute pubblica. È inoltre improbabile che un singolo intervento sia del tutto efficace; più probabile è che anche un intervento efficace su un singolo determinante veda la sua efficacia ridotta dall’interazione di altri determinanti.

 

Nella Figura 2 (ripeto: da perfezionare) il cerchio dei determinanti più prossimali contiene le conoscenze e le competenze dell’operatore, le sue abitudini e quelle del paziente, compresa la domanda dello stesso in relazione all’offerta dell’operatore, il modo in cui la struttura è organizzata, e il fatto che vi siano o meno incentivi o disincentivi, economici o di altra natura, per determinate pratiche. Gli effetti della cosiddetta medicina difensiva sono pure inseriti in questo cerchio. Nella comunità, vari gruppi di pressione, compresa la famiglia, come pure le reti sociali, possono influire su quanto accade nella struttura sanitaria. Il cerchio del sistema sanitario contiene moltissimi determinanti: l’educazione continua, la disponibilità e l’uso di linee guida, le visite dei rappresentanti dell’industria, con i loro regali, i congressi, l’introduzione di nuove tecnologie, le modificazioni dei parametri diagnostici, l’opinione di esperti, il marketing di vario tipo, la disponibilità e la qualità di risultati della ricerca. I determinanti del cerchio più esterno sono ancora più numerosi e vanno dalla fede cieca nella crescita del prodotto interno lordo a tutte le politiche, più o meno certe, che influenzano in qualche modo i determinanti dei cerchi più interni.

Gli interventi che, per quello che ne so, si propongono di ridurre l’EDT possono essere raggruppati come segue:

  1. Iniziative rivolte agli operatori sanitari per invitarli a ridurre l’uso di procedure inappropriate:
  • Too Much Medicine, lanciata dal British Medical Journal, che consiste in una serie di articoli per informare il lettore di patologie per le quali si verificano eccessi di diagnosi e trattamento, sperando che sia il lettore a ridurli.(3) Organizza anche delle conferenze internazionali, con la collaborazione di centri accademici sparsi in vari paesi, allo stesso scopo.
  • Slow Medicine, una rete tutta italiana di operatori per una medicina sobria, rispettosa, giusta (parole d’ordine simili a quelle di Slow Food), che promuove cure appropriate e di buona qualità con le risorse disponibili, con adeguata comunicazione, con riduzione dei costi e degli sprechi, in sistemi sanitari equi e sostenibili, per migliorare la qualità della vita.(4)
  • Choosing Wisely, un programma nato negli USA e fatto proprio da Slow Medicine. Consiste nel chiedere a tutte le associazioni professionali di identificare una lista di 5 procedure diagnostiche e/o terapeutiche a rischio di inappropriatezza, chiedendo poi agli associati di ridurne la prescrizione. Su queste procedure si pubblicano delle schede sia per gli operatori sia per i pazienti.(5)
  1. Iniziative miranti a rendere trasparenti i rapporti tra operatori sanitari e industria della salute:
  • La più importante di queste iniziative è una legge già in vigore negli USA e voluta dal presidente Obama nell’ambito della sua riforma sanitaria: il Sunshine Act. I NoGrazie ne hanno già parlato.(6) Il Sunshine Act è in vigore dal 30 settembre 2013 ed è troppo presto per sapere se è efficace nel ridurre l’EDT.
  • Anche la campagna AllTrials lanciata in Gran Bretagna da Ben Goldacre rientra in questa categoria. Si propone di far pressione sull’industria della salute e sulla politica (parlamento e commissione europea, governi nazionali) affinché vi sia l’obbligo di rendere trasparentemente disponibili tutti i dati di tutte le ricerche.(7) Qualche risultato è già stato raggiunto, ma non si può dire se possa contribuire a ridurre l’EDT.
  • Un’iniziativa mirante a rendere trasparente la ricerca biomedica (Coordinamento per l’Integrità della Ricerca Biomedica) e il lavoro delle associazioni professionali era stata lanciata nel 2003 in Italia da Alessandro Liberati e collaboratori.(8) Non sembra aver avuto molto successo, visto che una recente ricerca ad opera di alcuni medici e studenti ha mostrato che di trasparenza, da parte delle società scientifiche, ve n’è poca.(9)
  1. Iniziative volte a ridurre i conflitti d’interesse degli operatori sanitari:
  • I NoGrazie sono nati nel 2004 sull’onda di movimenti simili creati in Australia, negli USA e in molti paesi europei. La proposta dei NoGrazie, come indicato dal nome, consiste nel rifiutare qualsiasi forma di finanziamento, diretto o indiretto, in denaro o in servizi, da parte dell’industria della salute per tutti gli operatori che vi aderiscono. NoGrazie propone cioè di evitare il conflitto d’interesse economico, non di gestirlo in qualche modo. A questo scopo diffonde informazioni, cercando di influenzare l’opinione pubblica e i comportamenti degli operatori, e sviluppa proposte, come ad esempio quella di un’ECM alternativa all’andazzo attuale, dominato dai conflitti d’interesse.
  • Iniziative volte a tagliare i legami economici tra operatori e industria della salute si ritrovano anche in altri paesi. Negli USA, per esempio, oltre 30 università proibiscono ai propri dipendenti del settore accademico di accettare regali di ogni tipo dai rappresentanti delle ditte farmaceutiche, anche regali di poco valore come tazze e penne. La formazione e l’informazione dei medici in queste università segue regole di drastica indipendenza.
  • Anche il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina (SISM) si è avviato su questa strada e organizza ogni anno degli eventi formativi per cercare di indurre nei futuri medici comportamenti in linea con quelli proposti dai NoGrazie.

 

È possibile che io abbia omesso altre iniziative che si muovono nella stessa direzione; se così è, chiedo venia. Quelle che ho presentato, comunque, sembrano agire su pochi e ben delimitati determinanti dell’EDT (Figura 3). Se è così, è evidente a) che difficilmente interventi isolati e che agiscono su pochi fattori riusciranno a produrre dei grandi effetti, data la complessità del sistema e la potenza dei determinanti che non sono oggetto di intervento, e b) che prima o poi bisognerà pensare ad interventi che agiscano sul cerchio più esterno dei determinanti, quelli sociali, economici, politici e culturali. Ricordando le parole di Ivan Illich che chiudono questa mia relazione.

 

“La guarigione dal morbo iatrogeno che pervade la società è un compito politico, non professionale.” Ivan Illich, Nemesi medica, 1976

 

Adriano Cattaneo, relazione presentata al Convegno sull’Appropriatezza prescrittiva, organizzato dalla Società Medico Chirurgica Vicentina e tenutosi a Vicenza il 24 ottobre 2015.

 

1. Dahlgren G, Whitehead M. Policies and strategies to promote social equity in health. Arbetsrapport/Institutet för Framtidsstudier; 2007:14

2. https://en.wikipedia.org/wiki/Complex_adaptive_system

3. http://www.bmj.com/too-much-medicine

4. http://www.slowmedicine.it/

5. http://www.choosingwisely.org/

6. http://www.nograzie.eu/sunshine-act-in-azione/

7. www.alltrials.net

8. http://docslide.it/documents/coordinamento-per-la-integrita-della-ricerca-biomedica-alessandro-liberati-roma-3-novembre-2003.html

9. Fabbri A et al. Società medico scientifiche e industria farmaceutica: analisi dei siti internet sul tema del conflitto di interesse (in attesa di pubblicazione)

COMUNICATO STAMPA: PROCESSO D’APPELLO EX CLINICA SANTA RITA

imagesLa Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Milano ha confermato la pena dell’ergastolo, comminata in primo grado, per il chirurgo della ex Clinica Santa Rita di Milano Pier Paolo Brega Massone, ha ridotto la pena per l’altro chirurgo Fabio Presicci (da 30 a 25 anni) e ha assolto l’anestesista Marco Pansera, come da richiesta del Procuratore Generale. Gli altri imputi “minori” hanno avuto pene ridotte o prescritte.

La  considerazione di Medicina Democratica è in primo luogo che la pena dell’ergastolo deve essere eliminata. Si sottolinea   che per i molti processi dove MD è stata o è   parte civile a riguardo della salute e sicurezza sul lavoro o per inquinamento ambientale nonostante la gravità (ad esempio decine, per non dire centinaia di morti per esposizione all’amianto o infortuni mortali sul lavoro), dove non sono state osservate le norme a tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente, non si è ancora arrivati a condannare per omicidio o disastro doloso e, in non poche occasioni, è intervenuta la prescrizione.

In ambedue i casi il sistema politico e di potere si guarda bene dal farlo: il profitto va in ogni caso salvaguardato.

Non meno nel caso della ex Clinica di cui si parla il sistema politico e sanitario non interviene a modifica delle modalità di finanziamento delle strutture (quello dei DRG – finanziamento a prestazione), nonostante siano state indicate altre modalità in funzione del miglioramento della salute dei pazienti.

Detto questo Medicina Democratica, parte civile in questo processo, difesa dall’avv. Margherita Pisapia, considera accettabile la sentenza; in particolare nota come Marco Pansera ad eccezione degli altri due imputati, nella dichiarazione spontanea ha fatto riferimento ad un minimo di autocritica per il proprio operato.

Fulvio Aurora

Medicina Democratica – Milano

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.237 DEL 22/12/15

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.237 DEL 22/12/15

 

INDICE

  • I pareri della Commissione degli Interpelli – n.4
  • Registro nazionale dei mesoteliomi: V Rapporto
  • RLS nelle aziende con più strutture operative
  • Sorveglianza sanitaria e idoneità alla mansione
  • Sulla figura del datore di lavoro “formale” e di fatto
  • Ambienti confinati: ruoli e responsabilità
  • L’obbligo del fermo assoluto nella manutenzione delle macchine

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI – N.4

 

L’articolo 12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici, Organizzazioni sindacali dei datori di Lavoro e dei lavoratori, Consigli nazionali degli ordini.

La Commissione degli Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.

Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 [quelli posti alla Commissione] costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.

Riporto pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.

Marco Spezia

 

 

SERVIZI IGIENICO ASSISTENZIALI

Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio 2013

 

RICHIEDENTE

Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro

 

QUESITO

L’interpello è relativo alla richiesta di conoscere il parere della Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 63, comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni e, in particolare, dei punti 1.13.1.1 e 1.13.3.1 dell’Allegato IV.

Il punto 1.13.1.1 dell’Allegato IV prevede che “nei luoghi di Lavoro o nelle loro immediate vicinanze deve essere messa a disposizione dei lavoratori acqua in quantità sufficiente, tanto per uso potabile quanto per lavarsi”; mentre il punto 1.13.3.1 dell’Allegato IV recita “i lavoratori devono disporre, in prossimità dei loro posti di Lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce, di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi”.

 

CHIARIMENTO

Nei casi in cui un luogo di Lavoro è posto all’interno di un ambiente ben definito e circoscritto, considerando che la norma impone al Datore di Lavoro di mettere a disposizione del lavoratore i servizi igienico-assistenziali nel luogo di Lavoro o nelle sue immediate vicinanze, si ritiene che il Datore di Lavoro assolva al suo obbligo purché questi servizi, anche se non in uso esclusivo, siano fruibili dai lavoratori liberamente, facilmente e senza aggravio di costo per loro e nel rispetto delle norme igieniche.

 

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:

http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.04.pdf

 

 

VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO

Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio 2013

 

RICHIEDENTE

FIM CISL – Federazione Italiana Metalmeccanici

 

QUESITO

La FIM ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione se anche nel caso della valutazione del rischio stress lavoro-correlato, il Datore di Lavoro non possa delegare quest’attività a terzi, cosi come previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.

 

CHIARIMENTO

Al riguardo va premesso che l’articolo 28, comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni, prevede che la valutazione dei rischi debba riguardare tutti i rischi da lavoro, “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato”.

Il successivo comma 1-bis dell’articolo in commento dispone, di seguito, che la relativa valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni fornite dalla Commissione Consultiva di cui all’articolo 6 del D.Lgs.81/08, approvate da tale organismo in data 17 novembre 2010.

II legislatore ha poi fissato il principio di generale di delegabilità con l’articolo 16, comma 1 del D.Lgs.81/08, il quale può incontrare eccezioni solo nei casi in cui la delega sia “espressamente esclusa”. Le deroghe tassativamente previste segnano, pertanto, i limiti giuridici di trasferibilità delle funzioni in materia prevenzionistica, e cosi, individuano gli obblighi del Datore di Lavoro aventi natura strettamente personale.

La valutazione dello stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione del rischio e, pertanto, a essa si applica integralmente la pertinente disciplina (articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/08). In particolare, l’articolo 17 del D.Lgs.81/08 individua la valutazione dei rischi tra gli adempimenti non delegabili da parte del Datore di Lavoro, anche qualora il Datore di Lavoro decida di avvalersi di soggetti in possesso di specifiche competenze in materia.

 

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:

http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.05.pdf

 

 

APPLICAZIONE DEL D.LGS. 81/2008 A “STUNTMEN” E “ADDETTO AGLI EFFETTI SPECIALI”

Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio 2013

 

RICHIEDENTE

APT – Associazione Produttori Televisivi

 

QUESITO

La APT ha chiesto alla Commissione di pronunciarsi sulla normativa di salute e sicurezza applicabile alle attività degli stuntmen (intendendosi per stuntman un “acrobata particolarmente esperto nel fingere cadute, tuffi, salti e scene pericolose”) e degli addetti agli effetti speciali (intendendosi per addetto agli effetti speciali “un esperto di particolari tecniche di lavorazione net settore cinematografico, impegnato in attività specifiche come l’uso di macchine e degli artifizi per la produzione di effetti speciali, l’uso di materiali e sostanze per la realizzazione degli effetti speciali, la realizzazione di scene simulanti crolli o rotture, l’impiego di sostanze infiammabili o esplosive, l’utilizzo di armi da fuoco e da taglio, la produzione di fiamme libere”).

Tali attività, sempre secondo la richiedente, si concretizzano in scene pericolose, realizzate secondo esigenze di scena da una troupe (come tale intendendosi l’insieme delle persone impiegate dalla società di produzione per lo svolgimento delle relative attività), a sua volta divisa in diversi reparti operativi, composti da gruppi di persone con compiti specifici (macchinisti, elettricisti, attrezzisti, produzione, ecc.), ciascuno con un proprio capo reparto.

In relazione alle attività appena descritte, la APT distingue due diverse modalità di organizzazione del lavoro, la prima in cui l’attività sia realizzata da personale della società di produzione e la seconda in cui l’attività sia affidata in appalto dalla società di produzione a terzi.

In relazione alla prima ipotesi (attività svolte da personale della società di produzione), la richiedente chiede quanto segue.

  • In ragione della particolarità delle attività di riferimento, il Datore di Lavoro della società di produzione possa “legittimamente richiedere la collaborazione dei responsabili dei suddetti reparti nella valutazione dei rischi della scena pericolosa”?
  • Il capo reparto, nel caso di cui al punto 1, deve possedere una particolare formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro?
  • In assenza di specifica formazione dei responsabili degli stuntman e/o degli effetti speciali, può il RSPP collaborare con il Datore di Lavoro e i suddetti responsabili dei reparti esclusivamente nella formalizzazione della relazione fornendo semplicemente le procedure corrette per effettuare una adeguata individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione e protezione?
  • Qualora alla scena pericolosa partecipino esclusivamente addetti al reparto stuntmen e/o del reparto effetti speciali è possibile utilizzare la relazione da loro redatta quale valutazione esclusiva e specifica dell’attività svolta da questi lavoratori da inserire nel DVR della società di produzione?

In ordine all’affidamento delle attività in parola da parte della società di produzione a società specializzate, la APT chiede, invece, quanto segue.

  • I rischi generati dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali devono essere considerati “rischi specifici propri dell’attività”, ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.Lgs.81/08, senza necessità di redazione del DUVRI?
  • Al fine della valutazione dell’idoneità tecnico professionale delle imprese specializzate è sufficiente che il Datore di Lavoro della società di produzione chieda i curricula con dettaglio delle esperienze specifiche nel campo del personale impegnato nell’attività appaltata?
  • Nel caso in cui una società committente affidi in appalto un’attività che comporta solo rischi specifici propri per la sua realizzazione, in cosa consiste l’attività di coordinamento che il Datore di Lavoro della committente deve realizzare?
  • Nel caso in cui una società committente affidi in appalto due o più servizi a società o lavoratori autonomi che prevedano solo rischi specifici propri per le rispettive attività, e che nessuna di queste preveda il coinvolgimento del personale della società committente, come deve gestire il coordinamento il Datore di Lavoro della società committente? Gli eventuali rischi interferenziali presenti esclusivamente tra i fornitori, devono essere trattati in qualche modo dal Datore di Lavoro committente?

 

CHIARIMENTO

In merito alla prima ipotesi prospettata, va evidenziato come l’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08 imponga al Datore di Lavoro l’obbligo (indelegabile) di valutare “tutti i rischi” sul lavoro, “con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28”. Il contenuto della valutazione dei rischi viene, quindi, puntualmente individuato dall’articolo 28, nella sua interezza, e le modalità della valutazione dei rischi sono descritte (si pensi, ad esempio, alla necessità di rielaborare la valutazione dei rischi “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza sul lavoro”, di cui al comma 3 dell’articolo 29 del D.Lgs.81/08) al successivo articolo 29.

Rispetto invece alla seconda ipotesi, va evidenziato che le disposizioni di specifico riferimento sono quelle di cui all’articolo 26 del D.Lgs.81/08. Tale articolo individua precisi obblighi in capo al Datore di Lavoro committente nell’eventualità che questi decida di affidare lavori nell’ambito del proprio ciclo produttivo a imprese appaltatrici o lavoratori autonomi. Le norme di riferimento sono dirette a tutelare da un lato i lavoratori autonomi o quelli dell’appaltatore che vengano a operare in ambienti per loro e per lo stesso Datore di Lavoro sconosciuti e, dall’altro, i lavoratori dei committenti che si trovino davanti a inusuali situazioni di rischio determinate dall’appalto o dalla prestazione d’opera.

In via di sintesi, ai sensi dell’articolo 26, commi 1 e 2 del D.Lgs.81/08, in capo al Datore di Lavoro committente gravano al momento i seguenti obblighi:

  • verificare, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera;
  • fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
  • promuovere, in particolare:
  • la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
  • il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.

Il comma 3 della norma in esame impone, quindi, al Datore di Lavoro, l’obbligo di promuovere la cooperazione e il coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi (di seguito, DUVRI), il quale va allegato al contralto d’appalto o d’opera, che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

Tale documento, per espressa previsione legislativa, non trova applicazione con riferimento ai “rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”; ciò in quanto evidentemente il Legislatore, in relazione a tali rischi, da considerare “tipici” della attività dell’impresa o dei lavoratori autonomi, non ne ritiene (ferma restando l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo in commento) necessaria la puntuale identificazione in un documento.

Al riguardo (si veda anche la Determinazione n.3 del 5 marzo 2008 dell’Autorità per la vigilanza sui contralti pubblici, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo 2008) va evidenziato che è possibile parlare d’interferenza ove si verifica un “contatto rischioso” tra il personale del Datore di Lavoro committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. In linea di principio, in altre parole, occorre mettere in relazione i rischi presenti nei luoghi in cui verrà espletato il lavoro, servizio o fornitura con i rischi derivanti dall’esecuzione del contratto, con la conseguenza che il DUVRI dovrà essere redatto solo nei casi in cui esistano interferenze.

Inoltre, resta inteso che nel documento in parola non devono essere riportati i rischi propri dell’attività delle singole imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di rischi per i quali resta immutato l’obbligo dell’appaltatore di redigere un apposito documento di valutazione del rischio e di provvedere all’attuazione delle misure necessarie per ridurre o eliminare al minimo tali rischi.

In via preliminare, la Commissione ritiene opportuno ricordare come la stessa sia tenuta unicamente a rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro” (in questo, inequivoco, senso, l’articolo 12 del D.Lgs.81/08) non potendo pronunciarsi “in astratto” sulla correttezza delle modalità in base alle quali le aziende attuino le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, oggetto, casomai, di specifico accertamento in sede ispettiva. Per tale ragione, non si ritiene possibile esprimere l’indirizzo della Commissione rispetto a una serie di richieste di APT dirette a ottenere indicazioni sulla coerenza di determinate soluzioni organizzative alle norme di legge, impossibili da fornire senza una verifica in concreto di quanto descritto. La Commissione ritiene, invece, di pronunciarsi come segue in ordine alla interpretazione delle norme di legge applicabili nei casi descritti dalla richiedente.

In ordine allo svolgimento di attività da parte di qualunque soggetto che si possa definire come “lavoratore” (nel senso individuato dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) dell’azienda di produzione cineaudiovisiva trovano integrale applicazione le disposizioni in materia di valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/08, le quali attribuiscono al Datore di Lavoro la titolarità giuridica (con la conseguente responsabilità) delle relative funzioni.

Sara quindi il Datore di Lavoro dell’azienda di produzione a dovere individuare le modalità migliori di adempimento degli obblighi in questione, avuto riguardo alle modalità di svolgimento delle attività di riferimento. Ove tali attività comprendano una serie di azioni di contenuto particolare, quali quelle richieste agli stuntmen o agli addetti agli effetti speciali, è opinione della Commissione che il coinvolgimento dei capi reparto (ove, come appare probabile, essi svolgano in concreto le funzioni di preposto) nella valutazione dei rischi sia opportuna. Quanto alla formazione del personale coinvolto nelle relative attività, essa dovrà essere coerente con il vigente quadro normativo (si fa riferimento, in particolare, agli accordi in Conferenza Stato-Regioni relativi alla formazione di lavoratori, dirigenti e preposti del 21 dicembre 2011 e del 25 luglio 2012), avuto riguardo alle funzioni svolte nell’ambito dell’organizzazione aziendale, anche in applicazione del principio di cui all’articolo 299 del D.Lgs.81/08 (rubricato “Esercizio di fatto di poteri direttivi”). Ne deriva, ad esempio, che se (come pare plausibile e, anzi, probabile) il capo reparto, nelle attività qui in questione, svolga in concreto le funzioni di preposto, egli dovrà essere formato come tale.

Infine, in relazione alle richieste avanzate ai punti 3 e 4 (relativamente alle attività in house delle aziende di produzione cineaudiovisiva) si rimarca come il DVR sia documento che deve avere le caratteristiche di cui agli articoli 28 e 29 e come l’unico soggetto responsabile di tale coerenza sia il Datore di Lavoro, il quale è libero di operare le proprie scelte secondo le peculiarità della propria azienda e, correlativamente, risponde della coerenza di esse alla legge.

Venendo, quindi, a trattare delle questioni sollevate (punti da 1 a 4) in riferimento all’ipotesi in cui la società cineaudiovisiva di produzione decida di affidare a terzi le attività tipiche degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali, si evidenzia innanzitutto come, tenendo conto delle particolari modalità (quali descritte nell’interpello al quale si fornisce riscontro) dello svolgimento delle attività degli stuntmen e/o degli addetti agli effetti speciali e ferma restando ogni riserva in ordine alla verifica delle concrete modalità con le quali vengono rese le prestazioni in oggetto, si ritiene che i rischi delle attività svolte in autonomia nei cicli produttivi delle società di produzione dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali possano essere considerati come rischi specifici della attività delle appaltatrici o dei lavoratori autonomi, purché non vi siano interferenze con strutture o processi del committente o di altre imprese.

Resta inteso che sarà cura del Datore di Lavoro committente far si che gli obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 26 del D.Lgs.81/08, sopra richiamati, vengano correttamente e completamente ottemperati, in particolare mediante il rigoroso accertamento della idoneità tecnico-professionale degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali allo svolgimento della attività commissionate e una efficace attività di scambio di informazioni, di cooperazione e coordinamento, la cui concreta realizzazione a soggetta al controllo del competente organo di vigilanza, tra Datore di Lavoro committente e appaltatrice (o lavoratori autonomi).

Di conseguenza, quanto al quesito di cui al punto 3 dell’interpello, si ritiene di sottolineare che, in coerenza con quanto appena esposto e con quanto argomentato dalla giurisprudenza assolutamente maggioritaria (si veda, per tutte, la Sentenza n. 28197 del 9 luglio 2009 della Cassazione Penale Sezione IV), il Datore di Lavoro committente non possa intervenire in supplenza dell’appaltatore o dei lavoratori autonomi rispetto alle attività che sono proprie (con relativa assunzione di rischio) dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi in quanto ciò si risolverebbe in una inammissibile ingerenza nell’attività affidata a terzi (incompatibile, in particolare, con la figura dell’appalto, regolata dall’articolo 1655 del Codice Civile). L’obbligo di cooperazione è, quindi, da intendersi come riferibile all’attuazione delle misure di prevenzione dirette a eliminare (o ridurre al minimo, se l’eliminazione e impossibile) i pericoli che, per effetto dell’esecuzione delle opere appaltate, vanno a incidere sia sui dipendenti dell’appaltante sia su quelli dell’appaltatore in ordine alle attività tipiche dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, salvo che tali attività non vengano svolte con modalità di aperta pericolosità, tali da mettere in evidente pericolo tutti coloro che si trovano nei luoghi di lavoro.

In relazione al quesito di cui al punto 2 dell’interpello (ferma restando la necessità che il Datore di Lavoro committente acquisisca l’iscrizione alla Camera di Commercio, industria e artigianato e I’autocertificazione di cui all’articolo 26, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) si richiama la necessità che la verifica in parola (la quale potrà essere riferita, in assenza di altri parametri, ai curricula, cosi come alle altre certificazioni, quali, ad esempio, quelle relative alla attività di formazione svolta, rilevanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro) venga effettuata con particolare rigore, in modo da permettere al Datore di Lavoro committente di valutare la capacità tecnico-professionale del personale di riferimento della appaltatrice o dei lavoratori autonomi.

Non si ritiene, infine, per le ragioni sopra indicate, di rispondere al quesito, sempre relativo alle attività affidate dalle società di produzione a terzi, di cui al punto 4.

 

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:

http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/03/is-2013.06.pdf

 

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REGISTRO NAZIONALE DEI MESOTELIOMI: V RAPPORTO

 

Da Portale Consulenti

http://www.portaleconsulenti.it

9 dicembre 2015

 

Le misure epidemiologiche di incidenza, latenza, età media alla diagnosi, sopravvivenza per oltre 21.000 casi.

 

La sorveglianza epidemiologica degli effetti sulla salute dell’esposizione a fibre aerodisperse di amianto è un tema di grande rilevanza per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Malgrado infatti il bando del 1992, che ha determinato la cessazione di ogni attività di estrazione, lavorazione, utilizzo e commercio di amianto, la lunga latenza delle malattie amianto correlate, la storia industriale del nostro Paese e le caratteristiche eziologiche delle patologie coinvolte, rendono necessarie ancora oggi in Italia le attività di monitoraggio dei rischi e degli effetti.

 

Il Registro Nazionale dei Mesoteliomi in questo quadro rappresenta un modello di interazione costruttiva e feconda fra INAIL e Regioni e si caratterizza, oggi come nel passato, per la solidità dei risultati scientifici e di ricerca al servizio della sanità pubblica e di tutti gli operatori del settore.

 

Le conoscenze rese disponibili dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi, in ordine alle caratteristiche epidemiologiche della malattia e ai settori di attività economica coinvolti nell’esposizione, sono preziose per i compiti istituzionali che l’Istituto è chiamato a svolgere nel quadro del sistema di tutele del nostro Paese.

In particolare su questo tema infatti la sinergia fra le acquisizioni della ricerca scientifica e le attività di riconoscimento ai fini assicurativi è essenziale e strategica per l’efficienza del sistema sanitario e della prevenzione dei rischi nei luoghi di vita e di lavoro.

 

L’Italia è attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto correlate. Tale condizione è la conseguenza di utilizzi dell’amianto che sono quantificabili a partire dal dato di 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo prodotto nazionalmente nel periodo dal 1945 al 1992 e 1.900.885 tonnellate di amianto grezzo importato nella stessa finestra temporale.

 

La relazione di associazione causale estremamente significativa fra esposizione ad amianto e mesotelioma e la pressoché completa assenza di fattori confondenti e di altri agenti eziologici causali per la malattia, hanno consigliato e consentito lo sviluppo di un sistema di sorveglianza epidemiologica per i mesoteliomi basato sulla ricerca attiva dei casi e la ricostruzione anamnestica individuale tramite questionario delle circostanze di esposizione ad amianto (siano esse avvenute in ambito professionale come in ambito residenziale o familiare).

 

Il sistema di sorveglianza epidemiologica dei casi di mesotelioma è costituito dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) istituito presso l’INAIL, Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale (DiMEILA), i cui compiti e le cui modalità e procedure operative sono definite dal D.P.C.M. 308/02.

 

La pubblicazione realizzata da INAIL DiMEILA “Registro Nazionale dei Mesoteliomi: V Rapporto” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.data-storage.it/download/2015/ucm_207055.pdf

 

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RLS NELLE AZIENDE CON PIU’ STRUTTURE OPERATIVE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

01 dicembre 2015

 

E’ opportuna la presenza di un RLS in ciascuna struttura operativa periferica di una grande azienda operante sul territorio nazionale?

 

Pubblichiamo un articolo tratto da “Articolo 19” n.04/2015, bollettino di informazione e comunicazione per la rete di RLS delle aziende della Provincia di Bologna realizzato dal SIRS (Servizio Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza) con la collaborazione di vari soggetti istituzionali provinciali (Provincia di Bologna, ASL, INAIL, DPL, organizzazioni sindacali, ecc.).

Sono stati recentemente posti al SIRS alcuni quesiti sul particolare problema della nomina dei RLS e delle loro relazioni con l’azienda in situazioni complesse, con diverse dislocazioni dei lavoratori dell’azienda.

 

Sostanzialmente le fattispecie sono tre:

  • holding, comprendenti diverse aziende tra loro variamente articolate e interconnesse;
  • aziende operanti sul territorio nazionale che hanno diverse articolazioni operative (filiali, succursali, reparti, settori, ecc.) in aree diverse, anche molto lontane tra loro e dalla casa madre;
  • aziende che assumono lavori in appalto e inviano quindi il loro personale a operare in località lontane dalla “casa madre”, in cantieri di vario tipo, dall’edilizia alla manutenzione, dalla pulizia alla sanificazione, costituendo gruppi anche grossi di lavoratori che operano anche all’interno di aziende terze.

Il problema che si pone in questi casi è quello di stabilire se i RLS sono quelli della sede centrale della holding o dell’azienda, oppure se individuare in ogni realtà periferica uno o più RLS.

La normativa non ci aiuta a sciogliere il nodo, perché da un lato non affronta in nessun modo il problema, dall’altro rimanda (comma 5 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08) alla contrattazione collettiva: “Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.

Questo almeno fa chiarezza, a nostro avviso, su un elemento: non rientrano i casi in cui le strutture periferiche (chiamiamole così) abbiano dignità di unità produttive (per la cui definizione si veda l’articolo 2, comma 1, lettera t del D.Lgs.81/08 per cui unità produttiva è stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale).

 

L’altro riferimento normativo importante è il comma 1 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08, secondo cui “In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

 

Quindi, acclarato che per le aziende e per le unità produttive il RLS deve essere eletto o designato (vedi comma 2 sopra citato), resta il problema dei casi in cui le articolazioni periferiche non sono né aziende né unità produttive. In questi casi è la contrattazione collettiva che stabilisce le modalità cui attenersi: ovviamente, se in sede di contrattazione non si raggiunge un accordo tra le parti, il problema resta irrisolto (ed ecco da dove nascono i quesiti che pervengono al SIRS: da casi di non accordo sulle modalità).

A nostro avviso, questo è un tipico problema da Interpello (vedasi indicazioni all’articolo 12 del D.Lgs.81/08), e quindi non possiamo permetterci di fornire una nostra interpretazione, che sarebbe del tutto soggettiva e individuale, e quindi non utilizzabile dai RLS.

L’unica cosa che possiamo fare è evidenziare gli elementi che a nostro avviso dovrebbero indurre a privilegiare la scelta di RLS presenti in tutte le articolazioni periferiche di un’azienda che abbiano almeno una certa consistenza numerica, organizzativa e di mandato:

  • solo un RLS che conosca direttamente la realtà di una situazione lavorativa può portare contributi utili al miglioramento delle condizioni di rischio e al controllo di eventuali criticità, ovvero può essere un interlocutore valido ed affidabile per la dirigenza aziendale ed una reale risorsa per i suoi compagni di lavoro;
  • al contrario, un RLS che si trovi nella sede centrale aziendale non può avere il polso concretamente delle situazioni periferiche (che possono anche essere diverse) e quindi, se volesse svolgere il suo ruolo con l’efficacia che la legge prevede dovrebbe, ad esempio, avere la possibilità di recarsi spesso o almeno al bisogno nelle realtà periferiche stesse, quanto meno in due momenti topici: per esprimere il suo parere sulla valutazione dei rischi (sentendo anche i suoi compagni di lavoro della struttura periferica) e in occasione della preparazione e svolgimento della riunione annuale di prevenzione;
  • un RLS che si trovi solo nella sede centrale aziendale, per poter essere efficace, deve comunque disporre di una rete, anche se informale, di referenti nelle strutture periferiche, referenti che comunque non sono RLS e non hanno né gli strumenti né la formazione per poter fare le funzioni dell’RLS, e quindi questa situazione kafkiana potrebbe generare facilmente disservizi e conflitti;
  • l’individuazione di RLS solo a livello della sede centrale aziendale porta di fatto o a uno svuotamento totale del ruolo dell’RLS stesso o, in alternativa, se invece tale ruolo si vuole conservare e promuovere, a una serie di problemi gestionali e organizzativi di non poco conto, ad esempio numerose trasferte, necessità di una rete di collegamenti in tempo reale, individuazione comunque di figure di riferimento di cui definire compiti, funzioni, agibilità, ecc.

L’elenco potrebbe continuare, ma questi ci sembrano i quattro punti più importanti utili a sostenere l’opportunità che il RLS sia presente in tutte le strutture operative periferiche di una grande azienda con strutture operative diverse sul territorio nazionale.

 

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SORVEGLIANZA SANITARIA E IDONEITA’ ALLA MANSIONE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

09 dicembre 2015

 

L’attività di sorveglianza sanitaria svolta dal medico competente e l’espressione del giudizio di idoneità alla mansione specifica.

 

Pubblichiamo un estratto del documento INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Medici competenti” che affronta lo svolgimento dell’attività di Medico competente e gli obblighi.

La Sorveglianza Sanitaria (articolo 41 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni) è definita (articolo 2) come l’insieme di atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

Lo svolgimento della Sorveglianza Sanitaria da parte del Medico competente sui lavoratori esposti ai rischi occupazionali, consiste, pertanto, nell’esecuzione di visite mediche, accertamenti di laboratorio chimico-clinici, strumentali, tossicologici e visite specialistiche per l’esplorazione degli organi specificamente esposti a un determinato fattore di rischio. Questi accertamenti sanitari consentono al Medico competente di verificare lo stato di salute del lavoratore e conseguentemente gli permettono di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

 

Nell’ambito della Sorveglianza Sanitaria vengono ricomprese differenti tipologie di visite mediche svolte dal Medico competente:

  • visita medica preventiva, intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare l’idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica (la periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno; tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal Medico competente in funzione della Valutazione dei Rischi. L’Organo di Vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della Sorveglianza Sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal Medico competente;
  • visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal Medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
  • visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • visita medica preventiva in fase preassuntiva;
  • visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Al termine delle visite mediche di Sorveglianza Sanitaria, sulla base delle risultanze degli accertamenti sanitari eseguiti e in considerazione dello stato di salute del lavoratore, il Medico competente esprime il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Tale giudizio può essere di:

  • idoneità;
  • idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
  • inidoneità temporanea (vanno precisati i limiti temporali di validità);
  • inidoneità permanente.

Il giudizio di idoneità deve essere espresso dal Medico competente per iscritto fornendo copia dello stesso al lavoratore ed al Datore di Lavoro.

Su tale giudizio, che deve contenere la firma del lavoratore per avvenuta consegna, deve essere specificata la mansione svolta dal lavoratore e i relativi fattori di rischio ai quali egli è esposto, deve essere specificata la data della successiva visita medica e deve essere riportata la data di emissione.

 

Avverso i giudizi del Medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’Organo di Vigilanza territorialmente competente, che dispone (dopo eventuali ulteriori accertamenti) la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

 

Il documento INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Medici competenti” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_205275.pdf

 

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SULLA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO “FORMALE” E DI FATTO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

09 dicembre 2015

di Gerardo Porreca

 

Il datore di lavoro titolare degli obblighi prevenzionistici va individuato sia in colui che risulta esserlo secondo il contratto di lavoro, sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale.

 

Si esprime la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla figura del datore di lavoro di fatto e su quello che risulta essere tale formalmente dalla documentazione di contratto. La stessa nell’individuare la responsabilità per un infortunio occorso ad un lavoratore caduto da una scala durante lo svolgimento di alcuni lavori agricoli, ha infatti sostenuto che l’individuazione di un datore di lavoro “formale”, risultato tale dalla documentazione di contratto non si pone comunque in contrapposizione con la eventuale esistenza anche di un datore di lavoro di fatto sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di quanto emerge da documenti non può valere a escludere che tale ruolo fosse stato in concreto assunto anche da altri.

 

La Corte di Appello ha riformato la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale un datore di lavoro era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di un lavoratore e condannato alla pena ritenuta equa. Secondo il giudice di primo grado dalle dichiarazioni della persona offesa era emerso che l’infortunato era stato assunto “in nero” dall’imputato e avviato ai lavori di raccolta degli agrumi e che questi nello svolgimento di tali compiti è caduto da una scala riportando lesioni personali da ricondurre all’imputato quale datore di lavoro di fatto.

La Corte Territoriale, da parte sua, ha mandato assolto l’imputato sostenendo che l’accertamento processuale non aveva consentito di ritenere che l’imputato fosse stato datore di lavoro dell’infortunato e quindi titolare degli obblighi prevenzionistici la cui violazione aveva determinato l’infortunio allo stesso occorso. Tanto in ragione della ritenuta inattendibilità della dichiarazione dell’infortunato e della circostanza che la proprietaria del terreno ove si svolgeva la raccolta degli agrumi aveva effettuato una comunicazione di assunzione di quel lavoratore, anche se tardiva tanto da essere sanzionata dall’Ispettorato del lavoro, e che l’INAIL aveva riconosciuto che l’infortunio fosse occorso mentre svolgeva attività lavorativa alle dipendenze della proprietaria del terreno.

Avverso tale decisione ha ricorso per cassazione il lavoratore infortunato, costituitosi parte civile a mezzo del difensore di fiducia, sostenendo che la denuncia infortuni si riferisse ad altro lavoratore e non a lui, lamentandosi inoltre che la Corte di Appello non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni. L’imputato da parte sua, con propria memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso avanzato dall’infortunato non ritenendo sussistente i vizi motivazionali dallo stesso indicati nel suo ricorso e sostenendo che l’obbligo prevenzionistico la cui violazione ebbe a determinare l’infortunio era da attribuire alla proprietaria del terreno.

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha perciò annullata la sentenza impugnata. Secondo la suprema Corte il giudice di primo grado aveva affermato che l’imputato era stato il datore di lavoro di fatto dell’infortunato a ciò pervenendo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che aveva riferito di essere stato ingaggiato telefonicamente dallo stesso e di aver ricevuto da questi il salario. A fronte di ciò la Corte di Appello ha valorizzato dati meramente formali, quali il fatto che la documentazione, tutta formata dopo l’incidente, era stata sottoscritta dalla proprietaria del terreno e indicava in essa la datrice di lavoro. La Corte di Appello, secondo la Sezione IV della Cassazione, ha quindi svolta una argomentazione manifestamente illogica, avendo contrapposto a un accertamento di una situazione di fatto un’analisi della situazione “apparente”.

“Orbene, è noto che in materia prevenzionistica”, ha così concluso la suprema Corte, “il datore di lavoro, titolare degli obblighi prevenzionistici, va individuato sia in colui che risulta parte in senso formale del contratto di lavoro, sia nel soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale” per cui “ne consegue che l’individuazione di un datore di lavoro formale non si pone in contrapposizione con l’eventualità dell’esistenza anche di un datore di lavoro di fatto; sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di quanto emerge da documenti non può valere ad escludere che tale ruolo fosse stato in concreto assunto anche dal datore di lavoro di fatto”.

Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata di proscioglimento dell’imputato con rinvio, ai sensi dell’articolo 622 del Codice di Procedura Penale, al giudice civile competente per valore in grado di appello.

 

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AMBIENTI CONFINATI: RUOLI E RESPONSABILITA’

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

14 dicembre 2015

 

Indicazioni su quali siano i ruoli e i compiti nei modelli nordamericani in relazione tutela della sicurezza nei lavori negli ambienti confinati. Focus su entrant, attendant, entry supervisor e rescue team member.

 

Esaminiamo il documento “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed igiene del lavoro per i lavori in ambienti confinati”, che raccoglie le indicazioni operative elaborate dal gruppo di lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal Comitato Regionale di Coordinamento ex articolo 7 del D.Lgs.81/08 della Regione Emilia Romagna, con la collaborazione, nella fase di seconda revisione, dell’ingegner Adriano Paolo Bacchetta.

 

Nell’allegato viene fornito uno stralcio del modello organizzativo e di responsabilità ripreso da modelli nordamericani, che chiaramente non fa riferimento ai vincoli e ai ruoli definiti della nostra normativa. Ruoli che sono stati più volte individuati nei nostri articoli sugli spazi confinati, ad esempio in relazione al referente del committente o all’attività di vigilanza del preposto o, comunque, all’attività del soggetto che, posto all’esterno del punto di accesso allo spazio confinato, vigila sull’operato di lavoratori all’interno.

Nel modello nordamericano, come presentato nella guida, i soggetti per cui devono essere definiti ruoli e responsabilità (oltre al Rappresentante del’azienda Committente), sono invece identificabili in funzione di quattro ruoli:

  • Entrant (operatore che entra nello spazio confinato);
  • Attendant (operatore che assiste dall’esterno l’operatore entrato);
  • Entry supervisor (Responsabile);
  • Rescue Team member (addetto al salvataggio).

A ognuno di questi soggetti sono affidati specifici compiti e responsabilità.

Vediamo nel dettaglio i compiti e responsabilità assegnati dal modello americano.

L’Entrant (il lavoratore che deve accedere allo spazio confinato):

  • effettua le operazioni prefissate seguendo le procedure aziendali;
  • si attiene alle istruzioni ricevute e non effettua manovre/operazioni che possano mettere in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
  • verifica, prima di indossarli, lo stato di conservazione e l’efficienza dei previsti DPI e delle attrezzature di lavoro;
  • segnala al Supervisor ogni anomalia o rottura o mancato funzionamento riscontrato nei DPI e nelle attrezzature di lavoro e, se del caso, chiede la loro sostituzione;
  • si mantiene in comunicazione continua con l’Attendant;
  • avvisa l’Attendant in caso di pericolo;
  • abbandona lo spazio confinato quando si sente in pericolo o a seguito di un ordine ricevuto dall’Attendant; in caso di emergenza, si attiene alle disposizioni impartite dal responsabile del Rescue Team e si mette a sua disposizione per eventuali necessità.

L’Attendant (il preposto):

  • verifica che solo i lavoratori autorizzati (Entrant) accedano allo spazio confinato;
  • conoscendo i rischi associati con lo spazio confinato e le operazioni previste controlla che l’Entrant indossi i previsti DPI e che non effettui manovre/operazioni che possano mettere in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
  • controlla costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio delle attività e impedisce l’accesso ai non autorizzati;
  • non abbandona mai il suo posto e si mantiene in comunicazione continua con l’Entrant effettuando, se previsto, il continuo monitoraggio dell’atmosfera;
  • se necessario, su propria iniziativa o a seguito della richiesta del Supervisor, ordina all’Entrant di abbandonare lo spazio confinato;
  • se necessario, attua le manovre di Non Entry rescue e/o richiede tempestivamente l’intervento del Rescue Team.

Il Supervisor (il supervisore):

  • conosce i rischi associati con le attività negli ambienti a sospetto inquinamento e confinato, le operazioni previste e i rischi specifici del luogo di lavoro;
  • redige/prende visione del permesso di lavoro e, prima dell’ingresso, effettua i necessari test controllando personalmente che siano garantite le condizioni di sicurezza necessarie per l’avvio delle operazioni secondo quanto previsto;
  • controlla la presenza ed efficienza delle attrezzature necessarie all’intervento;
  • controlla la disponibilità/presenza del Rescue Team;
  • conduce il Pre entry Briefing ed effettua i Test di Pre ingresso;
  • controlla che gli Entrant indossino i previsti DPI e che la squadra operativa non effettui manovre/operazioni che possano risultare pericolose;
  • controlla costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio delle attività e, se del caso, adotta provvedimenti di adeguamento;
  • si mantiene costantemente disponibile e in comunicazione continua con l’Attendant;
  • se necessario, ordina all’Attendant di disporre l’abbandono dello spazio confinato;
  • se necessario, dispone in No Entry Rescue e/o richiede tempestivamente l’intervento del Rescue Team;
  • se necessario, chiede l’intervento degli addetti del sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco;
  • conduce il Post Entry Debriefing.

Il Rescue Team member (l’addetto al salvataggio):

  • deve essere dichiarato in buona salute e idoneo al compito da parte del Medico Competente;
  • dispone di adeguati DPI per l’intervento ed è correttamente addestrato al loro impiego in ogni situazione;
  • può utilizzare in modo sicuro ed efficace le attrezzature di salvataggio che ha a disposizione, essendo stato adeguatamente formato e addestrato
  • ha ben chiari i propri compiti, il ruolo che ricopre nel Team di soccorso e le procedure di soccorso specifiche per ogni spazio confinato in cui deve operare;
  • conosce i rischi legati agli interventi di soccorso negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati e, nello specifico, quali sono le caratteristiche dell’ambiente nel quale è chiamato, volta per volta, a operare;
  • è addestrato sulle tecniche di Basic Life Support (BLS), Basic Trauma Life Support (BTLS) e sulle manovre di assistenza rianimatoria cardiopolmonare (CRP) e Basic Life Support Defibrillation (BLSD);
  • effettua esercitazioni pratiche sulle tecniche di salvataggio con l’utilizzo di manichini antropomorfi da ambienti che riproducono il più possibile le reali condizioni di intervento (dimensione passaggio, volume interno, ecc.).

Concludiamo ricordando, ancora una volta, che questi non sono i ruoli individuati dalla normativa nazionale, ma i ruoli e responsabilità individuate dai modelli organizzativi nordamericani con riferimento alle attività nei “Confined spaces”.

Il documento della Regione Emilia Romagna “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed igiene del lavoro per i lavori in ambienti confinati”, realizzato dal gruppo di lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal Comitato Regionale di Coordinamento della Regione Emilia Romagna è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_indicazioni_operative_spazi_confinati.pdf

 

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L’OBBLIGO DEL FERMO ASSOLUTO NELLA MANUTENZIONE DELLE MACCHINE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

14 dicembre 2015

di Gerardo Porreca

 

E’ indispensabile, ai fini del rispetto della sicurezza sul lavoro, che su una macchina sia installato un dispositivo di fermo assoluto che impedisca che la stessa durante i lavori di manutenzione possa riavviarsi o essere riavviata

 

Chiamata ad esprimersi su di un infortunio occorso ad un lavoratore nei pressi di una macchina durante l’effettuazione di alcuni lavori di manutenzione la Corte di Cassazione in questa sentenza ha ribadita una disposizione di legge che è ritenuta indispensabile per garantire la sicurezza degli operatori impegnati in tali tipi di operazione, prevista del resto ormai da tempo dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

E’ assolutamente necessario, ha ricordato la suprema Corte, che ogni macchina sia dotata di un dispositivo di “fermo assoluto” al fine di impedire che durante i lavori di manutenzione la stessa possa riavviarsi o possa essere accidentalmente riavviata da altri lavoratori.

Nella circostanza è stato escluso altresì dalla suprema Corte che l’evento infortunistico fosse legato a un comportamento del lavoratore abnorme, esorbitante e comunque tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale occorsogli in quanto lo stesso stava svolgendo delle mansioni a lui assegnate dal datore di lavoro e non una operazione imprevedibile quale è quella di un intervento manutentivo.

Hanno ricorso in Cassazione i difensori di fiducia di un datore di lavoro avverso una sentenza emessa dalla Corte di appello che, in parziale riforma di quella del Tribunale, aveva ridotta la pena inflitta rideterminandola in 200,00 euro di multa e aveva revocata la sospensione condizionale della stessa.

L’imputato era stato ritenuto colpevole del delitto di cui agli articoli 40 e 590 commi 1, 2, e 3 del Codice Penale per avere, in qualità di legale rappresentante di una società e quindi di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e violazione di legge (in particolare degli articoli 70, comma 2, 71, comma 1, 87, comma 2 del D.Lgs 81/08 e 2087 del Codice Civile), cagionato a un operaio dipendente della società stessa, addetto alla manutenzione degli impianti, lesioni personali consistite in ferita lacera al secondo dito della mano sinistra con interessamento della lamina ungueale e frattura della falange, con prognosi complessiva di giorni 72.

In particolare è stato ritenuto colpevole per non avere adottato dispositivi, misure e cautele tali da assicurare in modo assoluto la posizione di fermo dell’attrezzatura di lavoro e dei suoi organi durante l’esecuzione di interventi manutentivi e tali da garantire il riavvio in condizioni di sicurezza e per non avere inoltre adeguato le pulsantiere delle rulliere motorizzate del macchinario alla normativa tecnica di riferimento. L’operaio, in particolare, durante l’intervento manutentivo volto alla regolazione del sistema della catena di trascinamento, era rimasto incastrato con la mano sinistra nel sistema catena pignone, con trascinamento prima del guanto di protezione e poi del secondo dito della mano sinistra, che veniva conseguentemente schiacciato, a causa di un riavvio intempestivo del macchinario.

Il ricorrente ha lamentata l’omessa applicazione e valutazione dell’articolo 70 del D.Lgs.81/08 nella parte in cui richiama le indicazioni dell’Allegato V dello stesso decreto e ha messa in evidenza la mancata definizione di “fermo assoluto” della macchina, l’assenza di una effettiva verifica circa la sua esistenza nel caso in esame e di una verifica della combinata presenza del “fermo assoluto” e del comportamento concreto del lavoratore nel governo del suddetto dispositivo.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione ed è stato pertanto rigettato. In buona sostanza, ha fatto osservare la suprema Corte, il ricorso, ribadendo censure già prospettate e disattese con congrue e corrette motivazioni in entrambi i giudizi di merito, ha ricondotto essenzialmente il verificarsi dell’infortunio al comportamento del lavoratore stesso, qualificato come abnorme, imprudente e anzi improntato a deliberata accettazione del rischio in violazione di una elementare regola di cautela e a una precisa istruzione operativa.

Al riguardo, ha ribadito la Sezione IV, correttamente e con adeguata motivazione è stato escluso un comportamento imprevedibile e abnorme del lavoratore e comunque idoneo da solo a cagionare l’evento e a elidere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale allo stesso occorso, comportamento che pur avventato, negligente, o disattento, era connesso all’attività lavorativa e da essa non esorbitante né eccentrico rispetto alle mansioni al medesimo specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo e pertanto non imprevedibile come era appunto l’intervento manutentivo che gli competeva.

La Corte territoriale, ha fatto altresì notare la Sezione IV, aveva, fra l’altro, richiamate e condivise le argomentazioni del giudice di prime grado laddove è stato esaustivamente rilevato che la mancanza di dispositivi atti ad assicurare in modo assoluto la posizione di fermo dell’attrezzatura e dei suoi organi che garantissero l’impossibilità dello stesso di riattivarsi o di essere volontariamente riattivato, durante l’intervento di manutenzione ed in particolare durante la scopertura della catena e del pignone mediante la rimozione del carter di protezione (accorgimento che avrebbe certamente scongiurato l’evento lesivo) era stata accertata dall’ASL nel suo atto di contestazione laddove era stata anche constatata la mancata previsione di misure adottabili di maggior cautela per il ripristino del moto della macchina e l’omessa consegna ai lavoratori di procedure scritte consequenziali.

Né alcuna rilevanza, ha così concluso la Corte di Cassazione, ha avuto il dedotto fraintendimento tra il lavoratore infortunato e il collega di lavoro addetto all’avviamento e all’arresto del macchinario, dal momento che il “fermo assoluto” dopo la rimozione del carter di protezione, misura di salvaguardia che incombeva sul datore di lavoro che omise di adottarla (con la conseguente integrazione della colpa per violazione di legge ex articolo 70 del D.Lgs.81/08 e 2087 del Codice Civile), avrebbe sicuramente evitato l’infortunio.

 

La Sentenza n.45051 del 11 novembre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:

http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=14291:cassazione-penale-sez-4-11-novembre-2015-n-45051-infortunio-durante-lintervento-di-manutenzione-mancanza-di-dispositivi-atti-ad-assicurare-in-modo-assoluto-la-posizione-di-fermo-dellattrezzatura&catid=17:cassazione-penale&Itemid=60

 

L’articolo SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.237 DEL 22/12/15 sembra essere il primo su Medicina Democratica.

Buone Feste e Buon Anno


Si chiude un anno di grande lavoro per Slow Medicine. Abbiamo 5 anni di vita:  per una associazione come la nostra sono pochi, oppure tantissimi. Se guardiamo a quello che abbiamo realizzato in questi 5 anni vediamo una strada percorsa senza fretta ma con determinazione, con l’impegno di muoverci sempre in modo sobrio rispettoso e giusto, e con la soddisfazione di risultati importanti, raggiunti con la collaborazione di tantissimi di voi.

 

Le tappe più significative di questa strada, in particolare quelle raggiunte in questo ultimo anno, e  le idee e  i progetti che vogliamo sviluppare insieme a tutti voi  saranno l’oggetto di un incontro fissato per il 30 gennaio prossimo. Ci troveremo presso la sede dell’Ordine dei Medici di Torino , in corso Francia 8, alle ore 11 per l’assemblea annuale dei soci ( i soci in regola riceveranno la convocazione ufficiale nei prossimi giorni); nel pomeriggio dalle 14 in poi incontro aperto a tutti, soci e non soci. Titolo: Il cammino delle chiocciole.
Fra qualche giorno invieremo il programma dell’incontro, che troverete anche sul nostro sito. Per ora, segnatevi la data!

Auguri di buone feste e di felice anno nuovo     

Il Direttivo


 

DOCUMENTI DELL’VIII CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS

Congresso MDIN QUESTA PAGINA SARANNO MAN MANO PUBBLICATI I LINK AI DOCUMENTI E GLI INTERVENTI DEI PARTCIPANTI AI LAVORI DELL’ VIII CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA DEMOCRATICA TENUTOSI DAL 19 AL 21 NOVEMBRE A FIRENZE.

INTERVENTI PRIMA GIORNATA (CLICK)

INTERVENTI SECONDA GIORNATA (CLICK)

INTERVENTI TERZA GIORNATA (CLICK)

MOZIONE: LA GUERRA COME NOCIVITA’ ASSOLUTA (CLICK)

COMPONENTI NUOVO DIRETTIVO NAZIONALE (CLICK)



DOCUMENTO CONCLUSIVO del Congresso Nazionale di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute svoltosi a Firenze il 19-20-21 novembre 2015


PREMESSA
Medicina democratica, movimento di lotta per la salute, non ha mai voluto fare del proprio congresso un’occasione di riflessione e dibattito esclusivamente interni. Sosteneva infatti Giulio Maccacaro nel 1976 a Bologna, nella relazione di apertura del 1° Congresso Nazionale:
“Siamo qui noi, ma non per noi, compagni, ma per altri compagni, tanti, ma i ben più tanti che attendono da Medicina Democratica non solo un messaggio responsabile ma anche un’azione efficace per la salute e l’integrità di chi è oggetto di sfruttamento, emarginazione e repressione, onde questi ne emerga in tutto il suo diritto e la sua capacità di porsi quale soggetto politico primario”.
Ogni successivo congresso, pur nella diversità del contesto che con gli anni si è venuto a presentare, si è sempre caratterizzato per proposte ed iniziative, in continuità con la premessa sopra riportata, caratterizzate dall’impegno a pensare in modo globale.
E’ per questo motivo che il documento conclusivo generale, ma anche quelli dei 6 gruppi di lavoro (aperti anche a non aderenti a MD) vogliono rappresentare l’inizio di un impegno comune che stimoli la nascita di UN NUOVO MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE DEL XXI° SECOLO
Le proposte si rivolgeranno sia ai movimenti e alle associazioni presenti ma anche alle forze per vari motivi assenti, comprese quelle che sembrano impermeabili ai nostri argomenti, incompetenti ad affrontare le problematiche che solleviamo, incapaci di difendere principi e valori della nostra carta costituzionale, pronti a sacrificare al Mercato il Sistema Sanitario Nazionale Universalistico, Equo e Solidale, fondato sulla Fiscalità progressiva, sulla Prevenzione e sulla Partecipazione che l’intelligenza dei padri costituenti e le elaborazioni culturali e le lotte operaie dalla fine degli anni ’50 alla metà degli anni ’70 hanno contribuito a realizzare.

Medicina Democratica promuove in modo attivo e consapevole la difesa dei diritti umani, a partire da quelli fondamentali alla vita e alla salute per tutti gli abitanti del nostro pianeta oggi sempre più a rischio.
Riteniamo pertanto che tutti i lavoratori e i cittadini italiani e non, indipendentemente dalla loro provenienza geografica abbiano diritto, come recita del resto la Costituzione Italiana, alla salute e al lavoro e ciò si può realizzare grazie a :

un lavoro salubre che preveda il rischio zero per l’esposizione ad agenti chimici e fisici cancerogeni, il rispetto del principio di precauzione per quelli per i quali non esistono evidenze certe di assenza di tossicità e/o di cancerogenicità

un lavoro che secondo i principi dell’ergonomia sia adattato all’uomo e non viceversa: l’organizzazione del lavoro non deve prevedere situazioni stressogene (turni estremi, ritmi eccessivi, mobbing e altre molestie), ma deve perseguire il benessere lavorativo: a tal fine ritiene doverose: la revisione della normativa pensionistica per tutte le categorie operaie e, nel pubblico impiego, per i lavori usuranti (per es. infermieri e turnisti e addetti alla cura di pazienti cronici, insegnanti, medici chirurghi e d’urgenza, psichiatri ed altri da individuare ); l’abrogazione o profonda revisione, anche attraverso l’uso dello strumento referendario di quelle parti del Jobs act che non sono a tutele crescenti, ma decrescenti a partire dal ripristino dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e sua estensione anche alle ditte sotto i 15 dipendenti;modifiche al DLgs 81/08, cassando le modifiche del DL 106/09 e aggiungendo un’area specifica sul rischio organizzativo e sul rischio violenza e molestie sul lavoro. Inoltre dovrà essere inserito il reato di mobbing nel C.P.

un ambiente ed a un territorio salubre, a supporto della resistenza e della lotta delle popolazioni.
Sappiamo bene che una sostanza non “cessa di essere tossica quando esce dai confini della fabbrica” e che, come scriveva Lorenzo Tomatis nel 1987,: “ la deliberata spietatezza con la quale la popolazione operaia è stata usata per aumentare la produzione di beni di consumo e dei profitti che ne derivano si è ora estesa su tutta la popolazione del pianeta, coinvolgendone la componente più fragile che sono i bambini, sia con l’ esposizione diretta alla pletora di cancerogeni, mutageni e sostanze tossiche presenti nell’ acqua, aria, suolo, cibo, sia con le conseguenze della sistematica e accanita distruzione del nostro habitat”
I numerosissimi esempi – anche nel nostro paese- di drammatiche conseguenze per la salute pubblica conseguenti a gravissime contaminazioni ambientali per insediamenti industriali non sono più tollerabili. A questo proposito alcuni provvedimenti dell’attuale Governo meglio noti come Decreto “Destinazione Italia” e come “Sbocca Italia” ci sembrano andare in direzione nettamente contraria.
Riteniamo comunque che tali nefaste conseguenze siano però intrinseche a questo tipo di economia capitalistica e lineare fondata sull’utilizzo di materie prime, la loro trasformazione per produzione di beni e manufatti che devono a loro volta divenire nel più breve tempo possibile scarti e rifiuti. Tutti ciò non è però in alcun modo più sostenibile: e già oggi un solo pianeta ( l’unico di cui disponiamo!) non riesce più a sostenere l’impronta ecologica dell’uomo.

ad un’assistenza sanitaria pubblica e partecipata, effettivamente gratuita, basata sull’efficacia; adeguata ai bisogni e che si fondi sulla dignità dell’assistito e ne rispetti le scelte;ciò implica una modificazione radicale dell’assetto organizzativo del servizio sanitario nazionale che degenera vieppiù verso un sistema privatistico: fra gli obiettivi di questo VIII Congresso di MD vi sia anche quello di promuovere le necessarie iniziative per ripristinare, anche nel nome quindi, la denominazione nonché le originarie caratteristiche delle Unità Socio Sanitarie Locali con i relativi servizi ed una reale gestione pubblica degli stessi, attraverso la partecipazione della popolazione promuovendo organismi a ciò finalizzati (ad esempio Comitati di Partecipazione popolare costituiti con elezione diretta). Le Case della Salute, devono essere aperte secondo la formulazione partecipata che propose Giulio Maccacaro e non in quella burocratica attuata per esempio in alcune zone della Regione Toscana. Eliminare, anche attraverso l’uso dello strumento referendario, l’attuale gestione monocratica e aziendalistica, fonte di spreco e di clientelismo, con dirigenti di nomina politica e non scelti secondo capacità ed esperienza; eliminare altresì il “sistema che paga la malattia” (DRG) e che produce malattia, per un sistema che paga la salute a quota capitaria pesata per età; a tal proposito le dimissioni ospedaliere per i malati cronici devono prevedere un programma terapeutico – definito dalla Unità Valutativa Multidimensionale – in assistenza domiciliare o, se residenziale, senza oneri per gli assistiti e o i loro parenti. La lotta all’evasione fiscale che attualmente non solo non viene perseguita, ma addirittura incentivata permetterà il recupero dei miliardi di Euro necessari, così come la drastica riduzione delle spese militari

ad una vita indipendente alle persone con disabilità e nello stesso tempo ad avere la possibilità di partecipazione alla vita sociale attraverso la realizzazione di una presa in carico sanitaria, sociale e assistenziale adeguata, garantendo alla persona con disabilità il diritto alle cure e alla riabilitazione al fine di raggiungere la maggior autonomia possibile e il maggior recupero neuro motorio e di partecipazione e inclusione sociale.
Medicina Democratica, in particolare la Sezione di Viareggio, sulla base della sua specifica esperienza, ritiene che accanto a tutti i diritti inalienabili dell’uomo, in particolare se affetto da una lesione di tipo neurologico, ortopedico, cardiologico che può condurre a disabilità e che necessita di trattamento riabilitativo, deve assumere pari rilevanza e dignità “il diritto al recupero”, inteso come il diritto al grado più evoluto di recupero di funzione. Un recupero qualitativamente evoluto può costituire un importante strumento onde evitare l’instaurarsi della disabilità e di lotta contro lo sfruttamento della disabilità a fini di profitto e di consumo.
Medicina Democratica da anni lotta per migliorare le condizioni di accessibilità e di fruibilità degli spazi per tutta la popolazione nel rispetto delle difficoltà di tutti e continuerà a farlo impegnandosi ad ottenere l’applicazione pubblica delle forme di assistenza alle persone con gravi disabilità e alle persone anziane non autosufficienti o con malattie cronico-degenerative contrastando la tendenza in atto che vuole che questi servizi siano a pagamento.

Medicina Democratica si batte per la realizzazione delle Unità Spinali UNIPOLARI sull’intero territorio nazionale, in particolare nelle regioni del Centro e del Sud Italia per garantire la possibilità di cura e riabilitazione per tutte le persone con lesione midollare sia in fase acuta che durante il loro percorso di vita per prevenire ulteriori complicanze e a promuovere Centri per l’autonomia legati alle Unità Spinali, come ad es. a Firenze Medicina Democratica unitamente alla Associazione Paraplegici Toscana hanno promosso la realizzazione di una estensione dell’Unità Spinale per rispondere a diverse esigenze delle persone con lesione midollare; la realizzazione della Casa Gabriella in onore e in memoria di Gabriella Bertini che ha speso la sua vita a lottare per i diritti delle persone disabili permetterebbe a persone con paraplegia e tetraplegia di afferire all’Unità Spinale di Firenze per esigenze diverse (complicanze, bisogno di autonomia, verifica ausili, sport e percorsi di autonomia, ecc..) così come dal progetto predisposto dallo specifico gruppo di lavoro coordinato da Beppe Banchi e da Laura Valsecchi al quale si fa rinvio.

Medicina Democratica si impegna ad approfondire le tematiche connesse ai cambiamenti climatici globali in atto per contrastarne le cause, per affrontare adeguatamente le conseguenze già in atto per quanto riguarda:
-L’incremento inaccettabile di inquinanti persistenti bioaccumulabili (nel merito si richiede che il nostro Paese ratifichi la Convenzione di Stoccolma);
-Gli effetti non preventivamente valutati in modo pubblico e indipendente di nuove tecnologie;
-L’utilizzo dissennato delle risorse fossili oggi utilizzate come combustibili fonte principale di energia per tutti gli usi industriali, domestici e dei trasporti. Medicina democratica sostiene la necessità di uscire da questa situazione disastrosa per il clima e la sanità del pianeta, per passare alle fonti rinnovabili, tra le quali la principale, pulita abbondante ed inesauribile, è costituita dalle radiazioni elettromagnetiche (a luce) provenienti dal Sole. La lotta contro gli enormi interessi aggregati sull’estrazione, commercio ed uso di petrolio, gas naturale e carbone deve essere un nostro impegno permanente. Nella transizione all’energia solare e le altre rinnovabili, che implica la dura lotta contro i potenti interessi economici e politici del moderno capitalismo, la nostra associazione è schierata per il risparmio energetico, quindi contro sprechi ed inquinamenti,e a favore del progressivo impiego delle energie rinnovabili anche in piccola scala locale in base alle opportunità nelle diverse situazioni ambientali. Contrastiamo pertanto con fermezza l’avvio di procedure di estrazioni di idrocarburi sia in terra che in mare purtroppo avviate dall’attuale Governo nel nostro paese anche se contrastate con fermezza dalle popolazioni interessate.

Medicina Democratica si sente altresì parte attiva nella lotta per difendere ed estendere i Beni Comuni: va pertanto ripresa la battaglia per l’applicazione dei risultati referendari sull’acqua a quasi 5 anni dal referendum, ma estendendo la battaglia alla qualità dell’acqua, oggi inquinata in vario modo da solventi, metalli pesanti ed anche dall’ amianto contenuto nelle tubazioni in fibrocemento (in Toscana è in atto una lotta promossa da Medicina Democratica per la sostituzione delle suddette tubazioni). MD, Più in generale, lotta, in connessione con l’Associazione Italiana esposti amianto (AIEA) e il Coordinamento nazionale Amianto (CNA) per l’eliminazione dell’amianto dal territorio nazionale entro il 2020 e per tutto ciò che è stato previsto dal Piano Nazionale Amianto a partire dalla sua approvazione e finanziamento: sorveglianza sanitaria degli ex esposti, cura e ricerca, bonifiche dei siti inquinati, riconoscimento delle malattie professionali asbesto correlate e dei benefici previdenziali di cui alla legge 257/92. Considera latresì necessario che i riconoscimenti delle malattia professioni e degli infortuni sul lavori vengano affidate alle A-USL, come già previsto dalla legge 833/1978. Non ultimo perché nei processi penali che riguardano questa materia (nella gran parte dei quali MD è impegnata come parte civile), venga eliminato l’istituto della prescrizione.

Riteniamo altresì che il concetto di Bene Comune vada esteso anche:
-al lavoro: a questo proposito bisognerà battersi perché a livello normativo, in conformità all’articolo 43 della Costituzione, si pubblicizzino quelle aziende che decidono di abbandonare il nostro paese per andare all’estero; bisognerà che il collettivo operaio entri direttamente in possesso e gestisca il bene requisito ai privati riprendendo il meglio delle storiche esperienze cooperativistiche.
-alle fonti energetiche a cominciare dall’energia elettrica: a questo proposito, pur consci che non si può azzerare da un giorno all’altro l’energia proveniente da fonti inquinanti, riteniamo che debba essere progressivamente estesa la rete di energia proveniente dalle fonti alternative: il fotovoltaico e l’ eolico, privilegiando i piccoli impianti e, nel caso dei grandi impianti, purchè non vadano a discapito dell’agricoltura e della salute degli abitanti che risiedono nelle vicinanze. Verranno contrastate altresì non solo il ricorso all’Energia Nucleare, ma anche ad altre fonti inquinanti come quelle impropriamente definite rinnovabili come biomasse, biocarburanti e geotermia.
Medicina Democratica contrasterà insieme ai movimenti tutte quelle grandi opere aggressive per il territorio e che mettono a repentaglio la salute e la vita dei lavoratori e degli abitanti che vivono nelle aree interessate, a cominciare dal Tunnel della TAV in Val Susa, la cui popolazione è da 20 anni in lotta per difendere il proprio territorio, e dal sottoattraversamento TAV di Firenze (opera assolutamente inutile e nociva per la popolazione, oltre che fonte di scandali e ruberie). Sarà necessaria la riconversione di quei finanziamenti per le tante piccole opere che servono alla rimessa in sicurezza del fragile territorio del nostro Paese (alluvioni continue dal Nord al Sud del paese).

Medicina Democratica continuerà a battersi con i cittadini, i comitati contro l’incenerimento ed ogni altra forma di combustione dei rifiuti promuovendo le gestioni virtuose secondo il principio delle 4 R : Riduzione, Riuso, Riciclo e Recupero della materia. A tal fine l’assurda decisione di iniziare i lavori per il nuovo inceneritore a Firenze – Case Passerini appare una vero e proprio attentato alla Salute Pubblica, considerando anche che a pochi chilometri di distanza si vorrebbe assurdamente allungare la pista dell’Aeroporto di Firenze-Peretola.

Medicina Democratica fa proprio quindi il concetto dell’economia circolare: un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Questa modalità del resto è quella che da sempre regola i processi della Natura ed in cui l’energia necessaria per il funzionamento del sistema proviene da una unica fonte esterna: il sole! Assurda quindi l’incentivazione, per la produzione di energia, a combustione di biomasse, combustibili fossili o rifiuti come è purtroppo la regola nelle nostre società.

Medicina Democratica si batte altresì per la messa definitiva al bando dei pesticidi di sintesi a partire dal famigerato glyphosate, che è un pesticida molto diffuso: è infatti la causa dei sinistri ‘paesaggi arancio’ e dell’attività criminale delle multinazionali quali Monsanto, Bayer, Syngenta, Basf ecc),. Oltre alla tossicità acuta, tra le malattie più frequentemente associate ad esposizione cronica a piccole dosi di pesticidi, ci sono: Parkinson, SLA, Alzheimer, patologie dello spettro autistico, della sfera genitale e riproduttiva, obesità, diabete 2, malattie cardio-respiratorie, celiachia, vari tipi di cancro. Ad esserne colpiti non sono più solo gli operatori agricoli e le rispettive famiglie, ma lo è la popolazione in generale, specie durante le prime fasi della vita.

E’ pure indispensabile opporsi con fermezza agli organismi geneticamente modificati (OGM), alle agro-mafie, all’agro-business, alla declassificazione di pericolosità dei pesticidi di sintesi in atto nel mercato e all’accordo internazionale TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).

E’ quindi improcrastinabile la riconversione biologica di tutte le produzioni agricole, per la difesa della salute delle generazioni presenti e future, della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo come elemento centrale degli equilibri della biosfera e come luogo di produzione salubre del cibo. E’ necessario far esplodere la questione pesticidi a livello di opinione pubblica e far crescere un movimento di massa ed un’opposizione forte ai pesticidi ed alle multinazionali del settore ed a favore dell’agricoltura biologica/biodinamica. La Carta di Panzano in Chianti rappresenta un esempio di strumento di lotta e di informazione, dal basso. E’ necessario estendere e potenziare i Biodistretti (come Panzano, Montalbano ed altri).

MEDICINA DEMOCRATICA condivide il punto di vista delle donne sulle questioni di identità di genere e delle lotte per l’affermazione del principio di autodeterminazione.
La presenza delle donne nella società si declina nella sua tripla presenza:
-nel mercato del lavoro, per la sua autonomia economica (almeno parziale)
-nell’ambito della cura e della riproduzione ( ambito familiare, domestico, relazionale e affettivo)
-nella sua partecipazione diretta al cambiamento del sistema capitalistico ( impegno nei collettivi, nelle associazioni, nei comitati e nelle lotte ).
Possiamo affermare che la complessità e la fatica di reggere su più piani ha sicuramente un impatto diretto sulla sua salute, da cui la necessità di indagare con l’ottica di genere, con un atteggiamento non neutrale.
Per quanto riguarda il lavoro la donna si scontra spesso con un’organizzazione del lavoro sempre più gerarchizzata e con impronta maschile: questo fa sì che le donne che non si adeguano a tale organizzazione, vengano emarginate e discriminate.
E’ questa una ragione in più perché la lotta contro l’organizzazione capitalistica del lavoro e della società veda le donne protagoniste.

Medicina Democratica si batte perche venga riconosciuto il Diritto alla salute, al lavoro sano e ad un’abitazione dignitosa per i migranti e i ROM, contro ogni forma di esclusione, emarginazione, discriminazione, razzismo nei confronti di ogni minoranza linguistica, etnica, di genere e scelta sessuale, tutte/i soggetti ai quali vanno garantiti tutti i diritti fondamentali della persona e costituzionalmente sanciti. Si batterà perché i giovani migranti nati e /o cresciuti in Italia siano considerati cittadini italiani.

Medicina Democratica critica l’attuale gestione della salute psico-fisica in carcere, che con il passaggio della medicina penitenziaria alle ASL non ha fatto alcun significativo passo avanti; chiede altresì insieme a Psichiatria Democratica e ad altre associazioni che avvenga la chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari con il contemporaneo rafforzamento delle strutture territoriali pubbliche di Salute Mentale, dove inserire gli ex internati degli OPG ne negli stessi OPG, ne al posto di altre strutture psichiatriche esistenti, ribadendo che ogni forma di contenzione va eliminata. Medicina Democratica critica altresi la tendenza della psichiatria al ritorno, anche nei Servizi di Salute Mentale pubblici, ad essere mera dispensatrice di psicofarmaci.

Medicina Democratica si batte per la chiusura definitiva di quegli autentici lager per i migranti denominati CIE.
MD pertanto sostiene le battaglie dei movimenti impegnati nella conquista di nuove regole e nuovi strumenti referendari, peraltro già in uso in Europa, atti a consentire la diretta partecipazione democratica delle popolazioni, alle scelte che riguardano l’uso del territorio, la realizzazione di opere con impatto ambientale e sulla salute, la gestione dei beni comuni e dei servizi pubblici, il sistema sanitario.

Medicina Democratica si batte contro tutte le guerre, comprese quelle cosiddette umanitarie ed a tal fine ribadisce la propria contarietà a quell’autentico sperpero di denaro pubblico che è la costruzione degli aerei F35. Ritiene altresì che debba essere riconvertita l’intera produzione di armi in Italia e in Europa in beni di pubblica utilità. Chiede anche lo smantellamento nel territorio della Sardegna di tutte le basi militari che hanno pesantemente inquinato vari territori dell’isola provocando un’aumento significativo di morbilità e mortalità per tumore nelle aree interessate.

Medicina Democratica è impegnata ad attuare la propria missione nel territorio, anche attraverso le sezioni, che intende organizzare e rafforzare al meglio, affinché costituiscano punti di aggregazione solidale con i movimenti impegnati nelle battaglie comuni, unendo le competenze in un’ attiva collaborazione politica. Allo scopo MD proseguirà nel percorso di rafforzamento ed attuazione del sistema di regole interno, teso ad assicurare, da parte delle sezioni territoriali, il rispetto dello statuto e la massima trasparenza delle decisioni, della gestione economica, delle modalità di rinnovo delle cariche.
Si attrezzerà in particolare nel prossimo periodo congressuale (3 anni), per un rinnovo del gruppo dirigente e per l’aggregazione di nuovi militanti mettendosi in relazioni con ambiti giovanili: dalle università ai centri sociali (ed altro).


CONCLUSIONI E PROPOSTE
UNA PROPOSTA DI RELAZIONE PERMANENTE FRA ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI ORGANIZZATI: VERSO LA COSTRUZIONE DI UNA RETE NAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E AL LAVORO, PER UN AMBIENTE SALUBRE, PER L’UGUAGLIANZA, CONTRO L’ EMARGINAZIONE SOCIALE

Ci riferiamo naturalmente a associazioni e movimenti che contemplino nei loro principi e nei loro modi di operare la difesa dei diritti costituzionalmente garantiti quali:
-Il diritto alla salute non separabile dal diritto al lavoro almeno quanto il diritto al lavoro non può essere separato dal diritto alla salute. Nella storia delle lotte operaie e sindacali, soprattutto in tempi recenti, tale divisione è ricomparsa come “naturale” mentre tra l’inizio degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 era chiaro a tutti che il lavoro non dovesse implicare il sacrificio della salute, così come l’affermazione del diritto alla salute non dovesse implicare la rinuncia al lavoro. Per diritto alla salute intendiamo sì il diritto ad un’organizzazione sanitaria pubblica e partecipata, ma anche quello alla prevenzione, promossa da modi appropriati di vivere, abitare, muoversi, produrre, come sancito anche da Carte Internazionali sottoscritte anche dal nostro paese (Alma Ata 1978; Ottawa 1986).
-Il diritto alla ambiente salubre che comporta una lotta senza quartiere alla nocività degli ambienti di lavoro e di vita e per il risanamento dei territori inquinati, il riutilizzo dei rifiuti contro ogni forma di incenerimento o termovalorizzazione, la produzione ecosostenibile di energia.
-Il diritto all’equità e all’uguaglianza che implica lotta all’emarginazione sociale dei “diversi”: disabili o “diversamente abili”, omosessuali, tossicodipendenti, ROM, immigrati, anziani malati cronici non autosufficienti, poveri, tutti coloro che, relegati ai margini della produzione, sperimentano più che la cura e la assistenza dovute una più o meno palese contenzione.
1) Per promuovere la nascita della Rete proponiamo di organizzare un gruppo di lavoro permanente, indicato dal Congresso e articolato in tre sezioni territoriali che, tra l’altro, presentano specificità di problematiche: sud (Napoli), centro (Firenze), nord (Milano), dando come mandato a tale gruppo quello di prendere contatto con reti, coordinamenti, associazioni già operanti sul territorio nazionale e con possibili aperture agli altri paesi europei, affinché ciascuna entità, pur mantenendo la propria identità e specificità di interessi e di azione, concordi con tutti i partecipanti alla Rete di collaborare per conseguire obiettivi condivisi.

Regola fondante della Rete dovrebbe essere quella di riconoscere a ciascuna entità costituente pari peso e responsabilità, chiamando ciascuna a sottoscrivere l’impegno ad opporsi nei fatti, nelle idee, nelle lotte locali e globali, nella elaborazione politica e culturale, all’attuale deriva anti sociale, anti politica, anti democratica.

2) Università e promozione della salute: ricerca, formazione, informazione e democrazia – Proponiamo un convegno di riflessione da tenersi a Bologna nel 2016 nel quarantesimo anniversario del 1° Congresso Nazionale di Medicina Democratica partendo dalle riflessioni di Piergiorgio Duca:
“Le scelte di governo devono trovare un limite invalicabile nel rispetto dei principi e dei diritti costituzionali dei cittadini: principi e diritti che non possono essere rimessi alla decisione di una maggioranza pro-tempore”

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto individuale e interesse collettivo
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica
Le istituzioni di alta cultura hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato

“La ricerca è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”

“La scienza ha un unico scopo, un unico valore, un’unica dignità: alleviare all’uomo la fatica di essere migliore”

G.A. Maccacaro
Sassari Novembre 1965
“Verso una nuova biologia”

RICERCA
Partecipazione – Trasparenza – Imparzialità – Non neutralità – Finanziamento e conflitti di interesse
Ricerca Farmacologica e Ricerca Epidemiologica: sostenibilità del SSN e partecipazione

FORMAZIONE
Per una medicina a vocazione preventiva, centrata sul paziente, basata sulle evidenze
Di un operatore consapevole di lavorare per un Sistema Sanitario Universalistico, Equo, Solidale

INFORMAZIONE CRITICA
Impegnata nel controllo sistematico delle evidenze scientifiche su cui dovrebbero basarsi le decisioni di politica socio-sanitaria.
Attiva nella ricerca, sperimentazione e promozione di modi e strumenti di partecipazione
Responsabile verso la comunità per la realizzazione di un Consenso Informato di Comunità

3) Un convegno in Val di Susa nel corso del 2016 per sostenere come Medicina Democratica le lotte del Movimento NO TAV.
Per tutte le altre proposte si rimanda ai contenuti dei documenti dei 6 gruppi di lavoro.

L’ASSEMBLEA CONGRESSUALE DI MEDICINA DEMOCRATICA
MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE ONLUS

FIRENZE, 21 NOVEMBRE 2015



GRUPPI DI LAVORO


GRUPPO DI LAVORO Partecipazione, prevenzione, salute: la difesa dei diritti sotto attacco (CLICK)

GRUPPO DI LAVORO Donna, Salute, lavoro, doppio lavoro, assenza di lavoro, negazione di servizi e diritti (CLICK)

GRUPPO DI LAVORO Inquinamento urbano e salute (CLICK)

GRUPPO DI LAVORO Salute e agricoltura

GRUPPO DI LAVORO Lavoro, nocività e prevenzione: mobbing, tumori, infortuni, strategie di lotta e iniziative di legge e giudiziarie

GRUPPO DI LAVORO Salute mentale, psichiatria, OPG

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MILANO SABATO 16 GENNAIO 2016 – CONVEGNO PUBBLICO-TAVOLA ROTONDA: DIRITTO ALLA SALUTE E SANITA’ INTEGRATIVA

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LA PARTECIPAZIONE AL CONVEGNO-TAVOLA ROTONDA E’ GRATUITA.

Siamo convinti che in questi ultimi anni si stia mettendo progressivamente in crisi il diritto alla salute. Negli ultimi mesi abbiamo visto prendere misure di tagli (con o senza spending review) al finanziamento del servizio sanitario nazionale e altre misure volte al controllo delle prescrizioni mediche. Non solo ma vengono stabilite limitazioni al diritto di ricevere prestazioni e servizi per le categorie più deboli (anziani cronici, disabili gravi, malati mentali, tossicodipendenti).
Mentre il Servizio Sanitario Nazionale si ritira, vengono proposte polizze assicurative, servizi privati sanitari low cost, più in generale si sta spingendo i cittadini verso la sanità integrativa, anche tramite accordi sindacali. Tutto ciò tradisce lo spirito e la lettera della Costituzione e ribalta i principi della legge istitutiva del Servizi Sanitario Nazionale del 1978.
Vogliamo discutere per capire, ma anche per opporci, quindi per affermare la necessità di mantenere e sostenere un servizio sanitario pubblico efficace, basato sulla prevenzione, con le fondamentali caratteristiche, dell’universalità, la gratuità e la partecipazione.

L’appuntamento è per il 16 gennaio alle ore 9,30 (fino alle 14) presso la Casa delle Associazioni del Comune di Milano via Marsala 8 (MM linea 2 Moscova)


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Interverranno:
prof. Giorgio Cosmacini – docente di storia della medicina e della Sanità dell’Università Vita e Pensiero: “la nascita della sanità pubblica e la sua evoluzione ai giorni nostri”
prof. Piergiorgio Duca – docente di biometria e statistica medica Università di Milano: l’Università serve per la formazione di operatori sanitari e sociali preparati per affermare il diritto alla salute?”
Dott. Alberto Donzelli (esperto di sanità pubblica): “dal mito della prestazione sanitaria alla sanità integrativa”
Aldo Gazzetti (esperto di sanità pubblica): “..la sanità integrativa minaccia la copertura sanitaria di tipo universale (esempio spagna da universale ad assicurativa obbligatoria —–> modello francese e tedesco)? forme di copertura sostitutiva.
Verranno invitati i sindacati per conoscere le ragioni delle richieste di sanità integrativa nei contratti di lavoro.

Per Medicina Democratica: Fulvio Aurora
Per la Rete per il diritto alla salute: Carlo Parascandolo

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16 gennaio 2016

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