Paroxetina inefficace e dannosa negli adolescenti

Esiste uno studio che raggiunge il record nel riunire il maggior numero di caratteristiche deteriori, il fenomeno del ghostwriting, l’occultamento dei dati negativi, la distorsione e falsificazione dei risultati e l’uso indiscriminato di questi ultimi per incrementare vendite off label. Si tratta dello studio 329, condotto tra il 1994 e il 1998 da Smith Kline […]

Esiste uno studio che raggiunge il record nel riunire il maggior numero di caratteristiche deteriori, il fenomeno del ghostwriting, l’occultamento dei dati negativi, la distorsione e falsificazione dei risultati e l’uso indiscriminato di questi ultimi per incrementare vendite off label. Si tratta dello studio 329, condotto tra il 1994 e il 1998 da Smith Kline Beecham, dal 2000 Glaxo Smith-Kline (GSK), con l’obiettivo di valutare l’efficacia della paroxetina (commercializzata come Paxil® e Seroxat®) e dell’imipramina verso placebo, nella depressione maggiore degli adolescenti.

Lo studio non aveva prodotto i risultati aspettati e i dati negativi venivano occultati pubblicando solo quelli favorevoli, per non sfavorire le vendite, come si legge in una mail interna di GSK, “minimize any potential negative commercial impact”.

 

Lo studio così “addomesticato”, dopo il rifiuto di pubblicazione da parte di JAMA, usciva nel 2001 sulla rivista JAACAP (Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry) a firma di ben 22 autori, nessuno dei quali aveva in realtà scritto una sola riga; lo studio era stato commissionato infatti ad una agenzia esterna. In precedenza il primo autore (fantasma) della pubblicazione, il noto psichiatra statunitense Martin Keller, era stato oggetto di un articolo apparso sul Boston Globe che riportava i suoi stretti legami finanziari con le aziende farmaceutiche, discreditando nel contempo la Brown University dove lavorava. Della vicenda si interessò il procuratore generale di New York, Eliot Spitzer, che nel giugno del 2004 accusò GSK di avere nascosto i reali risultati dello studio 329 (oltre 10mila pagine desecretate per l’indagine). Tra le accuse del procuratore anche l’ampia prescrizione off label del farmaco, a soggetti al di sotto dei 18 anni, nonostante non fosse mai stato registrato per tale utilizzo.

 

Vi era poi un’ulteriore motivazione, la più pesante di tutte: dalla disamina dei dati completi risultava che la paroxetina oltre ad essere inefficace, esponeva gli adolescenti a rischio di suicidio. Negli studi occultati, il 7,7% dei giovani aveva sviluppato propositi suicidi vs 3% dei trattati con placebo. GSK aveva ingannato i medici con regali e ospitalità ai congressi, dove altri medici, lautamente pagati per questo, confermavano sicurezza ed efficacia della paroxetina negli adolescenti. Secondo la sentenza del dipartimento di giustizia erano stati usati allo scopo “i rappresentanti delle vendite, finti comitati di esperti e programmi di Educazione Medica Continua apparentemente indipendenti.”

 

I dati reali sulla paroxetina erano sempre stati nascosti per spingere al massimo le vendite senza l’onere di dover registrare il farmaco per indicazione pediatrica. Si calcola che nel 2001 le vendite di Paxil avessero raggiunto un fatturato di 3 miliardi di $, nel 2002 le prescrizioni di Paxil negli USA superavano i due milioni e almeno 900mila di queste ricette erano indirizzate ad adolescenti con disturbi del comportamento, redatte anche da semplici medici di famiglia o pediatri. Alla fine, il 3 luglio 2012, GSK dovette pagare una multa di 3 miliardi di dollari, la cifra più consistente di tutti i tempi.

 

La mancata pubblicazione dei trial clinici e l’impossibilità di accedere alla documentazione completa degli studi pubblicati in modo parziale è un problema di straordinaria importanza, su cui siamo tornati più volte aderendo anche all’iniziativa AllTrials (http://www.alltrials.net/) lanciata un paio di anni fa dal BMJ, Ben Goldacre e numerosi altri soggetti. Lo scorso anno, il BMJ dava la notizia paradossale di un RCT tenuto nascosto per 20 anni, i cui risultati avrebbero potuto influenzare positivamente molti pazienti. Ricordiamo ancora un volta l’accorata lettera al BMJ del compianto Alessandro Liberati. Affetto da mieloma, doveva decidere se sottoporsi a un secondo trapianto di midollo. Tra le evidenze a disposizione c’erano quattro trials randomizzati i cui risultati non erano stati ancora pienamente pubblicati. “Perché,” si chiedeva Liberati, “(…)l’informazione esiste, ma non è disponibile?”

 

Nel 2013, facendo seguito alle molteplici richieste di poter accedere ai dati completi e pretendere la pubblicazione di tutti gli RCT, alcuni ricercatori tra cui Peter Doshi, editor associato del BMJ, e Tom Jefferson, epidemiologo consulente della Cochrane Collaboration sui vaccini, lanciavano una nuova iniziativa con acronimo RIAT (Restoring Invisible and Abandoned Trials) con la quale si invitavano tutti i ricercatori disponibili a rivedere la documentazione di RCT non pubblicati o pubblicati solo parzialmente per confrontarne i risultati ottenuti con quelli già noti.

 

“Dopo questa proposta”, scrive Fiona Godlee, editore capo del BMJ,” il mio pensiero è andato subito allo studio 329”. Con oltre due anni di lavoro sulle 10mila pagine di dati grezzi, David Healy, lo psichiatra inglese autore di Pharmageddon, e altri due colleghi, sono giunti al traguardo della pubblicazione del primo RIAT, quello appunto relativo allo studio 329, con conclusioni diametralmente opposte rispetto al lavoro originale del 2001. In quest’ultimo si concludeva che la paroxetina era “generally well tolerated and effective”, mentre il RIAT di Healy sostiene con cognizione di causa che la paroxetina non è “neither safe nor effective”. Da qui il commento sarcastico di Peter Doshi: “ nessuna acrobazia epistemologica sembra capace di riconciliare le due conclusioni”.

 

Ma l’incredibile è che, di fronte a questo capovolgimento a 180 gradi dei risultati, né gli autori dello studio pubblicato su JAACAP, né il comitato etico della rivista, né l’Università Brown per la quale lavorava Martin Keller, né le società scientifiche cui questi ricercatori fanno capo, hanno fatto il ben che minimo tentativo di marcia indietro: nessuna correzione, nessun ritiro dell’articolo, nessun commento, nessuna espressione di scuse, racconta ancora Doshi; non è saltato fuori alcun responsabile. Tutti gli interessati hanno rifiutato di rispondere (al BMJ, ai giornalisti) o di commentare i fatti. Solo alcuni hanno giustificato il silenzio per non ingigantire la vicenda. Da cui  il commento di Ivan Oransky, conduttore di Retraction Watch Blog: le controversie non cessano semplicemente non parlandone più; con il silenzio, è più probabile che la situazione peggiori (http://retractionwatch.com/?s=study+329).

 

Giovanni Peronato

 

Bibliografia consultata

Doshi P. No correction, no retraction, no apology, no comment: paroxetine trial reanalysis raises questions about institutional responsibility. BMJ 2015; 351:h4629

Le Noury J, Nardo JM, Healy D, et al. Restoring Study 329: efficacy and harms of paroxetine and imipramine in treatment of major depression in adolescence. BMJ 2015;351:h4320.

Keller MB, Ryan ND, Strober M, et al. Efficacy of paroxetine in the treatment of adolescent major depression: a randomized, controlled trial. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2001;40:762-72.

Doshi P, Dickersin K, Healy D, Vedula SS, Jefferson T. Restoring invisible and abandoned trials: a call for people to publish the findings. BMJ 2013;346:f2865.

 

PS. La storia dello studio 329 è stata estesamente raccontata da Ben Goldacre nel suo “Effetti Collaterali” e da David Healy in “Pharmageddon”, a cui rimando per una conoscenza esaustiva delle vicende, molto più intricate e complesse di come sono state qui riassunte.