Una recente serie di articoli del BMJ ha affrontato i conflitti d’interesse tra ricercatori e industria dello zucchero, o Big Sugar.(1-5) Quasi in contemporanea, il Lancet ha pubblicato una serie di articoli sull’obesità, discutendo in maniera molto simile il ruolo dell’industria degli alimenti, sia essa Big Food o Big Drink.(6) In entrambi i casi gli autori mostrano chiaramente come queste industrie abbiano usato le loro immense risorse per confondere, offuscare e indebolire le evidenze, sempre più forti e numerose, sul fatto che lo zucchero sia al centro dell’attuale epidemia di obesità.
Mostrano altrettanto chiaramente come i ricercatori britannici, ma non c’è ragione per non pensare che sia così anche altrove, abbiano collaborato nell’ottenere questi risultati mediante la loro associazione con l’industria (fondi per la ricerca, consulenze, attività di formazione, etc). Questa è la lista delle industrie coinvolte: Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Institute of Brewing and Distilling, Weight Watchers International, Sainsbury’s, Sanofi, W K Kellogg Institute, GlaxoSmithKline, Boots, Cereal Partners UK, Mars, Unilever, Tanita UK (un produttore di bilance), Food and Drink Federation, Institute of Grocery Distributors, National Association of British and Irish Millers, Rank Hovis McDougal, e NutriLicious (una ditta di pubbliche relazioni specializzata in messaggi su salute e nutrizione per l’industria). Molti dei ricercatori finanziati dall’industria lavoravano per enti pubblici come lo Scientific Advisory Committee on Nutrition e il Medical Research Council; tutti erano ovviamente stimatissimi, nessuno ha mai messo in questione la loro onestà, e tutto ciò che facevano era legale. Gli articoli del BMJ citano numerosi nomi di eminenti ricercatori, ed esempi dei progetti di ricerca realizzati, sottolineando come i soldi andassero alle attività di ricerca; non finissero cioè nelle tasche dei ricercatori. Il giro di soldi è notevole: da 250mila a 380mila sterline l’anno solo per le ricerche del Medical Research Council.
Ma perché quasi tutti questi eminenti ricercatori accettano di lavorare a progetti finanziati dall’industria? Intervistati dal giornalista autore della serie per il BMJ, molti giurano di averlo fatto perché pensavano che i loro studi fossero importanti per la medicina e la salute pubblica. Ma è difficile pensare che un bravo ricercatore non veda l’interesse commerciale che sta dietro a uno studio mirante a comparare l’efficacia, nel diminuire il peso, di un servizio primario territoriale nei confronti di una consulenza da Weight Watchers, che era ovviamente il finanziatore dello studio. Altri, più onestamente, dicono di essere stati costretti ad accettare finanziamenti da Big Sugar per l’assenza o la diminuzione dei finanziamenti pubblici; vero, anche in Italia, ma perché non hanno alzato la voce e fatto pressione perché così non fosse? Altri ancora confidavano nei codici etici dell’industria, o speravano addirittura di influenzarne positivamente i comportamenti. Poveri illusi; non sapevano che Big Food elabora questi codici proprio per allontanare la possibilità che siano i governi a imporre le regole; per poi continuare a fare affari come al solito.(7)
Ma tutto ciò sarebbe innocuo, o quasi, se non vi fossero anche prove del fatto che le ricerche finanziate dall’industria sono di parte. Ebbene, una revisione sistematica sull’associazione tra aumento di peso e bevande zuccherate pubblicata nel 2013 mostra che le ricerche finanziate dall’industria hanno cinque volte più probabilità di trovare che non esiste nessuna associazione.(8) E uno studio precedente che aveva preso in considerazione 206 articoli sugli effetti di latte, bevande zuccherate e succhi di frutta sulla salute aveva concluso che la ricerca finanziata dall’industria distorce i risultati in favore della stessa, con importanti implicazioni per la salute pubblica.(9) E non è detto che ciò sia dovuto alla negligenza o imperizia dei ricercatori. Molto più probabile che sia l’industria che mette le mani sul disegno della ricerca, sui metodi, sugli strumenti di raccolta dati, sull’analisi degli stessi, ed infine su come i risultati sono descritti e commentati negli articoli pubblicati, distorcendoli a volte in maniera così sottile che non solo non se ne accorge il lettore, ma nemmeno il ricercatore.
Sembra chiaro, leggendo questi articoli del BMJ, che le politiche e i cambiamenti necessari a dare una svolta all’epidemia di obesità richiedono ricerche indipendenti da interessi commerciali. Come si legge in uno degli articoli della serie del Lancet, “mentre molti sforzi di salute pubblica sono stati spesi per limitare gli effetti avversi del marketing dei sostituti del latte materno, ora sono richiesti altrettanti sforzi per proteggere i bambini più grandi dall’aumento di un sempre più sofisticato marketing di cibi e bevande con eccesso di energia e difetto di nutrienti. Per affrontare questa sfida, il controllo della distribuzione e del marketing degli alimenti dev’essere migliorato e le attività commerciali devono essere subordinate alla protezione della salute.”(10) Ma non può esserci controllo del marketing e delle attività industriali e commerciali senza una ricerca che, adeguatamente finanziata con fondi pubblici, fornisca ai governi e a coloro che prendono decisioni dati e informazioni indipendenti sui quali basare le stesse. Come conclude l’autrice dell’editoriale che accompagna la serie di articoli del BMJ, che tra l’altro prende in considerazione anche i conflitti d’interesse riguardanti la ricerca su un nuovo vaccino contro il meningococco, conflitti che rischiano di fornire ulteriori argomenti ai gruppi contrari alle vaccinazioni, “non possiamo attenderci che il pubblico abbia fiducia in una scienza che sembra in vendita”.(11)
Adriano Cattaneo
1. Gornall J. Sugar: spinning a web of influence. BMJ 2015;350:h231 doi: 10.1136/bmj.h231
2. Gornall J. Sugar’s web of influence 2: biasing the science. BMJ 2015;350:h215 doi: 10.1136/bmj.h215
3. Gornall J. Sugar’s web of influence 3: why the responsibility deal is a “dead duck” for sugar reduction. BMJ 2015;350:h219 doi: 10.1136/bmj.h219
4. Gornall J. Sugar’s web of influence 4: Mars and company: sweet heroes or villains? BMJ 2015;350:h220 doi: 10.1136/bmj.h220
5. Anderson P, Miller D. Commentary: sweet policies. BMJ 2015;350:h780 doi: 10.1136/bmj.h780
6. Kleinert S, Horton R. Rethinking and reframing obesity. Lancet 2015 Feb 18. pii: S0140-6736(15)60163-5. doi: 10.1016/S0140-6736(15)60163-5
7. Stuckler D, Nestle M. Big food, food systems, and global health. PLoS Med 2012;9(6):e1001242
8. Bes-Rastrollo M, Schulze MB, Ruiz-Canela M, Martinez-Gonzalez MA. Financial conflicts of interest and reporting bias regarding the association between sugar sweetened beverages and weight gain: a systematic review of systematic reviews. PLoS Med 2013;10(12):e1001578
9. Lesser LI, Ebbeling CB, Goozner M, Wypij D, Ludwig DS. Relationship between funding source and conclusion among nutrition-related scientific articles. PLoS Med 2007;4:e5
10. Lobstein T, Jackson-Leach R, Moodie ML, et al. Child and adolescent obesity: part of a bigger picture. Lancet 2015 Feb 18. pii: S0140-6736(14)61746-3. doi: 10.1016/S0140-6736(14)61746-3
11. Loder E. Big food, big pharma: is science for sale? BMJ 2015;350:h795
Commento a cura di Giovanni Peronato
Big Sugar si occupa anche dei nostri denti e della relativa ricerca. In un articolo apparso su PlosMed il 10 marzo 2015,(1) ripreso poi dal BMJ,(2) si dimostra come il National Institute of Dental Research (NIDR), istituito negli USA nel 1966 per identificare ed eradicare le cause della carie dentaria, abbia perso una storica occasione nella sua battaglia. Nello studio vengono analizzati più di 300 documenti interni di un’industria dello zucchero e del NIDR per valutare le influenze su quest’ultimo. Non potendo negare che lo zucchero è la causa principale della carie dentaria, l’industria alimentare ha finanziato la ricerca su argomenti paralleli, come gli enzimi che rompono la placca dentale o i vaccini, di efficacia discutibile, in modo da oscurare la ricerca sui rapporti causali ben più diretti con lo zucchero e deviare l’attenzione del pubblico. Gli autori dell’articolo dimostrano che i finanziamenti alla ricerca hanno dettato in pratica l’agenda e le priorità del National Caries Program, iniziato nel 1971, condizionandone pesantemente i risultati. Alla luce di questi fatti appare maggiormente chiara la strenua opposizione di Big Sugar (The World Sugar Research Organisation) alle linee guida proposte dall’OMS, sulla restrizione nel consumo di zuccheri semplici, e dalla FDA, sulla modifica alle etichette nelle confezioni di prodotti alimentari e bevande. Conclusione: gli interessi dell’industria non devono interferire con gli sforzi atti a migliorare la salute dei nostri denti!
1. Kearns CE, Glantz SA, Schmidt LA. Sugar Industry Influence on the Scientific Agenda of the National Institute of Dental Research’s 1971 National Caries Program: A Historical Analysis of Internal Documents. PLoS Med 2015;12(3):e1001798
2. McCarthy M. Industry influence moved focus of US dental research away from sugar, documents indicate. BMJ 2015;350:h1322