COMUNICATO STAMPA: DOCUMENTO PER I PARLAMENTARI EUROPEI

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Un impegno per la Sostenibilità e la Salute

Alla cortese attenzione dei mezzi di stampa,

La Rete Sostenibilità e Salute (RSS), che riunisce 21 associazioni attive sui temi della salute e della sostenibilità, ha pubblicato sul proprio sito un documento in cui richiede ai parlamentari europei un serio impegno per la tutela della salute dei cittadini europei (in allegato). Il documento è stato inviato ai parlamentari italiani e il nominativo di coloro che lo sottoscriveranno sarà a breve pubblicato sul sito della RSS.

Non se ne parla più: medici e industria

Che le industrie farmaceutiche, di presidi e di apparecchiature sanitarie investano molte risorse economiche per informare/sollecitare/convincere i medici a prescrivere i propri prodotti, è noto da tempo e ripetutamente documentato. Talmente scontato da non suscitare più neanche un moto di indignazione, come succede con i fenomeni naturali che ci disturbano, ma non possiamo evitare. Di conseguenza, non se ne parla più. Almeno qui in Italia, dove siamo stati vaccinati da terremoti corruttivi in grande scala. Sapere però quanto il fenomeno coinvolga la classe medica e quanto sia in grado di influenzarne le scelte che ricadono sulla spesa sanitaria del Sistema sanitario nazionale e sulla salute dei pazienti, non è irrilevante.

Il 7 gennaio scorso il New York Times pubblica un articolo sui costi della promozione dei farmaci negli Stati Uniti. Dal 2014 il Governo federale ha obbligato le industrie legate al mondo della sanità a rendere pubblici i pagamenti versati ai medici e agli ospedali (Freedom of Information Act). In attesa dei dati ufficiali, nell’articolo vengono riportati, come una sorta di aperitivo, i dati forniti da 17 industrie, che nel 2013 hanno reso pubblici i loro finanziamenti. Si tratta di 4 miliardi di dollari che corrispondono a circa il 50% del mercato.

Accedendo al sito di ProPublica – Journalism for the Public Interest si trovano i finanziamenti rivolti ai medici a scopo promozionale, che possono essere ricavati per industria, per prodotto, per medico. Niente male poter leggere quanto ha ricevuto da una certa industria lo specialista che mi ha consigliato un prodotto, il relatore che ha trascurato di illustrare gli effetti indesiderati di un farmaco o l’editorialista che non sembra imparziale. Per esempio, potremmo mettere in dubbio l’oggettività dei giudizi di un certo dottor Robert Takla che lavora nell’area di Detroit e che in 5 mesi ha ricevuto 75.000 dollari dall’industria che produce un nuovo anticoagulante, il Brilique.

Noi italiani ci dobbiamo accontentare di farci un’idea di come vengono finanziati i medici oltre Atlantico, ma possiamo comunque ottenere informazioni interessanti sulle caratteristiche dei prodotti più “spinti”. Scorrendo la lista, osserviamo che non vengono investite somme di denaro su farmaci veramente innovativi in aree prive di trattamenti specifici, ma prevalentemente su farmaci che sono sostanzialmente copia di altri in commercio, “farmaci ridondanti” come li definisce il dottor Joseph Ross, associate professor alla Yale University.

Infatti, a quali categorie appartengono i primi 10? Tre sono antidiabetici, 3 anticoagulanti orali, 2 per il trattamento della broncopneumopatia cronico-ostruttiva, 1 per il trattamento della schizofrenia e 1 dell’artrite, patologie per le quali sono già in commercio numerosi farmaci efficaci. Non risultato invece nel top della lista farmaci per il trattamento dell’epatite C o che prolungano in modo significativo la vita: questi farmaci si “vendono da soli” e non c’è bisogno di pagare medici per spiegarne l’utilità ai colleghi.

Quali sono i 5 farmaci su cui sono state investite le cifre più elevate in propaganda ai medici? Il Victoza (liraglutide) un antagonista del recettore GLP-1, l’Eliquis (apixaban) un anticoagulante che dovrebbe sostituire il warfarin, il Brilique (ticagrelor) che dovrebbe sostituire il clopidogrel, farmaco che ha perso la copertura brevettuale, e due farmaci non ancora in commercio in Italia: un antidiabetico (canagliflozin) e un antipsicotico (larusidone). Per ciascuno dei 5 farmaci sono stati investiti negli ultimi 5 mesi del 2013 dai 9 ai 7 milioni di dollari, che sono quasi la metà di quanto è stato speso dalla Intuitive per finanziare i medici che devono divulgare le meraviglie del robot Da Vinci.

Dobbiamo chiedere che anche in Italia si approvi un’analoga legge sulla trasparenza dei finanziamenti ai medici, in modo che anche da noi si possa conoscere quanto è finanziata la promozione di ogni prodotto e chi sono i medici maggiormente sponsorizzati. La maggior parte dei medici non è disposta sopportare una progressiva riduzione della fiducia dei pazienti dovuta alla segretezza con cui vengono distribuiti gli emolumenti da parte delle industrie che ruotano nel mondo della Sanità.

Marco Bobbio, già Direttore della Cardiologia dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, ora membro del Direttivo Slow Medicine. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 644 del 21 gennaio 2015 (http://www.pensiero.it/attualita/articolo.asp?ID_sezione=37&ID_articolo=1261)

 

I NoGrazie al workshop nazionale sul consumismo sanitario

Riportiamo qui sotto il testo dell’intervento fatto da Amelia Beltramini a nome di NoGrazie nel corso del workshop nazionale sul consumismo sanitario svoltosi ad Arezzo tra l’11 e il 12 dicembre 2014.

 

Uno studio pubblicato sul NEJM ha dimostrato che il 94% dei medici ha qualche relazione con le aziende farmaceutiche, che più di un terzo dei medici riceve rimborsi dalle aziende farmaceutiche per i costi associati a incontri ECM, e che oltre un quarto riceve pagamenti per arruolare pazienti nei trials o per consulenze o lezioni.

Il fatto che non ci siano molti dati sul COI (conflitti di interesse) in Italia per medici e giornalisti non vuol dire che il problema non ci sia. Ogni tanto uno scandalo dimostra che il fenomeno è assai diffuso anche in Italia. Tanto per ricordare i più importanti: il recente scandalo sul latte, e quello sull’ormone della crescita. Questo spiega la necessità di un’organizzazione come NoGrazie. Il gruppo è presente su internet (www.nograzie.eu) e su facebook, e ha una mailing list che raggiunge circa 300 iscritti, oltre a una lettera quadrimestrale spedita a circa 1200 persone,

Molti studi hanno dimostrato che il ricevere denaro dalle aziende farmaceutiche o dai produttori di tecnologie, influenza le prescrizioni dei medici: quindi non è vero che questi “contributi” sono a fondo perduto e non interferiscono con la cura dei pazienti. Non solo: per generare questo tipo di gratitudine basta una penna o un invito a pranzo. Quindi gli italiani che finanziano il SSN con la tassazione, hanno il diritto di sapere quali sono i conflitti d’interesse? Qualcuno ritiene di sì:

Negli USA ciò è ormai generalmente accettato: con il Sunshine Act le aziende farmaceutiche e produttrici di dispositivi medici sono obbligate a segnalare annualmente quanto danno ai singoli medici per il loro ruolo di esperti, consulenti, membri dei board scientifici, corsi ECM, ruolo di opinion leader, conferenze e via elencando. Avevano provato a escludere i corsi di formazione, ma per fortuna non ci sono riusciti e questo la dice lunga sull’importanza che le aziende attribuiscono ai corsi ECM come canale di marketing.

L’Australian competition & consumer commission ha deliberato che tutti i trasferimenti di denaro rilevanti (cioè superiori a 120 dollari) fatti a medici devono essere resi pubblici compresi emolumenti per conferenze, consulenze, etc. La Nuova Zelanda ha deliberato analogamente. La Francia, dopo un grande scandalo in cui si è dimostrato il collegamento fra l’ente di controllo francese dei farmaci e un’industria farmaceutica, ha provato a legiferare per un Sunshine Act: meglio che niente, ma anche assai annacquato.

In Italia siamo ai pannicelli caldi. La legge 6 novembre 2012 n 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione) prevede la dichiarazione dei conflitti di interesse nei tre anni precedenti e sanzioni per le dichiarazioni infedeli. A questa sono obbligati i dipendenti pubblici e quindi i dipendenti del SSN e dell’Università, ma se restano nel cassetto del diretto superiore non servono a nulla. Prima di tutto perché nessuno controlla. E in secondo luogo perché questa informazione non giunge ai cittadini.

E sarebbe bello se l’ingegner Marco Masi (Coordinatore educazione, istruzione, università e ricerca Regione Toscana), che ha parlato questa mattina, riuscisse a rendere pubblici i conflitti di interesse dei dipendenti del servizio sanitario regionale toscano, e anche dei dipendenti del Murst convenzionati o finanziati dalla Regione.

Ma basta la trasparenza? Bisogna chiedersi se i conflitti di interesse sono accettabili. Eduardo Missoni (Docente di cooperazione allo sviluppo e salute globale all’università Bocconi di Milano, vice presidente Osservatorio italiano sulla salute globale) questa mattina chiedeva se i COI contraddicono l’obbligo di lealtà nei confronti del SSN. E anche altri pensano che la trasparenza non basti.

Il 28 novembre scorso, il BMJ in un editoriale afferma che a partire dal 2015 arriverà a tolleranza zero sugli articoli educativi con i legami finanziari con l’industria. La trasparenza è essenziale ma non è sufficiente: d’ora in avanti, scrive Fiona Godlee, direttrice del BMJ, saranno accettati solo revisioni e articoli educativi di autori privi di COI.

Nel 2011 un articolo pubblicato sul BMJ dimostrava che nei panel che avevano costruito le 14 linee guida prodotte fra il 2000 e il 2010 negli Usa e in Canada, il 52% aveva COI, dei quali solo una parte era dichiarata. Ma in Italia c’è addirittura chi teorizza che l’industria si accaparra i migliori e il pubblico non può rinunciare al loro contributo e affidarsi solo a chi l’industria non ha cooptato. Come se rifiutarsi di collaborare con l’industria fosse un demerito. Ma questa posizione più volte e da più parti ripetuta, fa certo molto comodo alle aziende e giustifica che le varie commissioni siano piene di COI.

E quando i COI vengono richiesti, c’è chi bara. Enrico Desideri (Direttore generale dell’ASL di Arezzo) questa mattina ha parlato degli HTA (Health technology assessment) come possibile rimedio all’anarchia e alle differenze regionali. Ma bisogna anche verificare chi stende gli HTA e quali sono i suoi COI. Nel giugno 2013 Agenas pubblicava un report HTA sulle Protesi endovascolari per gli aneurismi dell’aorta addominale: analisi dell’efficacia e della costo efficacia, adattamento alla realtà italiana di un HTA scozzese. Tra gli autori Piergiorgio Cao, chirurgo vascolare dell’azienda ospedaliera san Camillo Forlanini di Roma e docente all’università di Perugia. Cao e i cofirmatari nella dichiarazione di conflitti di interesse: “Dichiara di non ricevere benefici o danni dalla pubblicazione, e di non aver posseduto azioni, prestato consulenza o avuto rapporti personali con alcuno dei produttori dei dispositivi valutati in questo documento”. Ma all’inizio di quello stesso anno è a Lipsia nel corso di formazione dal titolo Interventional Course, e in una slide “Disclose consulting Medronic Bolton” e all’inizio dell’anno successivo, nel gennaio 2014 sul Journal of vascular surgery in un paper riammette la consulenza a pagamento con le stesse aziende. Ergo è lecito sospettare che la dichiarazione di conflitti di interesse all’HTA fosse frutto di una botta di amnesia.

Avrà anche le sue ragioni: il finanziamento pubblico della ricerca è quello che è. Ma forse si sta esagerando. Claudio Cricelli (presidente SIMG Società italiana medicina generale) sempre questa mattina ci annunciava che Cergas Bocconi evidenzia un costante spostamento della popolazione verso la medicina privata. Non vorrei che il Cergas avesse i suoi interessi a dimostrarlo. Non sappiamo chi finanzia il centro di ricerca perché non ce lo raccontano, ma sappiamo che nel CDA di Bocconi siedono, solo per fare due esempi chiari: Gianfelice Rocca, presidente del gruppo Techint che a sua volta possiede la catena di cliniche private Humanitas, e Diana Bracco, di Bracco Spa, azienda farmaceutica, ma anche proprietaria del CDI, centro diagnostico italiano di Milano. Domani parleremo dei conflitti della stampa nella diffusione di questa brillante idea della privatizzazione del SSN.

Mi si potrebbe dire che Bocconi è un’università privata e fa quel che vuole. Ma anche il pubblico ha i suoi problemi. Crea sanità, centro di ricerca di un’università pubblica, Tor Vergata, ha appena prodotto il rapporto Crea sanità. È finanziato da 3M Italia, Bayer, Biogen Idec Italia, Boehringer Inghelheim Italia, Daiichi Snakyo Italia, Eli Lilly Italia, Fondazione MSD, GlaxoSmithKline, Janssen Cilag, Novartis Farma. Novo Nordisk, Pfizer Italia, Sanofi Pasteur MSD. Qualcuno mi deve spiegare perché i cittadini italiani devono finanziare l’Università italiana quando è motivato il loro sospetto che i ricercatori arrotondino diffondendo idee a vantaggio di altri.

Ma adesso c’è una nova fonte di problemi e sono i new media. Gianfranco Domenighetti (economista dell’università di Lugano) diceva oggi che le aziende, per espandere il proprio mercato e i profitti, usano incentivi sovente perversi per promuovere la prescrizione e gli acquisti. Degli ultimi incentivi inventati ha parlato un articolo di metà ottobre sul NEJM, Marketing to physicians in a digital world. Negli USA i medici che riportavano di aver ricevuto la visita di un informatore farmaceutico sono passati dal 77% del 2008 al 55% del 2013 (in Italia praticamente tutti i medici ricevono ancora almeno una visita al giorno). Ma se si va a vedere le spese di marketing di Big Pharma si scopre che il 25% dell’investimento è in tecnologie digitali: websites, social media, app mediche e cartelle cliniche elettroniche.

Nella popolazione, e anche fra i medici, è diffusa l’opinione che si può avere tutto gratis o a basso prezzo. Poi si scopre che il gratuito ha un suo modello economico. Nel caso della sanità il passaggio alle aziende delle informazioni raccolte dal comportamento dei medici. Solo un esempio: Epocrates, una app che consente al medico di vedere interazioni fra i farmaci e valutare i dosaggi, negli USA anche sapere quale farmaco è passato da questa o da quella assicurazione, etc. …  Un fenomeno solo americano? Abbiamo fatto una verifica in un gruppo di medici; in 24 ore hanno risposto solo in 13, quindi un campione statisticamente non significativo, e se il 46% non conosceva questa app, il 23% la considerava irrinunciabile, molto utile o utile. Nessuno però sapeva che ogni volta che il medico cerca qualcosa su Epocrates l’informazione arriva a un venditore farmaceutico, e tutte queste informazioni sono usate per vendere farmaci specifici che magari non sono i farmaci migliori per quel paziente, influenzando la prescrizione in direzione favorevole all’azienda farmaceutica. Ovviamente Epocrates non prospetta alcuna modificazione dello stile di vita.

Grazie per l’attenzione.

Informazione sui farmaci: chiedere all’oste se il vino è buono?

Il 15 febbraio 2013, nell’ospedale di Poissy, nei dintorni di Parigi, un settantenne morì per un’emorragia incontrollabile dopo una banale operazione a un ginocchio che si era svolta normalmente. Il 3 ottobre i parenti del paziente e di altre tre presunte vittime sporsero denuncia contro la multinazionale farmaceutica Boehringer-Ingelheim e contro l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei farmaci (ANSM) sostenendo che i decessi erano attribuibili alla terapia con dabigatran (Pradaxa), sulla quale sarebbero state nascoste delle informazioni fondamentali per la sicurezza dei pazienti (1). Nel marzo 2014 il tribunale di Parigi archiviò senza seguito le denunce delle famiglie (2). Ma il 28 maggio 2014, negli Stati Uniti, Boehringer-Ingelheim International annunciò che avrebbe pagato 650 milioni di dollari nell’intento di porre fine a una cosa come 4000 denunce che la accusavano di non aver fornito informazioni sufficienti sui rischi legati al suo prodotto (3).

Nel luglio 2014, il British Medical Journal pubblicò un editoriale dal titolo “Dabigatran: how the drug company withheld important analyses” (4). Con questo articolo, la rivista inglese ha riaperto il dibattito su una questione cruciale per la salute di ognuno di noi: l’indipendenza della ricerca sui farmaci e l’informazione scientifica ai medici. La ricerca farmacologica in effetti è in gran parte finanziata dall’industria farmaceutica (“Big Pharma”), che fino ad oggi ha conservato il potere di decidere se pubblicare o no i risultati degli studi (5). Cosicché ci sono risultati sfavorevoli che non sono stati portati a conoscenza della comunità scientifica, e la valutazione dell’utilità e dei rischi dei farmaci ne è risultata alterata. Di più, diversi studi mostrano che anche se la ricerca è pubblicata, le conclusioni degli autori sono influenzate dagli interessi del promotore (6, 7, 8). Infine, una gran parte delle società scientifiche, che controllano la formazione professionale dei medici, sono finanziate direttamente o indirettamente dai fabbricanti di farmaci (9).

La pressione dei produttori sui medici prescrittori si esercita anche attraverso le visite degli “informatori scientifici del farmaco”, che usano tecniche di marketing e di influenza psicologica (10, 11), di cui i medici sono in genere completamente inconsapevoli.

Studi indipendenti, e anche diverse sentenze, mostrano che ogni giorno migliaia di persone sono danneggiate ingiustamente da farmaci inutili o addirittura controindicati, e che tutto ciò è legato anche alla promozione delle terapie attraverso la relazione tra l’industria, le autorità regolatorie e la professione medica. Di questo sono convinti i medici e gli altri professionisti della salute che aderiscono al gruppo italiano “No Grazie Pago Io”. Dal 2004 il gruppo è particolarmente impegnato a denunciare i pericoli dei conflitti di interesse nella pratica professionale e all’interno delle istituzioni (comprese le università e gli organismi regolatori) e a promuovere l’informazione scientifica indipendente. I “No grazie” propongono ai medici curanti di rifiutare qualunque vantaggio in natura, regali e sovvenzioni provenienti da ditte coinvolte nell’ambito della salute. In Francia, l’associazione “Mieux Prescrire” (http://www.prescrire.org/fr/)sostiene posizioni simili promuovendo l’adesione alla Carta “Non Merci”. Iniziative dello stesso tipo sono sorte in altri paesi come la Spagna (No Gracias), la Germania (Mein Essen Zahl Ich Selbst), il Regno Unito (Nofreelunch http://www.nofreelunch.org/), il Cile (Médicos sin marca). I militanti dell’informazione indipendente si sono riuniti anche in organizzazioni internazionali come Healthy Skepticism (http://www.healthyskepticism.org/global/)o la “International Society of Drug Bullettin” (ISDB http://www.isdbweb.org/), una rete mondiale dei giornali scientifici che rifiutano qualunque finanziamento da chi ha interessi commerciali.

Qual è la risposta dell’industria e delle istituzioni ai problemi sollevati da questi movimenti d’opinione? Il 2 luglio 2014, Farmindustria, l’associazione dell’industria farmaceutica italiana, ha adottato un codice di autoregolamentazione che impone regole più stringenti, esige una maggiore trasparenza e crea un giurì indipendente con il potere di imporre sanzioni (12). La decisione, peraltro, coinvolge solamente le imprese italiane, che rappresentano solo una piccola parte del mercato farmaceutico mondiale. In effetti proprio mentre Farmindustria rinnovava il suo codice, un esempio molto diverso è stato dato dall’americana Merck Sharp & Dohme (MSD). Nel maggio 2014 MSD ha minacciato di citare in giudizio, reclamando danni per 1,3 milioni di euro, il dottor Alberto Donzelli, direttore di un bollettino di informazione sulla Evidence Based Medicine (EBM, Medicina fondata sulle prove di efficacia), pubblicato dall’Azienda sanitaria di Milano; Donzelli aveva analizzato la letteratura scientifica sul farmaco anticolesterolemico ezetimibe, prodotto dalla MSD, e aveva concluso, in un articolo destinato ai medici, che non era raccomandato per un uso in combinazione con statine. La risonanza internazionale della vicenda (13) e l’indignazione dei medici hanno spinto MSD a fare retromarcia, ma l’episodio dà comunque un’idea della distanza che passa tra la logica del mercato e quella dell’informazione scientifica.

In tutto questo, qual è il ruolo svolto dai pubblici poteri? Ogni paese dell’Unione Europea si è ormai dotato di una autorità regolatoria per i farmaci. Tuttavia, di fronte a imprese multinazionali con disponibilità economiche paragonabili a quelli di un piccolo stato, sarebbe l’Agenzia europea del farmaco (EMA http://www.ema.europa.eu/ema/) a aver le migliori possibilità di assicurare con qualche efficacia la priorità della salute sui profitti. Purtroppo però l’EMA, come le omologhe agenzie nazionali, è stato spesso oggetto di critiche proprio a causa dei conflitti d’interessi dei suoi membri.

In effetti soltanto nel 2009 si è deciso di inserire l’EMA nella Direzione generale STANCO (Salute e Consumatori) invece che nella Direzione generale Imprese. Ma il 10 settembre 2014 Il presidente appena eletto della Commissione Europea, Jean-Claude Junker, ha annunciato che la politica del farmaco e l’EMA saranno portate di nuovo nella Direzione generale Imprese. Questa decisione ha portato a numerose critiche riassunte in una lettera aperta al presidente Juncker, firmata da Fiona Godlee, capo redattore del British Medical Journal e da Bruno Toussaint, Direttore della rivista Prescrire. Il documento è stato pubblicato il 16 settembre con il titolo “M. Juncker, il farmaco non è una merce…”.(14) Siamo in attesa di una risposta. Ma fino ad oggi l’impressione è che per la Commissione la salute sia veramente un semplice merce. Allora, fino a quando i medici e i pazienti europei saranno ancora costretti a domandare all’oste se il suo vino è buono?

Mariagrazia Fasoli

1. http://tempsreel.nouvelobs.com/societe/20131009.AFP8069/anticoagulant-pradaxa-plaintes-contre-le-laboratoire-apres-des-deces.html

2. http://www.liberation.fr/societe/2014/03/26/les-plaintes-contre-l-anticoagulant-pradaxa-classees-sans-suite_990430

3. http://www.biolor.fr/Boehringer-Ingelheim-va-payer-650

4. Cohen D, “Dabigatran: Dabigatran: how the drug company withheld important analyses “, BMJ 2014;349:g4670

5. Sismondo S, “How pharmaceutical industry funding affects trial outcomes: Causal structures and responses” Soc Sci Med. 2008 May;66(9):1909-14.

6. Kjaergard L, Als­Nielsen B, “Association between competing interests and authors’conclusions: epidemiological study of randomised clinical”, BMJ 2002;325:249 trials published in the BMJ

7. Bekelman JE, Yan Li, Gross CP, “Scope and Impact of Financial Conflicts of Interest in Biomedical Research: a Systematic Review” JAMA, January 29, 2003;289:454-465.

8. Lundh A, Sismondo S, Lexchin J, Busuioc OA, Bero L, “Industry sponsorship and research outcome” 2012 The Cochrane Collaboration. Published by JohnWiley & Sons, Ltd.

9. Lenzer J, “Many US medical associations and disease awareness groups depend heavily on funding by drug manufacturers” BMJ 2011;342:d2929

10. Roughead EE1, Harvey KJ, Gilbert AL. “Commercial detailing techniques used by pharmaceutical representatives to influence prescribing” Aust N Z J Med. 1998 Jun;28(3):306-10.

11. Fugh-Berman A1, Ahari S. “Following the Script: How Drug Reps Make Friends and Influence Doctors”, PLoS Med. 2007 Apr;4(4):e150.

12. Codice Deontologico Farmindustria, 2 luglio 2014

13. Turone F, “MSD Italy is criticised for threatening legal action over prescription advice to GPs”, BMJ 2014;349:g4441

14. Godlee F, Toussanit B “M. Juncker, le médicament n’est pas une marchandise… “ Préscrire, 16 septembre 2014 http://www.prescrire.org/Fr/1/194/48278/3753/3305/SubReportDetails.aspx

Libri consigliati sull’argomento:

Marcia Angel “The truth about the drug companies”, il libro-denuncia della ex direttrice del New England Journal of Medicine sulla corruzione nel mercato dei farmaci

Ben Goldrake “Bad Pharma: How Drug Companies Mislead Doctors and Harm Patients”, il punto sulla situazione aggiornata al 2014

Una brutta figura per i generici

Il 23 gennaio 2015, l’EMA (Agenzia Europea per i Farmaci) ha sospeso 48 farmaci generici dal commercio perché i relativi studi di approvazione condotti in India erano difettosi.(1) I generici sospesi sono molecole usate nella terapia di diabete, depressione e ipertensione (candesartan, donazepil, escitalopram, esomeprazolo e metformina). La FDA (l’EMA degli USA) non ha ancora preso un analogo provvedimento.

Un’ispezione condotta da membri francesi del Comitato per i prodotti medici di uso umano ai laboratori di GVK Bioscences, un’organizzazione di ricerca a contratto che ha sede in India, ha rivelato che alcuni dati sono stati manipolati gettando un’ombra sulla correttezza degli studi prodotti. Da notare che non si tratta di farmaci prodotti da piccole ditte, ma di generici prodotti e venduti da grandi multinazionali come Abbott, Sandoz, Takeda e altre.

La FDA ha dichiarato di avere ispezionato i laboratori GVK nel 2014 a seguito dell’ispezione francese e di non aver riscontrato nulla di irregolare, ma che farà comunque ogni sforzo per proteggere la salute dei cittadini.

L’accertamento investigativo da parte dell’EMA comprende più di 1000 farmaci generici approvati in 29 paesi dell’UE. Di questi, 300 avrebbero le caratteristiche per rimanere sul mercato, non gli altri 700, che dovrebbero essere sospesi. Al condizionale perché i singoli stati possono continuare a lasciare il prodotto sul mercato, se non ci sono in quel paese valide alternative. Anche perché non sembrano esserci pericoli reali o problemi di scarsa efficacia dei farmaci in questione.

A cura di Giovanni Peronato

1. http://www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/medicines/human/referrals/GVK_Biosciences/human_referral_000382.jsp&mid=WC0b01ac05805c516f

 

Un documento che dovrebbero avere prodotto i sindacati dei medici di medicina generale

I medici di famiglia esprimono il loro sdegno per chi ha accettato di tradire lo spirito della Scienza, proponendo e accettando la regola che potessero essere etichettati come “equivalenti” farmaci che non erano identici in tutto e per tutto ai prodotti di riferimento.

Questo sporco disegno ha volutamente creato disordine e confusione nel rapporto di fiducia tra medico e paziente, inoltre ha fornito a certi medici una fasulla e inconsistente scusante per continuare a restare aggrappati alla prescrizione esclusiva di farmaci originari, beneficiando solo le loro ditte produttrici.

I medici di famiglia chiedono che gli irresponsabili che hanno causato tale situazione, inconcepibile e intollerabile in una società corretta, vengano rimossi dai loro incarichi e vengano sostituiti da persone di provato rispetto per i principi della Scienza, e che venga cancellata ogni norma che sta provocando l’attuale incoerenza, e venga riscritta secondo i canoni della Scienza, che detta che di ogni preparato di una sostanza possano esservi anche più di una specialità, ma che tutte debbono essere uguali, sostituibili e interscambiabili senza problemi per i pazienti.

I medici infine ribadiscono che si ritengono responsabili soltanto della prescrizione per Principio Attivo dei Farmaci, credono che i Farmacisti possano utilizzare qualunque specialità che risponda alle loro prescrizioni, e sono convinti che sia dovere delle autorità di controllo sulla produzione di garantire che sul mercato siano rispettate le regole della Scienza e non quelle del commercio.

A cura di Mauro Pecchioli

Codice etico all’Istituto Superiore di Sanità

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si è finalmente dotato di un codice di etica.(1) Si tratta di una prima volta e di una diretta conseguenza dell’adozione di un nuovo statuto. Il Codice è rivolto ai suoi ricercatori e a tutto il personale. É stato messo a punto e adottato dal Comitato Etico dell’Ente, coordinato da Carlo Petrini, vicepresidente del Comitato stesso e responsabile dell’Unità di Bioetica, che ha redatto il Codice.

Il Codice non dà indicazioni immediatamente operative, ma promuove comportamenti che si ispirano a un patrimonio di valori consolidati e ampiamente condivisi, attinti dai più autorevoli documenti sull’etica della ricerca biomedica in linea con i codici che si sono dati i più grandi istituti di ricerca internazionali. Ce ne occupiamo perché il nuovo Codice presta grande attenzione al conflitto d’interessi, al centro dell’attenzione anche per NoGrazie.

Il nuovo Codice parte dal presupposto che attraverso lo svolgimento delle funzioni di  ricerca, controllo, consulenza, regolazione e formazione sia inevitabile che i dipendenti dell’ISS abbiano relazioni e collaborazioni con istituzioni, private e pubbliche, da cui potrebbero nascere conflitti di interessi. Al fine di garantire l’integrità del giudizio professionale e di preservare la fiducia dei cittadini nei confronti dell’operato del personale dell’ISS, il Codice suggerisce i criteri di base per vigilare e fronteggiare eventuali conflitti e invita, in particolare, alla dichiarazione degli stessi. A questo proposito, propone un modello di “Dichiarazione pubblica di conflitti di interessi da parte dei ricercatori dell’Istituto”, Non è stata ancora messa a punto, tuttavia, una procedura con cui valutare e gestire le autodichiarazioni che saranno richieste ai ricercatori. Per il momento si richiede solo un’assolta trasparenza e si delineano alcuni criteri generali per individuare e gestire i conflitti di interessi.

Too little too late, direbbero gli inglesi. Non si capisce perché non ci abbiano pensato prima, e soprattutto non si capisce perché non sia possibile, in un ente pubblico, prevenire i conflitti d’interesse, invece che darli per scontati per poi non essere in grado di gestirli; come la letteratura internazionale che da decenni si occupa del tema e la nostra esperienza ci insegnano.

A cura di Fabio Suzzi e Adriano Cattaneo

1. http://www.iss.it/binary/coet/cont/CODICE_DI_ETICA.pdf

Trials non pubblicati: un’ulteriore conferma

I lettori di questa newsletter sono bene informati della campagna AllTrials, cui aderisce anche NoGrazie, che chiede la totale trasparenza nella pubblicazione dei trials, soprattutto di quelli finanziati dall’industria farmaceutica. Molti avranno anche letto Ben Goldacre, che nel suo libro Bad Pharma mostra come di circa il 50% dei trials non si sappia nulla, perché i risultati non sono mai stati pubblicati. Con le ovvie tragiche conseguenze sulle terapie prescritte. Se qualcuno pensa ancora che ciò sia falso, ecco un ulteriore articolo a riprova delle affermazioni di Goldacre.(1) È pubblicato su una rivista open access e perciò può essere scaricato e letto gratuitamente da chiunque, basta saper leggere l’inglese (http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0101826).

Gli autori dello studio voglio saper quale percentuale dei trials registrati nell’apposito sito del governo USA (ClinicalTrials.gov) raggiunge la pubblicazione e, nel caso ciò non sia stato raggiunto, quale sia la spiegazione. Per far ciò, prendono in esame 400 trials, un campione casuale tra tutti i trials registrati su ClinicalTrials.gov e classificati come completati. Ne seguono poi il destino per i quattro anni successivi al completamento. Usando le curve di sopravvivenza, calcolano il tempo medio di pubblicazione, su riviste indicizzate o sul sito governativo stesso, e cercano di analizzare le variabili che spiegano l’eventuale mancata pubblicazione.

I risultati mostrano che 118 trials (29.5%) non sono stati pubblicati nei quattro anni successivi al completamento. La mediana di tempo di pubblicazione dopo il completamento per i 282 (70.5%) studi pubblicati è stata di 602 giorni, la media di 647. I trials con maggiori probabilità di non essere pubblicati erano:

– quelli di fase 2 (su volontari), rispetto a quelli di fase 3 (su campioni di popolazione) e 4 (studi post marketing), con circa il 40% in meno di probabilità di pubblicazione;

– quelli che includevano solo soggetti adulti, circa il 39% di probabilità in meno;

– quelli randomizzati, circa il 38% di probabilità in meno, e

– quelli con campioni molto piccoli, meno di 50 soggetti per braccio di ricerca, circa il 40% di probabilità in meno.

Infine, gli studi finanziati dall’industria avevano circa il 51% (tra 34% e 64%) di probabilità in meno di essere pubblicati rispetto ai trials finanziati dal settore pubblico.

Lo studio conferma chiaramente, anche se con percentuali leggermente diverse, quanto già si sapeva, e che cioè alcuni studi, soprattutto se piccoli, in fase precoce di ricerca e finanziati dall’industria farmaceutica, non arrivano ad essere pubblicati, con grave danno per la validità della ricerca che influenza la gestione di molte malattie.

A cura di Adriano Cattaneo

1. Saito H, Gill CJ (2014) How Frequently Do the Results from Completed US Clinical Trials Enter the Public Domain? – A Statistical Analysis of the ClinicalTrials.gov Database. PLoS ONE 9(7): e101826. doi:10.1371/journal.pone.0101826

Direttiva UE sui segreti commerciali

Numerose associazioni europee hanno redatto e diffuso il 17 dicembre 2014 una presa di posizione contraria a una proposta di direttiva della Commissione e del Consiglio dell’Unione Europea riguardante i segreti commerciali. La riteniamo importante e abbiamo deciso di tradurla in italiano, perché anche individui e associazioni italiane la possano sottoscrivere, se lo ritengono utile. Inutile dire che il segreto commerciale riguarderebbe anche il commercio della salute.

 

Ci opponiamo con forza alla frettolosa spinta della Commissione e del Consiglio dell’Unione Europea (UE) per una nuova direttiva sul segreto commerciale perché contiene:(1)

– una irragionevolmente ampia definizione di “segreto commerciale” che permette a una ditta di classificare come tale praticamente qualsiasi cosa;

– una eccessivamente ampia protezione per le ditte, che potrebbero citare in giudizio chiunque “acquisisca, usi o sveli illecitamente” i cosiddetti segreti commerciali; e

– garanzie inadeguate che non garantiscono ai consumatori, giornalisti, “talpe”, ricercatori e lavoratori dell’UE un accesso affidabile a dati importanti per l’interesse public.

Contrariamente agli obiettivi della Commissione, questo progetto di legge poco equilibrato porterebbe a incertezze sul piano legale. A meno che non sia radicalmente emendata dal Consiglio e dal Parlamento dell’UE, la direttiva proposta potrebbe mettere a rischio la libertà di espressione e di informazione, la rendicontabilità delle aziende nei confronti dei cittadini, la condivisione dei dati e magari anche l’innovazione all’interno dell’UE.

In maniera più specifica, abbiamo le seguenti preoccupazioni sulla bozza di direttiva, perché le aziende nel campo della salute, dell’ambiente e della sicurezza degli alimenti potrebbero rifiutare di obbedire al principio di trasparenza quando l’interesse pubblico è in gioco:

1. Salute. Le aziende farmaceutiche ritengono che tutti gli aspetti legati alle sperimentazioni cliniche debbano essere considerati segreto commerciale.(2) L’accesso ai dati della ricerca biomedica da parte di autorità regolatorie, ricercatori, medici e pazienti – in particolare ai dati sull’efficacia dei farmaci e sulle loro reazioni avverse – è di vitale importanza per la protezione dei pazienti e per realizzare ulteriori ricerche e analisi indipendenti. Questa informazione evita anche che si spendano scarse risorse pubbliche per terapie che non sono migliori di quelle esistenti, che non funzionano, o che causano più danni che benefici.(3) Inoltre, la trasparenza sulla ricerca farmaceutica è necessaria per evitare una ripetizione non etica di trial clinici.(4) La proposta di direttiva non dovrebbe ostacolare recenti iniziative europee miranti ad aumentare la condivisione e la trasparenza dei dati clinici.(5)

2. Ambiente. La protezione del segreto commerciale può essere usata per rifiutare di rivelare informazioni su prodotti pericolosi dell’industria chimica. Tale protezione potrebbe essere invocata, per esempio, per occultare informazioni su sostanze chimiche in materiali plastici, tessuti, prodotti per la pulizia e altri materiali che potrebbero danneggiare gravemente l’ambiente e la salute. Le ditte potrebbero anche usare la direttiva per rifiutare di rivelare informazioni sullo scarico di sostanze chimiche, compresi liquidi usati per l’estrazione di petrolio (fracking), o di tossine in atmosfera.

3. Sicurezza degli alimenti. L’attuale legislazione dell’UE regola tutti gli alimenti, compresi gli OGM e i pesticidi, in base ai pareri dell’EFSA (European Food Safety Authority). Tuttavia, molti degli studi usati dall’EFSA per valutare i rischi associati con questi prodotti sono condotti dai produttori stessi.(6) Uno scrutinio scientifico dei pareri dell’EFSA è possibile solo se vi è un completo accesso a questi studi. Le ditte, però, sostengono che questa informazione contiene dati commerciali confidenziali e si oppongono con forza a rivelarli.(7) È essenziale che la valutazione del rischio da parte di enti pubblici sia adeguatamente sorvegliata dalla comunità scientifica. Tutti i dati necessari a questo scopo dovrebbero perciò essere esclusi dalla bozza di direttiva sul segreto commerciale.

Oltre ai rischi sopra descritti, vi potrebbero essere seri danni per la libertà di espressione e di informazione. Con questa proposta di direttiva, le cosiddette talpe (whistleblowers) potrebbero usare informazioni occultate per rivelare casi di cattiva o di illecita condotta, ma solo se “la presunta acquisizione, uso o divulgazione del segreto commerciale erano necessari per tale rivelazione e se il soggetto aveva agito nell’interesse pubblico”. Purtroppo, tuttavia, si può spesso valutare solo a posteriori se la divulgazione era necessaria. Inoltre, non è chiaro se alcuni tipi di informazione (per esempio, piani per licenziare un certo numero di dipendenti) possano essere classificati come cattiva o di illecita condotta. Ciò creerebbe incertezza legale per giornalisti, soprattutto quelli che si dedicano a investigazioni di carattere economico,(8) e per le talpe.(9)

Anche la mobilità dei lavoratori dell’UE potrebbe essere a rischio. La proposta di direttiva costituisce un rischio di effetto blocco per i lavoratori. Potrebbe creare situazioni in cui un dipendente rifuggirebbe da impieghi nello stesso settore del suo precedente datore di lavoro, piuttosto che rischiare di non essere in grado di usare le proprie abilità e competenze, ed essere considerato responsabile di eventuali danni. Ciò inibirebbe la progressione della carriera lavorativa, come pure la mobilità professionale e geografica nel mercato del lavoro.(10)

Inoltre, nonostante il desiderio della Commissione per una “bacchetta magica” che mantenga l’Europa vincente nel campo dell’innovazione, la protezione dietro porte stagne del segreto commerciale potrebbe rendere più difficile per l’UE impegnarsi in forme di ricerca promettenti, aperte e collaborative. In effetti, c’è il rischio che le misure e i rimedi suggeriti in questa direttiva possano indebolire la legittima concorrenza, o addirittura facilitare comportamenti anti-concorrenziali.

Com’era da prevedere, il testo della direttiva è fortemente sostenuto dalle multinazionali. Le coalizioni industriali di UE e USA, infatti, stanno facendo pressione, attraverso un Coalizione sui Segreti Commerciali unificata, per l’adozione di queste misure protettive.(11) Negli USA, due nuove leggi sono in attesa di approvazione al Congresso.(12) Se passano, questi testi permetterebbero di includere la protezione del segreto commerciale nel TTIP (Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership), un fatto che sarebbe incredibilmente difficile revocare in futuro per vie democratiche.(13) Dato che si suppone che il TTIP fissi un nuovo standard globale, l’inclusione in esso della protezione del segreto commerciale sarebbe particolarmente preoccupante.

Noi chiediamo con forza al Consiglio e al Parlamento Europei di emendare radicalmente la proposta di direttiva. Ciò significa limitare la definizione di cosa costituisca segreto commerciale e rafforzare le salvaguardie e le eccezioni per garantire che i dati di pubblico interesse non possano essere protetti come segreto commerciale. Il diritto di usare e divulgare liberamente informazioni dovrebbe essere la regola, la protezione del segreto commerciale l’eccezione.

Per commenti e ulteriori informazioni, si prega di contattare:

Health Action International (HAI) Europe (www.haieurope.org)

Tessel Mellema, Policy Advisor, tessel@haieurope.org, +31 20 683 3684

Ancel.la Santos Quintano, Policy Advisor, ancel.la@haieurope.org, +31 20 683 3684 

HAI Europe è una rete Europea non-profit di consumatori, ONG di interesse pubblico, operatori sanitari, accademici, media e individui che lavorano per aumentare l’accesso ai farmaci essenziali e migliorare il loro uso razionale attraverso l’eccellenza nella ricerca e il patrocinio della medicina evidence based.

Presa di posizione firmata da:

Corporate Europe Observatory, CEO, www.corporateeurope.org

Medicines in Europe Forum, MiEF, english.prescrire.org

EUROCADRES, Council of European Professional and Managerial Staff, www.eurocadres.eu

Commons Network, www.commonsnetwork.eu

GeneWatch UK, www.genewatch.org

La Quadrature du Net, www.laquadrature.net

Center for International Environmental Law (CIEL), www.ciel.org

Article 19, www.article19.org

Association Internationale de la Mutualité, AIM, www.aim-mutual.org

Public Citizen, US, www.citizen.org/access

Cochrane Collaboration – Nordic Cochrane Centre, www.cochrane.org

International Society of Drug Bulletins, ISDB, www.isdbweb.org

Knowledge Ecology International (KEI) Europe, www.keieurope.org

European Public Health Alliance, EPHA, www.epha.org

 

Traduzione di Adriano Cattaneo. L’originale è disponibile su http://bit.ly/1xrcy6r

1. European Commission. Proposal for a Directive on the protection of undisclosed know-how and business information (trade secrets) against their unlawful acquisition, use and disclosure. COM(2013) 813 final. November 28, 2013. Disponibile su: http://ec.europa.eu/internal_market/iprenforcement/docs/trade-secrets/131128_proposal_en.pdf

2. Vedi il comunicato stampa della European Federation of Pharmaceutical Industries che afferma che “Quasi ogni aspetto del processo di sviluppo di un farmaco coinvolge la generazione e l’applicazione di sostanziose quantità di informazioni e conoscenze tecniche, compresa la chimica preclinical, la manifattura e I processi di controllo, oltre alla fase di vera e propria sperimentazione clinica.” Disponibile su http://www.efpia.eu/mediaroom/129/44/EFPIA-welcomes-the-Commission-39-s-Proposal-on-the-protection-of-undisclosed-know-how-and-business-information-quot-Trade-Secrets-quot

3. Per maggiori informazioni, vedi: HAI Europe Policy Paper. ‘Protecting citizens’ health: Transparency of clinical trial data on medicines in the EU’. Oct. 2013, p. 5. Disponibile su: http://haieurope.org/wp-content/uploads/2013/10/HAI_Protecting-citizenshealth-transparency-of-clinical-trial-data-on-medicines-in-the-EU.pdf

4. Lemmens T and Telfer C “Access to Information and the Right to Health: The Human Rights Case for Clinical Trials Transparency” (September 22, 2011). American Journal of Law and Medicine 2012; 38 : 63-112. Disponibile su: http://ssrn.com/abstract=1932436

5. Il nuovo regolamento UE sui trial clinici e la policy dell’EMA del 2014sull’accesso ai dati assicurano che dati clinici dettagliati (nel format di rapporto di uno studio clinico) siano attivamente pubblicati in un database pubblico entro 30 giorni dall’autorizzazione alla commercializzazione o dal ritiro della richiesta da parte della ditta http://english.prescrire.org/en/79/207/46302/3839/3303/SubReportDetails.aspx. L’UE si è ulteriormente impegnata al completo accesso alle pubblicazioni scientifiche e ad aumentare l’accesso ai risultati di ricerche anche parzialmente finanziate da fondi europei: vedi il pacchetto complete di Horizon 2020 su: http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/funding/reference_docs.html#h2020-legal-basis-fp (vedi in particolare: H2020 rules of participation and H2020 Regulation of Regulation of Establishment).

6. Uno dei più interessanti obiettivi dell’EFSA è rendere le sue opinion scientifiche “riproducibili” da altri, un criterio di validazione chiave nella metodologia scientifica.

7. L’EFSA ha recentemente lanciato una Transparency Initiative per migliorare la sua credibilità, e sa considerando di fornire accesso ai suoi dati a scienziati indipendenti. Per ulteriori informazioni, vedi: http://www.efsa.europa.eu/en/consultationsclosed/call/140717.htm. Purtroppo, questo obiettivo è stato fortemente criticato dall’industria manufatturiera (chimici, pesticidi, semi, biotech, additivi), la quale sostiene che I propri dati tossicologici contengono “informazioni commerciali confidenziali” che “dovrebbero essere sempre protette dall’essere rivelate e usate male”. Queste industrie hanno minacciato apertamente l’EFSA di azioni legali se decidesse di rendere pubblici i dati. L’EFSA avrebbe probabilmente un forte argomento a sua difesa perché garantire la sicurezza degli alimenti costituirebbe una solida giustificazione. Ma questa situazione potrebbe cambiare in peggio se la bozza di direttiva sul segreto commerciale proteggesse i dati dell’industria.

8. Orange M “Secret des affaires: un projet de directive organise l’omerta” 2 avril 2014; www.mediapart.fr Mauduit L “[En France,] Les socialistes préparent l’omerta sur la vie des affaires” 22 juillet 2014 www.mediapart.fr

9. Eurocadres opinion paper 20 October 2014 “An EU regulation on Trade Secrets” http://eurocadres.eu/IMG/pdf/20141020_trade_secrets.pdf

10. Ibid endnote ix

11. Nell’UE, una cosiddetta “Coalizione sul Segreto Commerciale e l’Innovazione” sta spingendo per questa direttiva. Questa coalizione è anche registrata presso il registro UE sulla trasparenza, vedi: http://ec.europa.eu/transparencyregister/public/consultation/displaylobbyist.do?id=956363012640-91. La coalizione include Alstom, DuPont de Nemours, General Electric, Intel, Michelin, Air Liquide, Nestlé  e Safran, che lavorano assieme all’industria farmaceutica e chimica (vedi anche http://www.ip-watch.org/2012/07/16/industry-groups-press-for-eu-us-action-on-trade-secret-protection

12. House Bill: Trade Secrets Protection Act of 2014 (H.R. 5233) – https://www.congress.gov/bill/113th-congress/house-bill/5233 e Senate Bill: Defend Trade Secrets Act of 2014 (S. 2267) – https://www.congress.gov/bill/113th-congress/senate-bill/2267/text

13. Gli USA non fanno segreto del loro desiderio esplicito per un linguaggio duro sulla protezione del segreto commercial in questo accorto: vedi anche http://transatlantic.sais-jhu.edu/publications/CRS_TTIP_report_Feb_2014.pdf, p 35

Vi ricordate di Avastin e Lucentis?

In Italia non se n’è più parlato. Se n’è parlato invece negli USA, ma per motivi diversi. Ne scrive un giornalista di Healthdesk, Antonino Michienzi, il 11 Dicembre 2014 (http://www.healthdesk.it/cronache/quei_medici_pagati_per_parlar_bene_di_un_farmaco_e_che_poi_lo_prescrivono_ai_propri). Eccovi ciò che scrive.

 

Quei medici pagati per parlar bene di un farmaco (e che poi lo prescrivono ai propri pazienti)

La denuncia del New York Times: migliaia di dottori americani ricevono soldi dalle aziende del farmaco. Per fare da relatori a convegni o partecipare a congressi, convincere i propri colleghi della bontà del medicinale. Tutto legale. Ma è etico?

 

Diciamolo subito: con la vicenda italiana quella a stelle e strisce svelata dal New York Times lo scorso 8 dicembre non ha alcun elemento in comune, se non i protagonisti. I due farmaci Avastin e Lucentis, entrambi efficaci contro la degenerazione maculare, molto simili tra loro, prodotti da due aziende concorrenti ma imparentate, e, soprattutto, studiato e approvato per curare questa patologia il secondo, mai approvato a questo scopo il primo.

Cosa sia avvenuto in Italia è ormai noto: le due aziende produttrici (Roche e Novartis) sono state multate quasi un anno fa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con l’accusa di avere messo in piedi una strategia finalizzata a “pompare” il farmaco più costoso (Lucentis) a discapito di quello più economico (Avastin) Nei giorni scorsi il Tar del Lazio ha respinto il ricorso delle aziende che comunque continuano a ribadire la correttezza del proprio operato e si dicono pronte a ricorrere al Consiglio di Stato. Questo in Italia.

Negli Usa, invece, due giornaliste del New York Times (Katie Thomas e Rachel Abramsdec) si sono prese la briga di spulciare i dati di un database governativo contenente i pagamenti effettuati dalle aziende del farmaco americane ai medici. Pagamenti di tutti i tipi: rimborsi per partecipazione a congressi (dalle spese di viaggio a quelli per vitto e alloggio), parcelle per relazioni, consulenze di vario tipo. Hanno selezionato quelle in qualche modo riconducibili a Lucentis e a qual punto hanno verificato l’attività di questi medici per capire se c’era qualche relazione tra i pagamenti ricevuti e il loro comportamento prescrittivo. In poche parole: i medici che avevano ricevuto soldi dall’azienda tendevano a usare più frequentemente Lucentis rispetto ai propri colleghi?

“La gran parte dei dottori che fanno il maggior numero di prescrizioni di Lucentis, sono anche tra i più pagati consulenti di Genentech [l’azienda che negli Usa produce e distribuisce il medicinale, n.d.r.] e guadagnano migliaia di dollari per aiutare a promuovere il farmaco”, scrivono le giornaliste americane. In particolare, “la metà dei 20 dottori che aveva ricevuto la maggior quantità di denaro da Genentech per promuovere Lucentis nel 2013 erano tra i maggiori utilizzatori del farmaco nel 2012, e prescrivevano il 75% in più rispetto ai colleghi. […] I 20 medici avevano guadagnato dagli 8.500$ ai 37.000$ nei primi 5 mesi del 2013”.

La pratica non ha nulla di illegale. Tutt’altro. Dal 2010, con l’approvazione del Physician Payment Sunshine Act contenuto nella riforma sanitaria del presidente Obama, le aziende sono obbligate a comunicare tutti i pagamenti verso i medici o gli ospedali universitari. Lo scorso settembre, la prima raccolta di dati, relativi agli ultimi mesi del 2013, ha preso vita in un database pubblico (https://openpaymentsdata.cms.gov) dove ogni cittadino può sapere se il proprio medico ha ricevuto incentivi economici (e di che entità e a quali fini) dalle aziende farmaceutiche che, nel complesso, negli ultimi mesi dello scorso anno hanno versato a medici e ospedali 3,5 miliardi di dollari.

Le aziende, dunque, possono pagare i medici purché non lo facciano sottobanco. Tuttavia, come rilevano le due giornaliste, il caso (ma quello dei due farmaci è soltanto uno dei mille esempi che si potrebbero fare) “solleva il problema se le relazioni finanziare tra medici e produttori di farmaci influenzino le loro scelte terapeutiche”.

Gli studenti di medicina sono influenzati dalla promozione dell’industria farmaceutica?

Guido Giustetto, Recenti Prog Med 2014; 105: 445-447

La letteratura1 è sostanzialmente unanime nel valutare come inutili – e, già solo per questo, dannose – almeno il 30% delle prestazioni mediche: visite, indagini diagnostiche, prescrizioni di farmaci. Diverse sono le cause di questo fenomeno: la crisi del rapporto di fiducia medico-paziente, il persistere per incuria o ignoranza di pratiche obsolete, le attese miracolistiche verso la tecnologia sanitaria, l’atteggiamento difensivo dei medici e, non meno importante, la spinta promozionale dell’industria del farmaco e dei dispositivi medicali.

La promozione dei farmaci si avvale di più canali informativi. Nonostante vi siano molte evidenze2 – oltre a una condivisione diffusa – che l’informazione fornita dall’industria con informatori farmaceutici, corsi di aggiornamento, simposi, convegni sia di cattiva qualità e fuorviante (enfasi sulla superiorità dei nuovi prodotti, occultamento degli effetti collaterali dei farmaci, allargamento delle indicazioni oltre quelle autorizzate), buona parte di noi medici continua a mantenere questa come fonte privilegiata. Questa contraddizione ha origini diverse.

Un primo motivo è l’idea che solo l’industria farmaceutica, che commercializza il farmaco, possa dare informazioni non facilmente reperibili in altro modo e che quindi rinunciare a questa fonte significhi sprecare risorse comunque a disposizione e rinunciare a una interazione dai connotati positivi.

Un ruolo importante lo giocano anche la comodità e la consuetudine (“ha funzionato sempre così”) di ricevere un’informazione sintetica, “a domicilio” nel caso dei rappresentanti farmaceutici, ben organizzata e ben accomodata nei convegni e nelle cene-simposio: una specie di pre-digerito gratuito.

Un altro elemento che conta è la convinzione di non essere influenzabili dall’informazione ricevuta, in quanto i nostri lunghi studi ci permettono di riconoscere e di metterci al riparo da indicazioni distorte e di distinguere il grano dal loglio, cioè l’informazione dalla promozione.

Diversi studi hanno dimostrato che questa è una falsa certezza e che anche l’indifferenza con cui accettiamo piccoli omaggi o l’invito a una cena si trasforma, a nostra insaputa, nella necessità psicologica di sdebitarci, anche per regali di valore minimo3,4.

Un’ipotesi per spiegare questo atteggiamento recettivo nei confronti dell’industria farmaceutica e la propensione di noi medici a lasciarci influenzare è che essi nascano e si consolidino durante il curriculum di studi e siano di fatto un elemento costitutivo implicito, non ufficiale, ma non secondario, dell’educazione alla professione, facendo parte di quella che Giorgio Bert5 ha definito, in altro contesto, la didattica ombra. In altre parole, il fatto di parlare con i rappresentanti dei farmaci, di accettare una pubblicazione o le loro biro sponsorizzate, di essere invitati a una cena sono anche queste tappe del processo di socializzazione e di promozione professionale attraverso il quale lo studente a poco a poco diventa e “si sente” medico.

Per analizzare nel dettaglio come avvengono i primi passi della relazione medico-industria, una parte della ricchissima letteratura (non molto discussa in Italia) che si occupa di questo tema e dei possibili conflitti d’interesse ha studiato l’atteggiamento e il comportamento degli studenti e dei medici in formazione esaminando la frequenza e la tipologia di interazione con le quali sono esposti agli strumenti promozionali dell’industria farmaceutica, nonché le potenziali implicazioni nella futura pratica clinica.

Sul JAMA nel giugno scorso è stato pubblicato un articolo di Austad et al.6, il terzo di una trilogia degli stessi autori, che illustra i risultati di un’indagine condotta in 120 scuole di medicina degli Stati Uniti e cerca di rispondere ad alcune domande: come variano le fonti di informazione utilizzate dagli studenti passando dal 1° al 4° anno di facoltà e poi al 3° di specializzazione e quale peso hanno quelle dell’industria farmaceutica; quale rapporto c’è tra un atteggiamento positivo verso l’interazione con l’industria e una potenziale prescrizione evidence-based, e l’uso di farmaci branded oppure equivalenti.

Lo studio di Austad si basa su un questionario compilato da 1601 studenti del 1° e del 4° anno di medicina e da 735 specializzandi. Le 21 domande hanno esplorato le fonti di informazione sull’uso dei farmaci, la frequenza e il tipo di contatti con l’industria, l’atteggiamento nei confronti di questa e delle politiche messe in atto dalle facoltà sul conflitto di interesse e sul rapporto medici/industria.

Le fonti di informazione utilizzate variano molto con il passare degli anni. Tra gli studenti del 1° anno quasi il 90% utilizza gli appunti delle lezioni, Google o Wikipedia. Tale percentuale si riduce progressivamente, per giungere a circa il 50% tra gli specializzandi, eccetto Google che è ancora utilizzato dal 75% di loro, esattamente come le riviste peer-reviewed.

Gli eventi sponsorizzati dall’industria e gli incontri con i suoi rappresentanti sono utilizzati come fonte informativa dal 14,6% degli studenti al 1o anno, dal 19,4% al 4o anno e dal 37% dei medici in formazione specialistica.

In un precedente articolo7, basato sui dati della medesima indagine, gli stessi autori avevano mostrato come passando dal 1° anno di medicina al 4° le diverse occasioni di interazioni con l’industria (incontrare i rappresentanti da soli o con un medico, ricevere regali, partecipare a lezioni sponsorizzate) raddoppiano o triplicano, senza più aumentare negli anni di specializzazione.

Ci sono due eccezioni a questo trend: il 7,9% degli studenti del 1o anno utilizza spesso i rappresentanti per imparare l’uso di un farmaco e il 6,7% partecipa a eventi formativi sponsorizzati dall’industria; queste percentuali crescono modestamente tra gli studenti del 4° anno (9,7% e 9,7%) per raddoppiare tra gli specializzandi (20% e 17%).

Quello che emerge dallo studio di Austad sugli studenti conferma quanto si è osservato8 tra i medici, e cioè che una maggiore consuetudine all’interazione medici-industria si correla a una minore conoscenza dei criteri di prescrizione evidence-based e a una maggiore propensione verso i farmaci brand-name.

Agli studenti del 4° anno e agli specializzandi è stato, infatti, chiesto di rispondere a quattro domande a scelta multipla su cosa avrebbero prescritto in caso di: diabete di tipo II di nuova diagnosi, iperlipemia con dieta ed esercizio fisico insufficienti, ipertensione senza altre patologie, difficoltà a dormire. In tutti e quattro i casi gli studenti del 4° anno fornivano risposte più appropriate, con una propensione maggiore a scegliere prodotti equivalenti.

Questa differenza si evidenzia maggiormente se gli studenti sono raggruppati secondo il loro livello di contatto con l’industria: chi ha un’alta frequenza di interazioni, ha il 9% di probabilità di prescrivere in maniera meno appropriata tra gli studenti del 4° anno e il 20% tra gli specializzandi.

Nel loro precedente lavoro, Austad et al.9 avevano evidenziato come dal questionario emergesse che la maggior parte degli studenti giudica non giustificata l’interazione con l’industria. Nonostante ciò, regali, pasti offerti, formazione sponsorizzata e anche campioni gratuiti circolano comunemente tra gli studenti: le politiche seguite da molte università negli Stati Uniti di limitare il contatto diretto tra rappresentanti farmaceutici e studenti non sembrano efficaci. Secondo un’indagine dell’associazione degli studenti di medicina americani (AMSA)10, oltre 140 facoltà mediche attuano politiche inerenti i conflitti di interesse, compresi i rapporti tra rappresentanti farmaceutici e studenti. Per esempio, la facoltà di Stanford proibisce a insegnanti e studenti di ricevere regali, pasti, aiuti finanziari, o altri momenti formativi direttamente dall’industri farmaceutica.

Conoscere meglio il comportamento e le motivazioni degli studenti nei confronti dell’industria potrebbe farci immaginare strumenti più efficaci per permettere agli studenti di imparare i fondamenti della loro professione in un ambiente libero da suggestioni commerciali.

A questo proposito potrebbe essere utile rispolverare un manuale che l’OMS ha prodotto nel 200911. Dopo avere più volte sollevato la preoccupazione per la crescente influenza che l’industria ha sulla prescrizione e sulla scelta dei trattamenti, portando a scelte non ottimali a scapito della salute dei pazienti, nel 2005 l’OMS con Health Action International ha condotto un’indagine internazionale sulle iniziative formative organizzate nelle facoltà di farmacia e medicina sul tema della promozione farmaceutica. L’indagine ha mostrato che la maggior parte di queste dedica, lungo l’intero curriculum degli studi, meno di un giorno (in qualche caso 1 o 2 ore) a trattare questo argomento anche se gli insegnanti ne sentono la necessità e cercano di introdurlo nella loro materia.

Di qui la necessità, secondo l’OMS, di sviluppare uno strumento educativo per fornire agli studenti le competenze utili per gestire la promozione farmaceutica; nel 2009, infatti, è stato pubblicato un manuale indirizzato a insegnanti e medici che intendano dedicare momenti strutturati di insegnamento curricolare sull’argomento12.

Il manuale, di circa 170 pagine, tratta del mercato dei farmaci, degli investimenti dell’industria nella pubblicità, dell’ECM sponsorizzata dall’industria, dei campioni di medicinali gratuiti, del rapporto tra autori di linee-guida e industria, del fenomeno del ghost-writing, delle diverse tecniche promozionali (visite dei rappresentanti, regali, cene, lezioni degli opinion leader), della pubblicità nei confronti dei consumatori, della normativa che regola la promozione dei farmaci. È provvisto di esercitazioni da svolgere con gli studenti.

Per quanto se ne sa, questo manuale di libero uso, e i momenti formativi correlati, non hanno finora trovato eco nelle scuole di medicina italiane.

Eppure la sua adozione nelle università, l’approfondimento e l’applicazione delle esercitazioni sarebbero il primo passo di un intervento che evitasse agli studenti di subire formazione e informazione controproducenti.

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7. Austad KE, Avorn J, Franklin JM, Kowal MK, Campbell EG, Kesselheim AS. Changing interactions between physician trainees and the pharmaceutical industry: a national survey. J Gen Intern Med 2013; 28: 1064-71.

8. Watkins C, Moore L, Harvey I, Carthy P, Robinson E, Brawn R. Characteristics of general practitioners who frequently see drug industry representatives: national cross sectional study. BMJ 2003; 326: 1178-9.

9. Austad KE, Avorn J, Kesselheim AS. Medical students’ exposure to and attitudes about the pharmaceutical industry: a systematic review. PLoS Med 2011; 8: e1001037.

10. http://www.amsascorecard.org/

11. http://www.haiweb.org/03_other.htm

12. Mintzes B, Mangin D, Hayes L (eds). Understanding and responding to pharmaceutical promotion: a practical guide. World Health Organization, Health Action International, 2009.